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Il testo vincitore della borsa di studio “Scrivere di notte”

    Vincitore borsa di studio Scrivere di notte

    Matteo Gatto è il vincitore della borsa di studio per il corso serale di scrittura Scrivere di notte, con il progetto narrativo intitolato C’è qualcosa di strano. Il bando chiedeva ai partecipanti di scrivere l’incipit di 3.000 battute di un romanzo in lavorazione e accompagnarlo alla sinossi.


    Il corso Scrivere di notte inizierà il 12 ottobre e ha tra i suoi insegnanti Marcello Fois, Simona Vinci, Federico Baccomo, Marco Rossari, Marilena Rossi. Il corso prevede tre moduli progressivi e distinti: Fondamenti, Progetto, Laboratorio. L’obiettivo è insegnare le tecniche della narrazione e guidare gli allievi nella stesura di un testo che potrà essere presentato ad agenti letterari ed editori.



    >> C’è qualcosa di strano

    di Matteo Gatto

    “È permesso?”
    Naturalmente lo era. Roberto aprì la porta e l’odore di cavolo marcio e verdure allo stremo lo colpì molto di più che la vista del cadavere. Da dove veniva lui le cose orribili erano all’ordine del giorno: aveva visto laghi di sangue ben peggiori di quello. Ma l’odore era un’altra storia. Come ci si abitua a qualcosa che ti rivolta lo stomaco colpendoti attraverso il naso? La puzza è subdola. Gli occhi puoi chiuderli, puoi decidere di non vedere. Ma i polmoni, prima o poi…
    Era anche per colpa degli odori che il suo lavoro – non lo psicologo, l’altro lavoro – era simile allo spazzino. Non quello che svuota i bidoni e dice: “Salve, signora!” alle sei del mattino, no. Piuttosto, l’energumeno invisibile che ammassa i rifiuti in discarica usando rancore e ruspa per rimettere in ordine pile di schifo senza speranza. Ecco, persino quello spazzino se ne faceva una ragione, degli odori di merda. Lui no. Forse era per quello che si era licenziato.
    Rimase sull’uscio lottando per non respirare, ma ormai aveva scordato di prendere più aria possibile al primo colpo e la puzza di morte l’aveva colto di sorpresa. Scosse la testa come a negare il suo bisogno di ossigeno. Ebbe un’idea: infilò il naso dentro al collo della maglietta e inspirò. Là dentro l’aria sapeva di sudore, perché dopotutto erano le sette di sera e lui era in giro da ore. Il lezzo della morta però era almeno un filo filtrato dalla maglietta dei Metallica, nonostante il cotone fosse liso da anni di fedele servizio. Grazie, Santi Hetfield e Ulrich.
    Decise di fare così: respiro profondo attraverso la maglietta, trattenere fino a quando ce l’avrebbe fatta, altro respiro e via così. Soffocare era il male minore. Ma quando ebbe raggiunto la vecchia coperta di sangue come una vecchia quercia infradiciata dai sacrifici umani, quando ebbe estratto il coltellaccio seghettato dalla tasca dei pantaloni cargo color kaki (scemo, si disse, sono chiari e si lerceranno tutti), la maglietta gli era già scivolata tre volte sul collo, lui si era rotto le balle e si era rassegnato sì a respirare quello schifo, ma a farlo il più in fretta possibile.
    “Oh, Zora, povera cara”, mormorò. La vestaglia era stata color crema, ma mischiandosi al sangue era diventata un umido sudario arancio scuro. Le dita erano serrate attorno al bracciolo a tal punto che le unghie viola si erano infilate nella poca carne dei palmi. Non aveva fatto una bella morte, una morte serena; e la cosa peggiore era che sapeva cosa la aspettava.
    “Povera, povera cara” ripeté Roberto, appoggiando la lama seghettata a lato dell’occipite e giudicandone con occhio esperto l’inclinazione. Diede il primo strattone. La cosa terribile di segare un osso erano le vibrazioni ruvide che salivano su fino ai denti. Purtroppo c’era poco da lamentarsi: a estrarre cervelli era il più qualificato della cricca.
    Continuò a lavorare. Dopo un po’ neppure si accorse che segare il cranio della sua migliore amica gli aveva fatto passare di mente l’odore della morte.

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