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Lista delle parole scelte da Manzoni per scrivere il Capitolo XXXIV de I promessi sposi (in ordine di apparizione)

    I promessi sposi, Manzoni

    Alessandro Manzoni,

    I promessi sposi, 1840

    Capitolo XXXIV

               

    In

    quanto

    alla

    maniera

    di

    penetrare

    in

    città,

    Renzo

    aveva

    sentito,

    così

    all’ingrosso,

    che

    c’eran

    ordini

    severissimi

    di

    non

    lasciar

    entrar

    nessuno,

    senza

    bulletta

    di

    sanità;

    ma

    che

    in

    vece

    ci

    s’entrava

    benissimo,

    chi

    appena

    sapesse

    un

    po’

    aiutarsi

    e

    cogliere

    il

    momento.

    Era

    infatti

    così;

    e

    lasciando

    anche

    da

    parte

    le

    cause

    generali,

    per

    cui

    in

    que’

    tempi

    ogni

    ordine

    era

    poco

    eseguito;

    lasciando

    da

    parte

    le

    speciali,

    che

    rendevano

    così

    malagevole

    rigorosa

    esecuzione

    di

    questo;

    Milano

    si

    trovava

    ormai

    in

    tale

    stato,

    da

    non

    veder

    cosa

    giovasse

    guardarlo,

    e

    da

    cosa;

    e

    chiunque

    ci

    venisse,

    poteva

    parer

    piuttosto

    noncurante

    della

    propria

    salute,

    che

    pericoloso

    a

    quella

    de’

    cittadini.

    Su

    queste

    notizie,

    il

    disegno

    di

    Renzo

    era

    di

    tentare

    d’entrar

    dalla

    prima

    porta

    a

    cui

    si

    fosse

    abbattuto;

    se

    ci

    fosse

    qualche

    intoppo,

    riprender

    le

    mura

    di

    fuori,

    finchè

    ne

    trovasse

    un’altra

    di

    più

    facile

    accesso.

    E

    sa

    il

    cielo

    quante

    porte

    s’immaginava

    che

    Milano

    dovesse

    avere.

    Arrivato

    dunque

    sotto

    le

    mura,

    si

    fermò

    a

    guardar

    d’intorno,

    come

    fa

    chi,

    non

    sapendo

    da

    che

    parte

    gli

    convenga

    di

    prendere,

    par

    che

    n’aspetti,

    e

    ne

    chieda

    qualche

    indizio

    da

    ogni

    cosa.

    Ma,

    a

    destra

    e

    a

    sinistra,

    non

    vedeva

    che

    due

    pezzi

    d’una

    strada

    storta;

    dirimpetto,

    un

    tratto

    di

    mura;

    da

    nessuna

    parte,

    nessun

    segno

    d’uomini

    viventi:

    se

    non

    che,

    da

    un

    certo

    punto

    del

    terrapieno,

    s’alzava

    una

    colonna

    d’un

    fumo

    oscuro

    e

    denso,

    che

    salendo

    s’allargava

    e

    s’avvolgeva

    in

    ampi

    globi,

    perdendosi

    poi

    nell’aria

    immobile

    e

    bigia.

    Eran

    vestiti,

    letti

    e

    altre

    masserizie

    infette

    che

    si

    bruciavano:

    e

    di

    tali

    triste

    fiammate

    se

    ne

    faceva

    di

    continuo,

    non

    soltanto,

    ma

    in

    varie

    parti

    delle

    mura.

    Il

    tempo

    era

    chiuso,

    l’aria

    pesante,

    il

    cielo

    velato

    per

    tutto

    da

    una

    nuvola

    o

    da

    un

    nebbione

    uguale,

    inerte,

    che

    pareva

    negare

    il

    sole,

    senza

    prometter

    la

    pioggia;

    la

    campagna

    d’intorno,

    parte

    incolta,

    e

    tutta

    arida;

    ogni

    verzura

    scolorita,

    e

    neppure

    una

    gocciola

    di

    rugiada

    sulle

    foglie

    passe

    e

    cascanti.

    Per

    di

    più,

    quella

    solitudine,

    quel

    silenzio,

    così

    vicino

    a

    una

    gran

    città,

    aggiungevano

    una

    nuova

    costernazione

    all’inquietudine

    di

    Renzo,

    e

    rendevan

    più

    tetri

    tutti

    i

    suoi

    pensieri.

    Stato

    alquanto,

    prese

    la

    diritta,

    alla

    ventura,

    andando,

    senza

    saperlo,

    verso

    porta

    Nuova,

    della

    quale,

    quantunque

    vicina,

    non

    poteva

    accorgersi,

    a

    cagione

    d’un

    baluardo,

    dietro

    cui

    era

    allora

    nascosta.

    Dopo

    pochi

    passi,

    principiò

    a

    sentire

    un

    tintinnìo

    di

    campanelli,

    che

    cessava

    e

    ricominciava

    ogni

    tanto,

    e

    poi

    qualche

    voce

    d’uomo.

    Andò

    avanti

    e,

    passato

    il

    canto

    del

    baluardo,

    vide

    per

    la

    prima

    cosa,

    un

    casotto

    di

    legno,

    e

    sull’uscio,

    una

    guardia

    appoggiata

    al

    moschetto,

    con

    una

    cert’aria

    stracca

    e

    trascurata:

    dietro

    c’era

    uno

    stecconato,

    e

    dietro

    quello,

    la

    porta,

    cioè

    due

    alacce

    di

    muro,

    con

    una

    tettoia

    sopra,

    per

    riparare

    i

    battenti;

    i

    quali

    erano

    spalancati,

    come

    pure

    il

    cancello

    dello

    stecconato.

    Però,

    davanti

    appunto

    all’apertura,

    c’era

    in

    terra

    un

    tristo

    impedimento:

    una

    barella,

    sulla

    quale

    due

    monatti

    accomodavano

    un

    poverino,

    per

    portarlo

    via.

    Era

    il

    capo

    de’

    gabellieri,

    a

    cui,

    poco

    prima,

    s’era

    scoperta

    la

    peste.

    Renzo

    si

    fermò,

    aspettando

    la

    fine:

    partito

    il

    convoglio,

    e

    non

    venendo

    nessuno

    a

    richiudere

    il

    cancello,

    gli

    parve

    tempo,

    e

    ci

    s’avviò

    in

    fretta;

    ma

    la

    guardia,

    con

    una

    manieraccia,

    gli

    gridò:

    “olà!”

    Renzo

    si

    fermò

    di

    nuovo

    su

    due

    piedi,

    e,

    datogli

    d’occhio,

    tirò

    fuori

    un

    mezzo

    ducatone,

    e

    glielo

    fece

    vedere.

    Colui,

    o

    che

    avesse

    già

    avuta

    la

    peste,

    o

    che

    la

    temesse

    meno

    di

    quel

    che

    amava

    i

    mezzi

    ducatoni,

    accennò

    a

    Renzo

    che

    glielo

    buttasse;

    e

    vistoselo

    volar

    subito

    a’

    piedi,

    susurrò:

    va’

    innanzi

    presto.”

    Renzo

    non

    se

    lo

    fece

    dir

    due

    volte;

    passò

    lo

    stecconato,

    passò

    la

    porta,

    andò

    avanti,

    senza

    che

    nessuno

    s’accorgesse

    di

    lui,

    o

    gli

    badasse;

    se

    non

    che,

    quando

    ebbe

    fatti

    forse

    quaranta

    passi,

    sentì

    un

    altro

    “olà”

    che

    un

    gabelliere

    gli

    gridava

    dietro.

    Questa

    volta,

    fece

    le

    viste

    di

    non

    sentire,

    e,

    senza

    voltarsi

    nemmeno,

    allungò

    il

    passo.

    Olà!

    gridò

    di

    nuovo

    il

    gabelliere,

    con

    una

    voce

    però

    che

    indicava

    più

    impazienza

    che

    risoluzione

    di

    farsi

    ubbidire;

    e

    non

    essendo

    ubbidito,

    alzò

    le

    spalle,

    e

    tornò

    nella

    sua

    casaccia,

    come

    persona

    a

    cui

    premesse

    più

    di

    non

    accostarsi

    troppo

    ai

    passeggieri,

    che

    d’informarsi

    de’

    fatti

    loro.

    La

    strada

    che

    Renzo

    aveva

    presa,

    andava

    allora,

    come

    adesso,

    diritta

    fino

    al

    canale

    detto

    il

    Naviglio:

    i

    lati

    erano

    siepi

    o

    muri

    d’orti,

    chiese

    e

    conventi,

    e

    poche

    case.

    In

    cima

    a

    questa

    strada,

    e

    nel

    mezzo

    di

    quella

    che

    costeggia

    il

    canale,

    c’era

    una

    colonna,

    con

    una

    croce

    detta

    la

    croce

    di

    sant’Eusebio.

