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“La città perduta” di Maria Laura Martelli – Laventicinquesimaora 2018

    “La città perduta” di Maria Laura Martelli – «Laventicinquesimaora 2018.»

    Uno dei racconti finalisti dell’ultima edizione de «Laventicinquesimaora».

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    Sabato sera alle undici davanti al Cinema Teatro Moderno, s’era detto, e quella bestia del Geppo ancora non arriva. Che poi se ne potrebbe anche fare a meno, di lui, se non fosse che la sala è di suo padre, che stasera suo padre è fuori a cena con la moglie e che il Geppo sa dove conserva la copia delle chiavi del Moderno.
    Stasera danno Il Dottor Zivago, una lagna di tre ore e passa, così ce la sbrighiamo in fretta perché non c’è il secondo spettacolo. Quando arriva il Geppo, io e Luciano siamo già alla terza Muratti e il custode del Moderno se n’è andato da un pezzo. Scendiamo nella platea deserta, superiamo il palco e scivoliamo raso muro fino all’attrezzeria. Il Geppo si è dimenticato di portare la torcia elettrica, e per non inciampare nei sorci ci tocca farci luce con il candelabro di Lady Macbeth. C’è tutto quello che ci interessa, e noi ce lo prendiamo, riempiamo la sacca e via filati, ognuno a casa sua, che le prove le abbiam già fatte e domani sarà lunga.
    Quando arriviamo al bar, Ivo Danelli è già seduto al tavolino col suo latte macchiato davanti e gli occhi inchiodati alla vetrina. Si è pure sfilato la giacchetta lisa da assistente universitario, da quanto è accalorato. Sta sfregolando, si vede. Non si tiene più. Appena entriamo ci viene incontro. Finge di non sapere cosa dobbiamo dirgli, ma è chiaro che le voci gli sono arrivate. Ci sediamo, Luciano inizia a parlare e continuo io, mentre il Geppo va a prendere i caffè al banco, così sta zitto e non ci rovina il piano.
    Mentre gli bisbigliamo all’orecchio quello che già sa, il nostro professorino ci srotola addosso sguardi orgasmici. La scoperta è sensazionale: per farla breve, lo zio di Luciano, il professor Pavani, crede – anzi, ne è assolutamente convinto, figuriamoci! Un luminare del suo calibro! – di aver individuato il punto esatto su cui sorgeva la città etrusca di X. Bisogna bruciarlo sul tempo e portargli via la trovata, al vecchio porco. Altro che dottorato. Rettore lo faranno, Danelli. E se lo merita! A noi basta la soddisfazione e magari un paio di cocci saltati fuori da qualche tomba. Dobbiamo farlo, e dobbiamo farlo stanotte.
    Quando il Geppo è con me, arriva puntuale. Accostiamo e scarichiamo la Seicento. Tiriamo fuori il megafono, la sirena e la scacciacani e ci infiliamo subito di nuovo in macchina, che stasera fa un freddo atroce e dobbiamo cambiarci i vestiti e ci scompisciamo dal ridere, a vederci mezzi nudi stretti stretti nei sedili come due amanti in camporella.
    Nel silenzio siderale della campagna, lo spernacchiare della Vespetta di Luciano si sente da chilometri di distanza. Il Geppo si è portato pure il binocolo di suo padre, e mi dà di gomito perché vuole farmi vedere Ivo avvinghiato alla schiena del nostro complice con la zappa sulle ginocchia.
    La Vespa tace. Hanno iniziato a scavare. Metto in moto e lancio l’auto verso di loro. Il Geppo fa partire la sirena e si mette a sputazzare nel megafono: “Fermi! Mani in alto! Arrendetevi!” Io, per non essere da meno, pesto il piede e in un attimo gli siamo addosso. Il Geppo è fuori di sé: “Maresciallo, che faccio, sparo?” Ancora non ha finito di urlare che partono i colpi dalla scacciacani.
    Eccitati, pazzi, iniziamo a vorticare con la sirena che grida e il Geppo che grida e Danelli che grida, solo, al centro di quella giostra infernale e io che non riesco nemmeno a respirare dalle risate e sto lacrimando e non ci vedo più, e non ci sento, con le orecchie bucate dalla sirena e non mi accorgo, non mi posso accorgere ancora del corpo di Luciano, il mio migliore amico, che ho ucciso stanotte, a mezzanotte.

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