In occasione all’uscita in libreria del suo romanzo d’esordio per Mondadori, abbiamo chiesto a Giulio Spagnol, che a Belleville ha frequentato il corso Scrivere oggi in Italia con Vanni Santoni, di rispondere a alcune domande su Charlie palla di cannone.
1. Charlie palla di cannone è la storia di Carlo Campo, braccia e gambe amputate a seguito di una meningococcemia; campione di scivolata su qualsiasi tipo di superficie e precoce detentore di una cultura sterminata (parlare con lui, scrivi, è come “conversare con Richard Feynman dopo tre o quattro birre, o con Ignazio di Loyola durante una visione mistica”). Quando, come e perché è nato questo personaggio?
Charlie e i suoi compagni sono “nati” circa due anni fa. Più che nati sono spuntati mentre scrivevo altra roba. Da dove sono spuntati non saprei. Credo sia un buon segno. C’è una storiella che racconta lo scrittore George Saunders che spiega bene quello che sto cercando di dire. Fa così. Se vuoi scrivere un poema su due cani che scopano, e scrivi un poema su due cani che scopano – allora hai scritto un poema su due cani che scopano. Tutto questo per dire che se la scrittura non ti tira fuori qualcosa che già avevi, ma non sapevi di avere, allora qualcosa non ha funzionato.
Può essere utile immaginarsi la scrittura come una tagliola, una trappola, l’esca da piazzare fuori dalla caverna per ingolosire il mostro e farlo uscire. Ok, ma chi è il mostro? L’inconscio, naturalmente. Quel non-del-tutto-processato grumo cerebrale che non vede l’ora di venire fuori da ogni cancello non presidiato. Alla fine del percorso di scrittura, il mostro – in tutta la sua orrenda mostruosità – è quello che volevi dire davvero. Quali mostri abboccheranno non è dato saperlo, ma è probabile che abbocchino sotto forma di personaggi. Quando ho iniziato a scrivere Charlie volevo raccontare di una classe elementare che si ribellava agli inseganti. Mi sono ritrovato con un bambino mutilato che vuole fare l’asceta; un altro bambino saccente, enfant prodige, poeta e tormentato e un’attrice berlinese che fa esplodere una fabbrica per vendicarsi di uno stupro.
2. Charlie è ricco di riferimenti a testi molto diversi per natura, epoca, provenienza. Parlaci dei percorsi di lettura che stanno a monte del romanzo e del ruolo che le citazioni giocano al suo interno.
Credo ci siano tanti riferimenti per due motivi. Il primo è che sono nato nel 1992, due anni dopo la prima pagina internet. Internet è arrivato sul serio che avevamo più o meno nove, dieci anni. Una volta decriptati i misteriosi comportamenti dei router che andavano a singhiozzo, niente ci è stato precluso: il territorio era tutto da esplorare. Questo ha creato parecchio scompiglio linguistico. Sulla tv si è innestato non solo un nuovo linguaggio, ma un nuovo strumento. Uno strumento che insegna a privilegiare il dove sul cosa. E come passare da un dove a un altro. La ricerca è anarchica, non ha né inizio né fine. La conseguenza è che passare dal Gabibbo a, diciamo, Houellebecq o Beato Angelico, senza soluzione di continuità, assegnando a tutto lo stesso peso, risulta naturale. E terribile. Ma a pensarci bene sospetto che tutto questo in realtà sia sempre successo. In fondo, anche nel medioevo, qualcuno sarà passato dal parlare del prezzo dello sterco di cavallo alla confutazione delle 5 prove dell’esistenza di Dio. Naturalmente non sto dicendo nulla di nuovo. Questo caos transmediale è stato descritto troppo bene dagli autori postmoderni in America e dal movimento cannibale in Italia perché io possa aggiungere qualcosa di nuovo.
Il secondo motivo ha più a che fare con i personaggi. Due in particolare. Charlie è un bambino-asceta. E come ogni asceta che si rispetti ha letto e studiato moltissimo (soprattutto testi sacri). Non solo li ha studiati ma li ha interiorizzati. Diciamo che per lui citare Buddha o Meister Eckhart a memoria non è per niente strano. Stessa cosa per il Capoclasse, il bambino che racconta la storia di Charlie. Il Capoclasse ha nove anni ed è un enfant prodige. Oltre a un QI stratosferico, possiede una cultura classica tanto sconfinata quanto irritante. Ha anche una tremenda paura di non essere accettato dagli altri. Comprensibile che tiri fuori una citazione colta ogni volta che può.
3. Quale aspetto della scrittura ti risulta più facile e quale, invece, ti ha dato filo da torcere? E cosa puoi raccontarci della fase di editing?
Qualcuno diceva che tutta l’infelicità degli uomini (mi permetto di aggiungere “e delle donne”) sta nel non saper restare quieti in una stanza. Sono molto d’accordo con quel tizio.
Per quanto riguarda la parte-più-facile, non l’ho ancora trovata. Quando ho cominciato a scrivere fumavo Camel blu, o Drum. Fumare aiutava. Almeno, pensavo, assomiglio a uno scrittore. Ora l’asma mi è peggiorata e non posso più fumare. Una tragedia.
Ho avuto due editor. Alberto Rollo, che ha portato il manoscritto a Mondadori, e Giovanna Salvia. Con Alberto ho discusso del manoscritto più in generale. Con Giovanna ho fatto line editing. Entrambi sono stati indispensabili. Senza di loro Charlie sarebbe diverso, e sicuramente riuscito peggio. So che ogni processo di editing è diverso. Io sono stato fortunato nel trovare in Alberto e Giovanna uno stupendo incrocio di rigore intellettuale e laissez-faire.
4. In che modo la tua formazione filosofica e scientifica influenza il tuo approccio alla scrittura?
Quella filosofica mi ha fatto appassionare alla scienza, quella scientifica me l’ha fatta odiare. A un certo punto ho avuto la presunzione di pensare che la scrittura fosse una scatola abbastanza grande da contenerle entrambe. Vediamo che succederà.
> Vanni Santoni è il docente di Cinque lezioni sul romanzo… più tre sul romanzo che stai scrivendo, un percorso online in otto lezioni in programma dal 6 maggio per esplorare storia, specificità e prospettive della forma romanzo, e per cominciare a lavorare a un proprio progetto narrativo.