    E

    per

    quanto

    Renzo

    guardasse

    innanzi,

    non

    vedeva

    altro

    che

    quella

    croce.

    Arrivato

    al

    crocicchio

    che

    divide

    la

    strada

    circa

    alla

    metà,

    e

    guardando

    dalle

    due

    parti,

    vide

    a

    dritta,

    in

    quella

    strada

    che

    si

    chiama

    lo

    stradone

    di

    santa

    Teresa,

    un

    cittadino

    che

    veniva

    appunto

    verso

    di

    lui.

    Un

    cristiano,

    finalmente!

    disse

    tra

    sè;

    e

    si

    voltò

    subito

    da

    quella

    parte,

    pensando

    di

    farsi

    insegnar

    la

    strada

    da

    lui.

    Questo

    pure

    aveva

    visto

    il

    forestiero

    che

    s’avanzava;

    e

    andava

    squadrandolo

    da

    lontano,

    con

    uno

    sguardo

    sospettoso;

    e

    tanto

    più,

    quando

    s’accorse

    che,

    in

    vece

    d’andarsene

    per

    i

    fatti

    suoi,

    gli

    veniva

    incontro.

    Renzo,

    quando

    fu

    poco

    distante,

    si

    levò

    il

    cappello,

    da

    quel

    montanaro

    rispettoso

    che

    era;

    e

    tenendolo

    con

    la

    sinistra,

    mise

    l’altra

    mano

    nel

    cocuzzolo,

    e

    andò

    più

    direttamente

    verso

    lo

    sconosciuto.

    Ma

    questo,

    stralunando

    gli

    occhi

    affatto,

    fece

    un

    passo

    addietro,

    alzò

    un

    noderoso

    bastone,

    e

    voltata

    la

    punta,

    ch’era

    di

    ferro,

    alla

    vita

    di

    Renzo,

    gridò:

    “via!

    via!

    via!”

    “Oh

    oh!”

    gridò

    il

    giovine

    anche

    lui;

    rimise

    il

    cappello

    in

    testa,

    e,

    avendo

    tutt’altra

    voglia,

    come

    diceva

    poi,

    quando

    raccontava

    la

    cosa,

    che

    di

    metter

    su

    lite

    in

    quel

    momento,

    voltò

    le

    spalle

    a

    quello

    stravagante,

    e

    continuò

    la

    sua

    strada,

    o,

    per

    meglio

    dire,

    quella

    in

    cui

    si

    trovava

    avviato.

    L’altro

    tirò

    avanti

    anche

    lui

    per

    la

    sua,

    tutto

    fremente,

    e

    voltandosi,

    ogni

    momento,

    indietro.

    E

    arrivato

    a

    casa,

    raccontò

    che

    gli

    s’era

    accostato

    un

    untore,

    con

    un’aria

    umile,

    mansueta,

    con

    un

    viso

    d’infame

    impostore,

    con

    lo

    scatolino

    dell’unto,

    o

    l’involtino

    della

    polvere

    (non

    era

    ben

    certo

    qual

    de’

    due)

    in

    mano,

    nel

    cocuzzolo

    del

    cappello,

    per

    fargli

    il

    tiro,

    se

    lui

    non

    l’avesse

    saputo

    tener

    lontano.

    “Se

    mi

    s’accostava

    un

    passo

    di

    più,”

    soggiunse,

    “l’infilavo

    addirittura,

    prima

    che

    avesse

    tempo

    d’accomodarmi

    me,

    il

    birbone.

    La

    disgrazia

    fu

    ch’eravamo

    in

    un

    luogo

    così

    solitario,

    ché

    se

    era

    in

    mezzo

    Milano,

    chiamavo

    gente,

    e

    mi

    facevo

    aiutare

    a

    acchiapparlo.

    Sicuro

    che

    gli

    si

    trovava

    quella

    scellerata

    porcheria

    nel

    cappello.

    Ma

    da

    solo

    a

    solo,

    mi

    son

    dovuto

    contentare

    di

    fargli

    paura,

    senza

    risicare

    di

    cercarmi

    un

    malanno;

    perchè

    un

    po’

    di

    polvere

    è

    subito

    buttata;

    e

    coloro

    hanno

    una

    destrezza

    particolare;

    e

    poi

    hanno

    il

    diavolo

    dalla

    loro.

    Ora

    sarà

    in

    giro

    per

    Milano:

    chi

    sa

    che

    strage

    fa!

    E

    fin

    che

    visse,

    che

    fu

    per

    molt’anni,

    ogni

    volta

    che

    si

    parlasse

    d’untori,

    ripeteva

    la

    sua

    storia,

    e

    soggiungeva:

    “quelli

    che

    sostengono

    ancora

    che

    non

    era

    vero,

    non

    lo

    vengano

    a

    dire

    a

    me;

    perchè

    le

    cose

    bisogna

    averle

    viste.”

    Renzo,

    lontano

    dall’immaginarsi

    come

    l’avesse

    scampata

    bella,

    e

    agitato

    più

    dalla

    rabbia

    che

    dalla

    paura,

    pensava,

    camminando,

    a

    quell’accoglienza,

    e

    indovinava

    bene

    a

    un

    di

    presso

    ciò

    che

    lo

    sconosciuto

    aveva

    pensato

    di

    lui;

    ma

    la

    cosa

    gli

    pareva

    così

    irragionevole,

    che

    concluse

    tra

    che

    colui

    doveva

    essere

    un

    qualche

    mezzo

    matto.

    La

    principia

    male,

    pensava

    però:

    par

    che

    ci

    sia

    un

    pianeta

    per

    me,

    in

    questo

    Milano.

    Per

    entrare,

    tutto

    mi

    va

    a

    seconda;

    e

    poi,

    quando

    ci

    son

    dentro,

    trovo

    i

    dispiaceri

    apparecchiati.

    Basta…

    coll’aiuto

    di

    Dio…

    se

    trovo…

    se

    ci

    riesco

    a

    trovare…

    eh!

    tutto

    sarà

    stato

    niente.

    Arrivato

    al

    ponte,

    voltò,

    senza

    esitare,

    a

    sinistra,

    nella

    strada

    di

    san

    Marco,

    parendogli,

    a

    ragione,

    che

    dovesse

    condurre

    verso

    l’interno

    della

    città.

    E

    andando

    avanti,

    guardava

    in

    qua

    e

    in

    là,

    per

    veder

    se

    poteva

    scoprire

    qualche

    creatura

    umana;

    ma

    non

    ne

    vide

    altra

    che

    uno

    sformato

    cadavere

    nel

    piccol

    fosso

    che

    corre

    tra

    quelle

    poche

    case

    (che

    allora

    erano

    anche

    meno),

    e

    un

    pezzo

    della

    strada.

    Passato

    quel

    pezzo,

    sentì

    gridare:

    “o

    quell’uomo!”

    e

    guardando

    da

    quella

    parte,

    vide

    poco

    lontano,

    a

    un

    terrazzino

    d’una

    casuccia

    isolata,

    una

    povera

    donna,

    con

    una

    nidiata

    di

    bambini

    intorno;

    la

    quale,

    seguitandolo

    a

    chiamare,

    gli

    fece

    cenno

    anche

    con

    la

    mano.

    Ci

    andò

    di

    corsa;

    e

    quando

    fu

    vicino,

    “o

    quel

    giovine,”

    disse

    quella

    donna:

    “per

    i

    vostri

    poveri

    morti,

    fate

    la

    carità

    d’andare

    a

    avvertire

    il

    commissario

    che

    siamo

    qui

    dimenticati.

    Ci

    hanno

    chiusi

    in

    casa

    come

    sospetti,

    perchè

    il

    mio

    povero

    marito

    è

    morto;

    ci

    hanno

    inchiodato

    l’uscio,

    come

    vedete;

    e

    da

    ier

    mattina,

    nessuno

    è

    venuto

    a

    portarci

    da

    mangiare.

    In

    tante

    ore

    che

    siam

    qui,

    non

    m’è

    mai

    capitato

    un

    cristiano

    che

    me

    la

    facesse

    questa

    carità:

    e

    questi

    poveri

    innocenti

    moion

    di

    fame.”

    “Di

    fame!”

    esclamò

    Renzo;

    e,

    cacciate

    le

    mani

    nelle

    tasche,

    “ecco,

    ecco,”

    disse,

    tirando

    fuori

    i

    due

    pani:

    “calatemi

    giù

    qualcosa

    da

    metterli

    dentro.”

    “Dio

    ve

    ne

    renda

    merito;

    aspettate

    un

    momento,”

    disse

    quella

    donna;

    e

    andò

    a

    cercare

    un

    paniere,

    e

    una

    fune

    da

    calarlo,

    come

    fece.

    A

    Renzo

    intanto

    gli

    vennero

    in

    mente

    que’

    pani

    che

    aveva

    trovati

    vicino

    alla

    croce,

    nell’altra

    sua

    entrata

    in

    Milano,

    e

    pensava:

    ecco:

    è

    una

    restituzione,

    e

    forse

    meglio

    che

    se

    gli

    avessi

    restituiti

    al

    proprio

    padrone:

    perchè

    qui

    è

    veramente

    un’opera

    di

    misericordia.

    “In

    quanto

    al

    commissario

    che

    dite,

    la

    mia

    donna,”

    disse

    poi,

    mettendo

    i

    pani

    nel

    paniere,

    “io

    non

    vi

    posso

    servire

    in

    nulla;

    perchè,

    per

    dirvi

    la

    verità,

    son

    forestiero,

    e

    non

    son

    niente

    pratico

    di

    questo

    paese.

    Però,

    se

    incontro

    qualche

    uomo

    un

    po’

    domestico

    e

    umano,

    da

    potergli

    parlare,

    lo

    dirò

    a

    lui.”

    La

    donna

    lo

    pregò

    che

    facesse

    così,

    e

    gli

    disse

    il

    nome

    della

    strada,

    onde

    lui

    sapesse

    indicarla.

    “Anche

    voi,”

    riprese

    Renzo,

    “credo

    che

    potrete

    farmi

    un

    piacere,

    una

    vera

    carità,

    senza

    vostro

    incomodo.

    Una

    casa

    di

    cavalieri,

    di

    gran

    signoroni,

    qui

    di

    Milano,

    casa

    ***

    sapreste

    insegnarmi

    dove

    sia?”

    “So

    che

    la

    c’è

    questa

    casa”,

    rispose

    la

    donna:

    “ma

    dove

    sia,

    non

    lo

    so

    davvero.

    Andando

    avanti

    di

    qua,

    qualcheduno

    che

    ve

    la

    insegni,

    lo

    troverete.

    E

    ricordatevi

    di

    dirgli

    anche

    di

    noi.”

    “Non

    dubitate,”

    disse

    Renzo,

    e

    andò

    avanti.

    A

    ogni

    passo,

    sentiva

    crescere

    e

    avvicinarsi

    un

    rumore

    che

    già

    aveva

    cominciato

    a

    sentire

    mentre

    era

    fermo

    a

    discorrere:

    un

    rumor

    di

    ruote

    e

    di

    cavalli,

    con

    un

    tintinnìo

    di

    campanelli,

    e

    ogni

    tanto

    un

    chioccar

    di

    fruste,

    con

    un

    accompagnamento

    d’urli.

    Guardava

    innanzi,

    ma

    non

    vedeva

    nulla.

    Arrivato

    allo

    sbocco

    di

    quella

    strada,

    scoprendosegli

    davanti

    la

    piazza

    di

    san

    Marco,

    la

    prima

    cosa

    che

    gli

    diede

    nell’occhio,

    furon

    due

    travi

    ritte,

    con

    una

    corda,

    e

    con

    certe

    carrucole;

    e

    non

    tardò

    a

    riconoscere

    (ch’era

    cosa

    famigliare

    in

    quel

    tempo)

    l’abbominevole

    macchina

    della

    tortura.

    Era

    rizzata

    in

    quel

    luogo,

    e

    non

    in

    quello

    soltanto,

    ma

    in

    tutte

    le

    piazze

    e

    nelle

    strade

    più

    spaziose,

    affinchè

    i

    deputati

    d’ogni

    quartiere,

    muniti

    a

    questo

    d’ogni

    facoltà

    più

    arbitraria,

    potessero

    farci

    applicare

    immediatamente

    chiunque

    paresse

    loro

    meritevole

    di

    pena:

    o

    sequestrati

    che

    uscissero

    di

    casa,

    o

    subalterni

    che

    non

    facessero

    il

    loro

    dovere,

    o

    chiunque

    altro.

    Era

    uno

    di

    que’

    rimedi

    eccessivi

    e

    inefficaci

    de’

    quali,

    a

    quel

    tempo,

    e

    in

    que’

    momenti

    specialmente,

    si

    faceva

    tanto

    scialacquìo.

    Ora,

    mentre

    Renzo

    guarda

    quello

    strumento,

    pensando

    perchè

    possa

    essere

    alzato

    in

    quel

    luogo,

    sente

    avvicinarsi

    sempre

    più

    il

    rumore,

    e

    vede

    spuntar

    dalla

    cantonata

    della

    chiesa

    un

    uomo

    che

    scoteva

    un

    campanello:

    era

    un

    apparitore;

    e

    dietro

    a

    lui

    due

    cavalli

    che,

    allungando

    il

    collo,

    e

    puntando

    le

    zampe,

    venivano

    avanti

    a

    fatica;

    e

    strascinato

    da

    quelli,

    un

    carro

    di

    morti,

    e

    dopo

    quello

    un

    altro,

    e

    poi

    un

    altro

    e

    un

    altro;

    e

    di

    qua

    e

    di

    là,

    monatti

    alle

    costole

    de’

    cavalli,

    spingendoli,

    a

    frustate,

    a

    punzoni,

    a

    bestemmie.

    Eran

    que’

    cadaveri,

    la

    più

    parte

    ignudi,

    alcuni

    mal

    involtati

    in

    qualche

    cencio,

    ammonticchiati,

    intrecciati

    insieme,

    come

    un

    gruppo

    di

    serpi

    che

    lentamente

    si

    svolgano

    al

    tepore

    della

    primavera;

    chè,

    a

    ogni

    intoppo,

    a

    ogni

    scossa,

    si

    vedevan

    que’

    mucchi

    funesti

    tremolare

    e

    scompaginarsi

    bruttamente,

    e

    ciondolar

    teste,

    e

    chiome

    verginali

    arrovesciarsi,

    e

    braccia

    svincolarsi,

    e

    batter

    sulle

    rote,

    mostrando

    all’occhio

    già

    inorridito

    come

    un

    tale

    spettacolo

    poteva

    divenire

    più

    doloroso

    e

    più

    sconcio.

    Il

    giovine

    s’era

    fermato

    sulla

    cantonata

    della

    piazza,

    vicino

    alla

    sbarra

    del

    canale,

    e

    pregava

    intanto

    per

    que’

    morti

    sconosciuti.

    Un

    atroce

    pensiero

    gli

    balenò

    in

    mente:

    forse

    là,

    insieme,

    sotto…

    Oh,

    Signore!

    fate

    che

    non

    sia

    vero!

    fate

    ch’io

    non

    ci

    pensi!

    Passato

    il

    convoglio

    funebre,

    Renzo

    si

    mosse,

    attraversò

    la

    piazza,

    prendendo

    lungo

    il

    canale

    a

    mancina,

    senz’altra

    ragione

    della

    scelta,

    se

    non

    che

    il

    convoglio

    era

    andato

    dall’altra

    parte.

    Fatti

    que’

    quattro

    passi

    tra

    il

    fianco

    della

    chiesa

    e

    il

    canale,

    vide

    a

    destra

    il

    ponte

    Marcellino;

    prese

    di

    lì,

    e

    riuscì

    in

    Borgo

    Nuovo.

    E

    guardando

    innanzi,

    sempre

    con

    quella

    mira

    di

    trovar

    qualcheduno

    da

    farsi

    insegnar

    la

    strada,

    vide

    in

    fondo

    a

    quella

    un.prete

    in

    farsetto,

    con

    un

    bastoncino

    in

    mano,

    ritto

    vicino

    a

    un

    uscio

    socchiuso,

    col

    capo

    chinato,

    e

    l’orecchio

    allo

    spiraglio;

    e

    poco

    dopo

    lo

    vide

    alzar

    la

    mano

    e

    benedire.

    Congetturò

    quello

    ch’era

    di

    fatto,

    cioè

    che

    finisse

    di

    confessar

    qualcheduno;

    e

    disse

    tra

    sè:

    questo

    è

    l’uomo

    che

    fa

    per

    me.

    Se

    un

    prete,

    in

    funzion

    di

    prete,

    non

    ha

    un

    po’

    di

    carità,

    un

    po’

    d’amore

    e

    di

    buona

    grazia,

    bisogna

    dire

    che

    non

    ce

    ne

    sia

    più

    in

    questo

    mondo

    “.

    Intanto

    il

    prete,

    staccatosi

    dall’uscio,

    veniva

    dalla

    parte

    di

    Renzo,

    tenendosi,

    con

    gran

    riguardo,

    nel

    mezzo

    della

    strada.

    Renzo,

    quando

    gli

    fu

    vicino,

    si

    levò

    il

    cappello,

    e

    gli

    accennò

    che

    desiderava

    parlargli,

    fermandosi

    nello

    stesso

    tempo,

    in

    maniera

    da

    fargli

    intendere

    che

    non

    si

    sarebbe

    accostato

    di

    più.

    Quello

    pure

    si

    fermò,

    in

    atto

    di

    stare

    a

    sentire,

    puntando

    però

    in

    terra

    il

    suo

    bastoncino

    davanti

    a

    sè,

    come

    per

    farsene

    un

    baluardo.

    Renzo

    espose

    la

    sua

    domanda,

    alla

    quale

    il

    prete

    soddisfece,

    non

    solo

    con

    dirgli

    il

    nome

    della

    strada

    dove

    la

    casa

    era

    situata,

    ma

    dandogli

    anche,

    come

    vide

    che

    il

    poverino

    n’aveva

    bisogno,

    un

    po’

    d’itinerario;

    indicandogli,

    cioè,

    a

    forza

    di

    diritte

    e

    di

    mancine,

    di

    chiese

    e

    di

    croci,

    quell’altre

    sei

    o

    otto

    strade

    che

    aveva

    da

    passare

    per

    arrivarci.

    “Dio

    la

    mantenga

    sano,

    in

    questi

    tempi,

    e

    sempre,”

    disse

    Renzo:

    e

    mentre

    quello

    si

    moveva

    per

    andarsene,

    “un’altra

    carità,”

    soggiunse;

    e

    gli

    disse

    della

    povera

    donna

    dimenticata.

    Il

    buon

    prete

    ringraziò

    lui

    d’avergli

    dato

    occasione

    di

    fare

    una

    carità

    così

    necessaria;

    e,

    dicendo

    che

    andava

    ad

    avvertire

    chi

    bisognava,

    tirò

    avanti.

    Renzo

    si

    mosse

    anche

    lui,

    e,

    camminando,

    cercava

    di

    fare

    a

    se

    stesso

    una

    ripetizione

    dell’itinerario,

    per

    non

    esser

    da

    capo

    a

    dover

    domandare

    a

    ogni

    cantonata.

    Ma

    non

    potreste

    immaginarvi

    come

    quell’operazione

    gli

    riuscisse

    penosa,

    e

    non

    tanto

    per

    la

    difficoltà

    della

    cosa

    in

    sè,

    quanto

    per

    un

    nuovo

    turbamento

    che

    gli

    era

    nato

    nell’animo.

    Quel

    nome

    della

    strada,

    quella

    traccia

    del

    cammino

    l’avevan

    messo

    così

    sottosopra.

    Era

    l’indizio

    che

    aveva

    desiderato

    e

    domandato,

    e

    del

    quale

    non

    poteva

    far

    di

    meno;

    gli

    era

    stato

    detto

    nient’altro,

    da

    che

    potesse

    ricavare

    nessun

    augurio

    sinistro;

    ma

    che

    volete?

    quell’idea

    un

    po’

    più

    distinta

    d’un

    termine

    vicino,

    dove

    uscirebbe

    d’una

    grand’incertezza,

    dove

    potrebbe

    sentirsi

    dire:

    è

    viva,

    o

    sentirsi

    dire:

    è

    morta;

    quell’idea

    l’aveva

    così

    colpito

    che,

    in

    quel

    momento,

    gli

    sarebbe

    piaciuto

    più

    di

    trovarsi

    ancora

    ai

    buio

    di

    tutto,

    d’essere

    al

    principio

    del

    viaggio,

    di

    cui

    ormai

    toccava

    la

    fine.

    Raccolse

    però

    le

    sue

    forze,

    e

    disse

    a

    se

    stesso:

    ehi!

    se

    principiamo

    ora

    a

    fare

    il

    ragazzo,

    com’anderà?

    Così

    rinfrancato

    alla

    meglio,

    seguitò

    la

    sua

    strada,

    inoltrandosi

    nella

    città.

    Quale

    città!

    e

    cos’era

    mai,

    al

    paragone,

    quello

    ch’era

    stata

    l’anno

    avanti,

    per

    cagion

    della

    fame!

    Renzo

    s’abbatteva

    appunto

    a

    passare

    per

    una

    delle

    parti

    più

    squallide

    e

    più

    desolate:

    quella

    crociata

    di

    strade

    che

    si

    chiamava

    il

    carrobio

    di

    porta

    Nuova.

    (C’era

    allora

    una

    croce

    nel

    mezzo,

    e,

    dirimpetto

    ad

    essa,

    accanto

    a

    dove

    ora

    è

    san

    Francesco

    di

    Paola,

    una

    vecchia

    chiesa

    col

    titolo

    di

    sant’Anastasia).

    Tanta

    era

    stata

    in

    quel

    vicinato

    la

    furia

    del

    contagio,

    e

    il

    fetor

    de’

    cadaveri

    lasciati

    che

    i

    pochi

    rimasti

    vivi

    erano

    stati

    costretti

    a

    sgomberare:

    sicchè,

    alla

    mestizia

    che

    dava

    al

    passeggiero

    quell’aspetto

    di

    solitudine

    e

    d’abbandono,

    s’aggiungeva

    l’orrore

    e

    lo

    schifo

    delle

    tracce

    e

    degli

    avanzi

    della

    recente

    abitazione.

    Renzo

    affrettò

    il

    passo,

    facendosi

    coraggio

    col

    pensare

    che

    la

    meta

    non

    doveva

    essere

    così

    vicina,

    e

    sperando

    che,

    prima

    d’arrivarci,

    troverebbe

    mutata,

    almeno

    in

    parte,

    la

    scena;

    e

    infatti,

    di

    a

    non

    molto,

    riuscì

    in

    un

    luogo

    che

    poteva

    pur

    dirsi

    città

    di

    viventi;

    ma

    quale

    città

    ancora,

    e

    quali

    viventi!

    Serrati,

    per

    sospetto

    e

    per

    terrore,

    tutti

    gli

    usci

    di

    strada,

    salvo

    quelli

    che

    fossero

    spalancati

    per

    esser

    le

    case

    disabitate,

    o

    invase;

    altri

    inchiodati

    e

    sigillati,

    per

    esser

    nelle

    case

    morta

    o

    ammalata

    gente

    di

    peste;

    altri

    segnati

    d’una

    croce

    fatta

    col

    carbone,

    per

    indizio

    ai

    monatti,

    che

    c’eran

    de’

    morti

    da

    portar

    via:

    il

    tutto

    più

    alla

    ventura

    che

    altro,

    secondo

    che

    si

    fosse

    trovato

    piuttosto

    qua

    che

    un

    qualche

    commissario

    della

    Sanità

    o

    altro

    impiegato,

    che

    avesse

    voluto

    eseguir

    gli

    ordini,

    o

    fare

    un’angheria.

    Per

    tutto

    cenci

    e,

    più

    ributtanti

    de’

    cenci,

    fasce

    marciose,

    strame

    ammorbato,

    o

    lenzoli

    buttati

    dalle

    finestre;

    talvolta

    corpi,

    o

    di

    persone

    morte

    all’improvviso,

    nella

    strada,

    e

    lasciati

    fin

    che

    passasse

    un

    carro

    da

    portarli

    via,

    o

    cascati

    da’

    carri

    medesimi,

    o

    buttati

    anch’essi

    dalle

    finestre:

    tanto

    l’insistere

    e

    l’imperversar

    del

    disastro

    aveva

    insalvatichiti

    gli

    animi,

    e

    fatto

    dimenticare

    ogni

    cura

    di

    pietà,

    ogni,

    riguardo

    sociale!

    Cessato

    per

    tutto

    ogni

    rumor

    di

    botteghe,

    ogni

    strepito

    di

    carrozze,

    ogni

    grido

    di

    venditori,

    ogni

    chiacchierìo

    di

    passeggieri,

    era

    ben

    raro

    che

    quel

    silenzio

    di

    morte

    fosse

    rotto

    da

    altro

    che

    da

    rumor

    di

    carri

    funebri,

    da

    lamenti

    di

    poveri,

    da

    rammarichìo

    d’infermi,

    da

    urli

    di

    frenetici,

    da

    grida

    di

    monatti.

    All’alba,

    a

    mezzogiorno,

    a

    sera,

    una

    campana

    del

    duomo

    dava

    il

    segno

    di

    recitar

    certe

    preci

    assegnate

    dall’arcivescovo:

    a

    quel

    tocco

    rispondevan

    le

    campane

    dell’altre

    chiese;

    e

    allora

    avreste

    veduto

    persone

    affacciarsi

    alle

    finestre,

    a

    pregare

    in

    comune;

    avreste

    sentito

    un

    bisbiglio

    di

    voci

    e

    di

    gemiti,

    che

    spirava

    una

    tristezza

    mista

    pure

    di

    qualche

    conforto.

    Morti

    a

    quell’ora

    forse

    i

    due

    terzi

    de’

    cittadini,

    andati

    via

    o

    ammalati

    una

    buona

    parte

    del

    resto,

    ridotto

    quasi

    a

    nulla

    il

    concorso

    della

    gente

    di

    fuori,

    de’

    pochi

    che

    andavan

    per

    le

    strade,

    non

    se

    ne

    sarebbe

    per

    avventura,

    in

    un

    lungo

    giro,

    incontrato

    uno

    solo

    in

    cui

    non

    si

    vedesse

    qualcosa

    di

    strano,

    e

    che

    dava

    indizio

    d’una

    funesta

    mutazione

    di

    cose.

    Si

    vedevano

    gli

    uomini

    più

    qualificati,

    senza

    cappa

    mantello,

    parte

    allora

    essenzialissima

    del

    vestiario

    civile;

    senza

    sottana

    i

    preti,

    e

    anche

    de’

    religiosi

    in

    farsetto;

    dismessa

    in

    somma

    ogni

    sorte

    di

    vestito

    che

    potesse

    con

    gli

    svolazzi

    toccar

    qualche

    cosa,

    o

    dare

    (ciò

    che

    si

    temeva

    più

    di

    tutto

    il

    resto)

    agio

    agli

    untori.

    E

    fuor

    di

    questa

    cura

    d’andar

    succinti

    e

    ristretti

    il

    più

    che

    fosse

    possibile,

    negletta

    e

    trasandata

    ogni

    persona;

    lunghe

    le

    barbe

    di

    quelli

    che

    usavan

    portarle,

    cresciute

    a

    quelli

    che

    prima

    costumavan

    di

    raderle;

    lunghe

    pure

    e

    arruffate

    le

    capigliature,

    non

    solo

    per

    quella

    trascuranza

    che

    nasce

    da

    un

    invecchiato

    abbattimento,

    ma

    per

    esser

    divenuti

    sospetti

    i

    barbieri,

    da

    che

    era

    stato

    preso

    e

    condannato,

    come

    untor

    famoso,

    uno

    di

    loro,

    Giangiacomo

    Mora:

    nome

    che,

    per

    un

    pezzo,

    conservò

    una

    celebrità

    municipale

    d’infamia,

    e

    ne

    meriterebbe

    una

    ben

    più

    diffusa

    e

    perenne

    di

    pietà.

    I

    più

    tenevano

    da

    una

    mano

    un

    bastone,

    alcuni

    anche

    una

    pistola,

    per

    avvertimento

    minaccioso

    a

    chi

    avesse

    voluto

    avvicinarsi

    troppo;

    dall’altra

    pasticche

    odorose,

    o

    palle

    di

    metallo

    o

    di

    legno

    traforate,

    con

    dentro

    spugne

    inzuppate

    d’aceti

    medicati;

    e

    se

    le

    andavano

    ogni

    tanto

    mettendo

    al

    naso,

    o

    ce

    le

    tenevano

    di

    continuo.

    Portavano

    alcuni

    attaccata

    al

    collo

    una

    boccetta

    con

    dentro

    un

    po’

    d’argento

    vivo,

    persuasi

    che

    avesse

    la

    virtù

    d’assorbire

    e

    di

    ritenere

    ogni

    esalazione

    pestilenziale;

    e

    avevan

    poi

    cura

    di

    rinnovarlo

    ogni

    tanti

    giorni.

    I

    gentiluomini,

    non

    solo

    uscivano

    senza

    il

    solito

    seguito,

    ma

    si

    vedevano,

    con

    una

    sporta

    in

    braccio,

    andare

    a

    comprar

    le

    cose

    necessarie

    al

    vitto.

    Gli

    amici,

    quando

    pur

    due

    s’incontrassero

    per

    la

    strada,

    si

    salutavan

    da

    lontano,

    con

    cenni

    taciti

    e

    frettolosi.

    Ognuno,

    camminando,

    aveva

    molto

    da

    fare,

    per

    iscansare

    gli

    schifosi

    e

    mortiferi

    inciampi

    di

    cui

    il

    terreno

    era

    sparso

    e,

    in

    qualche

    luogo,

    anche

    affatto

    ingombro:

    ognuno

    cercava

    di

    stare

    in

    mezzo

    alla

    strada,

    per

    timore

    d’altro

    sudiciume,

    o

    d’altro

    più

    funesto

    peso

    che

    potesse

    venir

    giù

    dalle

    finestre;

    per

    timore

    delle

    polveri

    venefiche

    che

    si

    diceva

    esser

    spesso

    buttate

    da

    quelle

    su’

    passeggieri;

    per

    timore

    delle

    muraglie,

    che

    potevan

    esser

    unte.

    Così

    l’ignoranza,

    coraggiosa

    e

    guardinga

    alla

    rovescia,

    aggiungeva

    ora

    angustie

    all’angustie,

    e

    dava

    falsi

    terrori,

    in

    compenso

    de’

    ragionevoli

    e

    salutari

    che

    aveva

    levati

    da

    principio.

    Tal

    era

    ciò

    che

    di

    meno

    deforme

    e

    di

    men

    compassionevole

    si

    faceva

    vedere

    intorno,

    i

    sani,

    gli

    agiati:

    chè,

    dopo

    tante

    immagini

    di

    miseria,

    e

    pensando

    a

    quella

    ancor

    più

    grave,

    per

    mezzo

    alla

    quale

    dovrem

    condurre

    il

    lettore,

    non

    ci

    fermeremo

    ora

    a

    dir

    qual

    fosse

    lo

    spettacolo

    degli

    appestati

    che

    si

    strascicavano

    o

    giacevano

    per

    le

    strade,

    de’

    poveri,

    de’

    fanciulli,

    delle

    donne.

    Era

    tale,

    che

    il

    riguardante

    poteva

    trovar

    quasi

    un

    disperato

    conforto

    in

    ciò

    che

    ai

    lontani

    e

    ai

    posteri

    fa

    la

    più

    forte

    e

    dolorosa

    impressione;

    nel

    pensare,

    dico,

    nel

    vedere

    quanto

    que’

    viventi

    fossero

    ridotti

    a

    pochi.

    In

    mezzo

    a

    questa

    desolazione

    aveva

    Renzo

    fatto

    già

    una

    buona

    parte

    del

    suo

    cammino,

    quando,

    distante

    ancor

    molti

    passi

    da

    una

    strada

    in

    cui

    doveva

    voltare,

    sentì

    venir

    da

    quella

    un

    vario

    frastono,

    nel

    quale

    si

    faceva

    distinguere

    quel

    solito

    orribile

    tintinnìo.

    Arrivato

    alla

    cantonata

    della

    strada,

    ch’era

    una

    delle

    più

    larghe,

    vide

    quattro

    carri

    fermi

    nel

    mezzo;

    e

    come,

    in

    un

    mercato

    di

    granaglie,

    si

    vede

    un

    andare

    e

    venire

    di

    gente,

    un

    caricare

    e

    un

    rovesciar

    di

    sacchi,

    tale

    era

    il

    movimento

    in

    quel

    luogo:

    monatti

    ch’entravan

    nelle

    case,

    monatti

    che

    n’uscivan

    con

    un

    peso

    su

    le

    spalle,

    e

    lo

    mettevano

    su

    l’uno

    o

    l’altro

    carro:

    alcuni

    con

    la

    divisa

    rossa,

    altri

    senza

    quel

    distintivo,

    molti

    con

    uno

    ancor

    più

    odioso,

    pennacchi

    e

    fiocchi

    di

    vari

    colori,

    che

    quegli

    sciagurati

    portavano

    come

    per

    segno

    d’allegria,

    in

    tanto

    pubblico

    lutto.

    Ora

    da

    una,

    ora

    da

    un’altra

    finestra,

    veniva

    una

    voce

    lugubre:

    “qua,

    monatti!”

    E

    con

    suono

    ancor

    più

    sinistro,

    da

    quel

    tristo

    brulichìo

    usciva

    qualche

    vociaccia

    che

    rispondeva:

    “ora,

    ora.”

    Ovvero

    eran

    pigionali

    che

    brontolavano,

    e

    dicevano

    di

    far

    presto:

    ai

    quali

    i

    monatti

    rispondevano

    con

    bestemmie.

    Entrato

    nella

    strada,

    Renzo

    allungò

    il

    passo,

    cercando

    di

    non

    guardar

    quegl’ingombri,

    se

    non

    quanto

    era

    necessario

    per

    iscansarli;

    quando

    il

    suo

    sguardo

    s’incontrò

    in

    un

    oggetto

    singolare

    di

    pietà,

    d’una

    pietà

    che

    invogliava

    l’animo

    a

    contemplarlo;

    di

    maniera

    che

    si

    fermò,

    quasi

    senza

    volerlo.

    Scendeva

    dalla

    soglia

    d’uno

    di

    quegli

    usci,

    e

    veniva

    verso

    il

    convoglio,

    una

    donna,

    il

    cui

    aspetto

    annunziava

    una

    giovinezza

    avanzata,

    ma

    non

    trascorsa;

    e

    vi

    traspariva

    una

    bellezza

    velata

    e

    offuscata,

    ma

    non

    guasta,

    da

    una

    gran

    passione,

    e

    da

    un

    languor

    mortale:

    quella

    bellezza

    molle

    a

    un

    tempo

    e

    maestosa,

    che

    brilla

    nel

    sangue

    lombardo.

    La

    sua

    andatura

    era

    affaticata,

    ma

    non

    cascante;

    gli

    occhi

    non

    davan

    lacrime,

    ma

    portavan

    segno

    d’averne

    sparse

    tante;

    c’era

    in

    quel

    dolore

    un

    non

    so

    che

    di

    pacato

    e

    di

    profondo,

    che

    attestava

    un’anima

    tutta

    consapevole

    e

    presente

    a

    sentirlo.

    Ma

    non

    era

    il

    solo

    suo

    aspetto

    che,

    tra

    tante

    miserie,

    la

    indicasse

    così

    particolarmente

    alla

    pietà,

    e

    ravvivasse

    per

    lei

    quel

    sentimento

    ormai

    stracco

    e

    ammortito

    ne’

    cuori.

    Portava

    essa

    in

    collo

    una

    bambina

    di

    forse

    nov’anni,

    morta;

    ma

    tutta

    ben

    accomodata,

    co’

    capelli

    divisi

    sulla

    fronte,

    con

    un

    vestito

    bianchissimo,

    come

    se

    quelle

    mani

    l’avessero

    adornata

    per

    una

    festa

    promessa

    da

    tanto

    tempo,

    e

    data

    per

    premio.

    la

    teneva

    a

    giacere,

    ma

    sorretta,

    a

    sedere

    sur

    un

    braccio,

    col

    petto

    appoggiato

    al

    petto,

    come

    se

    fosse

    stata

    viva;

    se

    non

    che

    una

    manina

    bianca

    a

    guisa

    di

    cera

    spenzolava

    da

    una

    parte,

    con

    una

    certa

    inanimata

    gravezza,

    e

    il

    capo

    posava

    sull’omero

    della

    madre,

    con

    un

    abbandono

    più

    forte

    del

    sonno:

    della

    madre,

    chè,

    se

    anche

    la

    somiglianza

    de’

    volti

    non

    n’avesse

    fatto

    fede,

    l’avrebbe

    detto

    chiaramente

    quello

    de’

    due

    ch’esprimeva

    ancora

    un

    sentimento.

    Un

    turpe

    monatto

    andò

    per

    levarle

    la

    bambina

    dalle

    braccia,

    con

    una

    specie

    però

    d’insolito

    rispetto,

    con

    un’esitazione

    involontaria.

    Ma

    quella,

    tirandosi

    indietro,

    senza

    però

    mostrare

    sdegno

    disprezzo,

    “no!”

    disse:

    “non

    me

    la

    toccate

    per

    ora;

    devo

    metterla

    io

    su

    quel

    carro:

    prendete.”

    Così

    dicendo,

    aprì

    una

    mano,

    fece

    vedere

    una

    borsa,

    e

    la

    lasciò

    cadere

    in

    quella

    che

    il

    monatto

    le

    tese.

    Poi

    continuò:

    “promettetemi

    di

    non

    levarle

    un

    filo

    d’intorno,

    di

    lasciar

    che

    altri

    ardisca

    di

    farlo,

    e

    di

    metterla

    sotto

    terra

    così.”

    Il

    monatto

    si

    mise

    una

    mano

    al

    petto;

    e

    poi,

    tutto

    premuroso,

    e

    quasi

    ossequioso,

    più

    per

    il

    nuovo

    sentimento

    da

    cui

    era

    come

    soggiogato,

    che

    per

    l’inaspettata

    ricompensa,

    s’affaccendò

    a

    far

    un

    po’

    di

    posto

    sul

    carro

    per

    la

    morticina.

    La

    madre,

    dato

    a

    questa

    un

    bacio

    in

    fronte,

    la

    mise

    come

    sur

    un

    letto,

    ce

    l’accomodò,

    le

    stese

    sopra

    un

    panno

    bianco,

    e

    disse

    l’ultime

    parole:

    “addio,

    Cecilia!

    riposa

    in

    pace!

    Stasera

    verremo

    anche

    noi,

    per

    restar

    sempre

    insieme.

    Prega

    intanto

    per

    noi;

    ch’io

    pregherò

    per

    te

    e

    per

    gli

    altri.”

    Poi

    voltatasi

    di

    nuovo

    al

    monatto,

    “voi,”

    disse,

    “passando

    di

    qui

    verso

    sera,

    salirete

    a

    prendere

    anche

    me,

    e

    non

    me

    sola.”

    Così

    detto,

    rientrò

    in

    casa,

    e,

    un

    momento

    dopo,

    s’affacciò

    alla

    finestra,

    tenendo

    in

    collo

    un’altra

    bambina

    più

    piccola,

    viva,

    ma

    coi

    segni

    della

    morte

    in

    volto.

    Stette

    a

    contemplare

    quelle

    così

    indegne

    esequie

    della

    prima,

    finché

    il

    carro

    non

    si

    mosse,

    finché

    lo

    poté

    vedere;

    poi

    disparve.

    E

    che

    altro

    poté

    fare,

    se

    non

    posar

    sul

    letto

    l’unica

    che

    le

    rimaneva,

    e

    mettersele

    accanto

    per

    morire

    insieme?

    come

    il

    fiore

    già

    rigoglioso

    sullo

    stelo

    cade

    insieme

    col

    fiorellino

    ancora

    in

    boccia,

    al

    passar

    della

    falce

    che

    pareggia

    tutte

    l’erbe

    del

    prato.

    “O

    Signore!”

    esclamò

    Renzo:

    “esauditela!

    tiratela

    a

    voi,

    lei

    e

    la

    sua

    creaturina:

    hanno

    patito

    abbastanza!

    hanno

    patito

    abbastanza!”

    Riavuto

    da

    quella

    commozione

    straordinaria,

    e

    mentre

    cerca

    di

    tirarsi

    in

    mente

    l’itinerario

    per

    trovare

    se

    alla

    prima

    strada

    deve

    voltare,

    e

    se

    a

    diritta

    o

    a

    mancina,

    sente

    anche

    da

    questa

    venire

    un

    altro

    e

    diverso

    strepito,

    un

    suono

    confuso

    di

    grida

    imperiose,

    di

    fiochi

    lamenti,

    un

    pianger

    di

    donne,

    un

    mugolìo

    di

    fanciulli.

    Andò

    avanti,

    con

    in

    cuore

    quella

    solita

    trista

    e

    oscura

    aspettativa.

    Arrivato

    al

    crocicchio,

    vide

    da

    una

    parte

    una

    moltitudine

    confusa

    che

    s’avanzava,

    e

    si

    fermò

    lì,

    per

    lasciarla

    passare.

    Erano

    ammalati

    che

    venivan

    condotti

    al

    lazzeretto;

    alcuni,

    spinti

    a

    forza,

    resistevano

    in

    vano,

    in

    vano

    gridavano

    che

    volevan

    morire

    sul

    loro

    letto,

    e

    rispondevano

    con

    inutili

    imprecazioni

    alle

    bestemmie

    e

    ai

    comandi

    de’

    monatti

    che

    li

    guidavano;

    altri

    camminavano

    in

    silenzio,

    senza

    mostrar

    dolore,

    alcun

    altro

    sentimento,

    come

    insensati;

    donne

    co’

    bambini

    in

    collo;

    fanciulli

    spaventati

    dalle

    grida,

    da

    quegli

    ordini,

    da

    quella

    compagnia,

    più

    che

    dal

    pensiero

    confuso

    della

    morte,

    i

    quali

    ad

    alte

    strida

    imploravano

    la

    madre

    e

    le

    sue

    braccia

    fidate,

    e

    la

    casa

    loro.

    Ahi!

    e

    forse

    la

    madre,

    che

    credevano

    d’aver

    lasciata

    addormentata

    sul

    suo

    letto,

    ci

    s’era

    buttata,

    sorpresa

    tutt’a

    un

    tratto

    dalla

    peste;

    e

    stava

    senza

    sentimento,

    per

    esser

    portata

    sur

    un

    carro

    al

    lazzeretto,

    o

    alla

    fossa,

    se

    il

    carro

    veniva

    più

    tardi.

    Forse,

    o

    sciagura

    degna

    di

    lacrime

    ancor

    più

    amare!

    la

    madre,

    tutta

    occupata

    de’

    suoi

    patimenti,

    aveva

    dimenticato

    ogni

    cosa,

    anche

    i

    figli,

    e

    non

    aveva

    più

    che

    un

    pensiero:

    di

    morire

    in

    pace.

    Pure,

    in

    tanta

    confusione,

    si

    vedeva

    ancora

    qualche

    esempio

    di

    fermezza

    e

    di

    pietà:

    padri,

    madri,

    fratelli,

    figli,

    consorti,

    che

    sostenevano

    i

    cari

    loro,

    e

    gli

    accompagnavano

    con

    parole

    di

    conforto:

    adulti

    soltanto,

    ma

    ragazzetti,

    ma

    fanciulline

    che

    guidavano

    i

    fratellini

    più

    teneri,

    e,

    con

    giudizio

    e

    con

    compassione

    da

    grandi,

    raccomandavano

    loro

    d’essere

    ubbidienti,

    gli

    assicuravano

    che

    s’andava

    in

    un

    luogo

    dove

    c’era

    chi

    avrebbe

    cura

    di

    loro

    per

    farli

    guarire.

    In

    mezzo

    alla

    malinconia

    e

    alla

    tenerezza

    di

    tali

    viste,

    una

    cosa

    toccava

    più

    sul

    vivo,

    e

    teneva

    in

    agitazione

    il

    nostro

    viaggiatore.

    La

    casa

    doveva

    esser

    vicina,

    e

    chi

    sa

    se

    tra

    quella

    gente…

    Ma

    passata

    tutta

    la

    comitiva,

    e

    cessato

    quel

    dubbio,

    si

    voltò

    a

    un

    monatto

    che

    veniva

    dietro,

    e

    gli

    domandò

    della

    strada

    e

    della

    casa

    di

    don

    Ferrante.

    “In

    malora,

    tanghero,”

    fu

    la

    risposta

    che

    n’ebbe.

    si

    curò

    di

    dare

    a

    colui

    quella

    che

    si

    meritava;

    ma,

    visto,

    a

    due

    passi,

    un

    commissario

    che

    veniva

    in

    coda

    al

    convoglio,

    e

    aveva

    un

    viso

    un

    po’

    più

    di

    cristiano,

    fece

    a

    lui

    la

    stessa

    domanda.

    Questo,

    accennando

    con

    un

    bastone

    la

    parte

    donde

    veniva,

    disse:

    “la

    prima

    strada

    a

    diritta,

    l’ultima

    casa

    grande

    a

    sinistra.”

    Con

    una

    nuova

    e

    più

    forte

    ansietà

    in

    cuore,

    il

    giovine

    prende

    da

    quella

    parte.

    È

    nella

    strada;

    distingue

    subito

    la

    casa

    tra

    l’altre,

    più

    basse

    e

    meschine;

    s’accosta

    al

    portone

    che

    è

    chiuso,

    mette

    la

    mano

    sul

    martello,

    e

    ce

    la

    tien

    sospesa,

    come

    in

    un’urna,

    prima

    di

    tirar

    su

    la

    polizza

    dove

    fosse

    scritta

    la

    sua

    vita,

    o

    la

    sua

    morte.

    Finalmente

    alza

    il

    martello,

    e

    un

    picchio

    risoluto.

    Dopo

    qualche

    momento,

    s’apre

    un

    poco

    una

    finestra;

    una

    donna

    fa

    capolino,

    guardando

    chi

    era,

    con

    un

    viso

    ombroso

    che

    par

    che

    dica:

    monatti?

    vagabondi?

    commissari?

    untori?

    diavoli?

    “Quella

    signora,”

    disse

    Renzo

    guardando

    in

    su,

    e

    con

    voce

    non

    troppo

    sicura:

    ci

    sta

    qui

    a

    servire

    una

    giovine

    di

    campagna,

    che

    ha

    nome

    Lucia?

    “La

    non

    c’è

    più;

    andate,”

    rispose

    quella

    donna,

    facendo

    atto

    di

    chiudere.

    “Un

    momento,

    per

    carità!

    La

    non

    c’è

    più?

    Dov’è?”

    “Al

    lazzeretto;”

    e

    di

    nuovo

    voleva

    chiudere.

    “Ma

    un

    momento,

    per

    l’amor

    del

    cielo!

    Con

    la

    peste?”

    “Già.

    Cosa

    nuova,

    eh?

    Andate.”

    “Oh

    povero

    me!

    Aspetti:

    era

    ammalata

    molto?

    Quanto

    tempo

    è…?”

    Ma

    intanto

    la

    finestra

    fu

    chiusa

    davvero.

    “Quella

    signora!

    quella

    signora!

    una

    parola,

    per

    carità!

    per

    i

    suoi

    poveri

    morti!

    Non

    le

    chiedo

    niente

    del

    suo:

    ohe!”

    Ma

    era

    come

    dire

    al

    muro.

    Afflitto

    della

    nuova,

    e

    arrabbiato

    della

    maniera,

    Renzo

    afferrò

    ancora

    il

    martello,

    e,

    così

    appoggiato

    alla

    porta,

    andava

    stringendolo

    e

    storcendolo,

    l’alzava

    per

    picchiar

    di

    nuovo

    alla

    disperata,

    poi

    lo

    teneva

    sospeso.

    In

    quest’agitazione,

    si

    voltò

    per

    vedere

    se

    mai

    ci

    fosse

    d’intorno

    qualche

    vicino,

    da

    cui

    potesse

    forse

    aver

    qualche

    informazione

    più

    precisa,

    qualche

    indizio,

    qualche

    lume.

    Ma

    la

    prima,

    l’unica

    persona

    che

    vide,

    fu

    un’altra

    donna,

    distante

    forse

    un

    venti

    passi;

    la

    quale,

    con

    un

    viso

    ch’esprimeva

    terrore,

    odio,

    impazienza

    e

    malizia,

    con

    cert’occhi

    stravolti

    che

    volevano

    insieme

    guardar

    lui,

    e

    guardar

    lontano,

    spalancando

    la

    bocca

    come

    in

    atto

    di

    gridare

    a

    più

    non

    posso,

    ma

    rattenendo

    anche

    il

    respiro,

    alzando

    due

    braccia

    scarne,

    allungando

    e

    ritirando

    due

    mani

    grinzose

    e

    piegate

    a

    guisa

    d’artigli,

    come

    se

    cercasse

    d’acchiappar

    qualcosa,

    si

    vedeva

    che

    voleva

    chiamar

    gente,

    in

    modo

    che

    qualcheduno

    non

    se

    n’accorgesse.

    Quando

    s’incontrarono

    a

    guardarsi,

    colei,

    fattasi

    ancor

    più

    brutta,

    si

    riscosse

    come

    persona

    sorpresa.

    “Che

    diamine…?”

    cominciava

    Renzo,

    alzando

    anche

    lui

    le

    mani

    verso

    la

    donna;

    ma

    questa,

    perduta

    la

    speranza

    di

    poterlo

    far

    cogliere

    all’improvviso,

    lasciò

    scappare

    il

    grido

    che

    aveva

    rattenuto

    fin

    allora:

    “l’untore!

    dagli!

    dagli!

    dagli

    all’untore!

    “Chi?

    io!

    ah

    strega

    bugiarda!

    sta

    zitta,”

    gridò

    Renzo;

    e

    fece

    un

    salto

    verso

    di

    lei,

    per

    impaurirla

    e

    farla

    chetare.

    Ma

    s’avvide

    subito,

    che

    aveva

    bisogno

    piuttosto

    di

    pensare

    ai

    casi

    suoi.

    Allo

    strillar

    della

    vecchia,

    accorreva

    gente

    di

    qua

    e

    di

    là;

    non

    la

    folla

    che,

    in

    un

    caso

    simile,

    sarebbe

    stata,

    tre

    mesi

    prima;

    ma

    più

    che

    abbastanza

    per

    poter

    fare

    d’un

    uomo

    solo

    quel

    che

    volessero.

    Nello

    stesso

    tempo,

    s’aprì

    di

    nuovo

    la

    finestra,

    e

    quella

    medesima

    sgarbata

    di

    prima

    ci

    s’affacciò

    questa

    volta,

    e

    gridava

    anche

    lei:

    “pigliatelo,

    pigliatelo;

    che

    dev’essere

    uno

    di

    que’

    birboni

    che

    vanno

    in

    giro

    a

    unger

    le

    porte

    de’

    galantuomini.”

    Renzo

    non

    istette

    a

    pensare:

    gli

    parve

    subito

    miglior

    partito

    sbrigarsi

    da

    coloro,

    che

    rimanere

    a

    dir

    le

    sue

    ragioni:

    diede

    un’occhiata

    a

    destra

    e

    a

    sinistra,

    da

    che

    parte

    ci

    fosse

    men

    gente,

    e

    svignò

    di

    là.

    Rispinse

    con

    un

    urtone

    uno

    che

    gli

    parava

    la

    strada;

    con

    un

    gran

    punzone

    nel

    petto,

    fece

    dare

    indietro

    otto

    o

    dieci

    passi

    un

    altro

    che

    gli

    correva

    incontro;

    e

    via

    di

    galoppo,

    col

    pugno

    in

    aria,

    stretto,

    nocchiuto,

    pronto

    per

    qualunque

    altro

    gli

    fosse

    venuto

    tra’

    piedi.

    La

    strada

    davanti

    era

    sempre

    libera;

    ma

    dietro

    le

    spalle

    sentiva

    il

    calpestìo

    e,

    più

    forti

    del

    calpestìo,

    quelle

    grida

    amare:

    “dàgli!

    dàgli!

    all’untore!”

    Non

    sapeva

    quando

    fossero

    per

    fermarsi;

    non

    vedeva

    dove

    si

    potrebbe

    mettere

    in

    salvo.

    L’ira

    divenne

    rabbia,

    l’angoscia

    si

    cangiò

    in

    disperazione;

    e,

    perso

    il

    lume

    degli

    occhi,

    mise

    mano

    al

    suo

    coltellaccio,

    lo

    sfoderò,

    si

    fermò

    su

    due

    piedi,

    voltò

    indietro

    il

    viso

    più

    torvo

    e

    più

    cagnesco

    che

    avesse

    fatto

    a’

    suoi

    giorni;

    e,

    col

    braccio

    teso,

    brandendo

    in

    aria

    la

    lama

    luccicante,

    gridò:

    “chi

    ha

    cuore,

    venga

    avanti,

    canaglia!

    che

    l’ungerò

    io

    davvero

    con

    questo.”

    Ma,

    con

    maraviglia,

    e

    con

    un

    sentimento

    confuso

    di

    consolazione,

    vide

    che

    i

    suoi

    persecutori

    s’eran

    già

    fermati,

    e

    stavan

    come

    titubanti,

    e

    che,

    seguitando

    a

    urlare,

    facevan,

    con

    le

    mani

    per

    aria,

    certi

    cenni

    da

    spiritati,

    come

    a

    gente

    che

    venisse

    di

    lontano

    dietro

    a

    lui.

    Si

    voltò

    di

    nuovo,

    e

    vide

    (chè

    il

    gran

    turbamento

    non

    gliel

    aveva

    lasciato

    vedere

    un

    momento

    prima)

    un

    carro

    che

    s’avanzava,

    anzi

    una

    fila

    di

    que’

    soliti

    carri

    funebri,

    col

    solito

    accompagnamento;

    e

    dietro,

    a

    qualche

    distanza,

    un

    altro

    mucchietto

    di

    gente

    che

    avrebbero

    voluto

    anche

    loro

    dare

    addosso

    all’untore,

    e

    prenderlo

    in

    mezzo;

    ma

    eran

    trattenuti

    dall’impedimento

    medesimo.

    Vistosi

    così

    tra

    due

    fuochi,

    gli

    venne

    in

    mente

    che

    ciò

    che

    era

    di

    terrore

    a

    coloro,

    poteva

    essere

    a

    lui

    di

    salvezza;

    pensò

    che

    non

    era

    tempo

    di

    far

    lo

    schizzinoso;

    rimise

    il

    coltellaccio

    nel

    fodero,

    si

    tirò

    da

    una

    parte,

    prese

    la

    rincorsa

    verso

    i

    carri,

    passò

    il

    primo,

    e

    adocchiò

    nel

    secondo

    un

    buono

    spazio

    vòto.

    Prende

    la

    mira,

    spicca

    un

    salto;

    è

    su,

    piantato

    sul

    piede

    destro,

    col

    sinistro

    in

    aria,

    e

    con

    le

    braccia

    alzate.

    “Bravo!

    bravo!”

    esclamarono,

    a

    una

    voce,

    i

    monatti,

    alcuni

    de’

    quali

    seguivano

    il

    convoglio

    a

    piedi,

    altri

    eran

    seduti

    sui

    carri,

    altri,

    per

    dire

    l’orribil

    cosa

    com’era,

    sui

    cadaveri,

    trincando

    da

    un

    gran

    fiasco

    che

    andava

    in

    giro.

    “Bravo!

    bel

    colpo!”

    “Sei

    venuto

    a

    metterti

    sotto

    la

    protezione

    de’

    monatti;

    fa’

    conto

    d’essere

    in

    chiesa,”

    gli

    disse

    uno

    de’

    due

    che

    stavano

    sul

    carro

    dov’era

    montato.

    I

    nemici,

    all’avvicinarsi

    del

    treno,

    avevano,

    i

    più,

    voltate

    le

    spalle,

    e

    se

    n’andavano,

    non

    lasciando

    di

    gridare:

    “dàgli!

    dàgli!

    all’untore!”

    Qualcheduno

    si

    ritirava

    più

    adagio,

    fermandosi

    ogni

    tanto,

    e

    voltandosi,

    con

    versacci

    e

    con

    gesti

    di

    minaccia,

    a

    Renzo;

    il

    quale,

    dal

    carro,

    rispondeva

    loro

    dibattendo

    i

    pugni

    in

    aria.

    “Lascia

    fare

    a

    me,”

    gli

    disse

    un

    monatto;

    e

    strappato

    d’addosso

    a

    un

    cadavere

    un

    laido

    cencio,

    l’annodò

    in

    fretta,

    e,

    presolo

    per

    una

    delle

    cocche,

    l’alzò

    come

    una

    fionda

    verso

    quegli

    ostinati,

    e

    fece

    le

    viste

    di

    buttarglielo,

    gridando:

    “aspetta,

    canaglia!”

    A

    quell’atto,

    fuggiron

    tutti,

    inorriditi;

    e

    Renzo

    non

    vide

    più

    che

    schiene

    di

    nemici,

    e

    calcagni

    che

    ballavano

    rapidamente

    per

    aria,

    a

    guisa

    di

    gualchiere.

    Tra

    i

    monatti

    s’alzò

    un

    urlo

    di

    trionfo,

    uno

    scroscio

    procelloso

    di

    risa,

    un

    “uh!”

    prolungato,

    come

    per

    accompagnar

    quella

    fuga.

    “Ah

    ah!

    vedi

    se

    noi

    sappiamo

    proteggere

    i

    galantuomini?”

    disse

    a

    Renzo

    quel

    monatto:

    “val

    più

    uno

    di

    noi

    che

    cento

    di

    que’

    poltroni.”

    “Certo,

    posso

    dire

    che

    vi

    devo

    la

    vita,”

    rispose

    Renzo:

    “e

    vi

    ringrazio

    con

    tutto

    il

    cuore.”

    “Di

    che

    cosa?”

    disse

    il

    monatto:

    “tu

    lo

    meriti:

    si

    vede

    che

    sei

    un

    bravo

    giovine.

    Fai

    bene

    a

    ungere

    questa

    canaglia:

    ungili,

    estirpali

    costoro,

    che

    non

    vaglion

    qualcosa,

    se

    non

    quando

    son

    morti;

    che,

    per

    ricompensa

    della

    vita

    che

    facciamo,

    ci

    maledicono,

    e

    vanno

    dicendo

    che,

    finita

    la

    morìa,

    ci

    voglion

    fare

    impiccar

    tutti.

    Hanno

    a

    finir

    prima

    loro

    che

    la

    morìa,

    e

    i

    monatti

    hanno

    a

    restar

    soli,

    a

    cantar

    vittoria,

    e

    a

    sguazzar

    per

    Milano.”

    “Viva

    la

    morìa,

    e

    moia

    la

    marmaglia!”

    esclamò

    l’altro;

    e,

    con

    questo

    bel

    brindisi,

    si

    mise

    il

    fiasco

    alla

    bocca,

    e,

    tenendolo

    con

    tutt’e

    due

    le

    mani,

    tra

    le

    scosse

    del

    carro,

    diede

    una

    buona

    bevuta,

    poi

    lo

    porse

    a

    Renzo,

    dicendo:

    “bevi

    alla

    nostra

    salute.”

    “Ve

    l’auguro

    a

    tutti,

    con

    tutto

    il

    cuore,”

    disse

    Renzo:

    “ma

    non

    ho

    sete;

    non

    ho

    proprio

    voglia

    di

    bere

    in

    questo

    momento”.

    “Tu

    hai

    avuto

    una

    bella

    paura,

    a

    quel

    che

    mi

    pare,”

    disse

    il

    monatto:

    “m’hai

    l’aria

    d’un

    pover’uomo;

    ci

    vuol

    altri

    visi

    a

    far

    l’untore.”

    “Ognuno

    s’ingegna

    come

    può,”

    disse

    l’altro.

    “Dammelo

    qui

    a

    me,”

    disse

    uno

    di

    quelli

    che

    venivano

    a

    piedi

    accanto

    al

    carro,

    “chè

    ne

    voglio

    bere

    anch’io

    un

    altro

    sorso,

    alla

    salute

    del

    suo

    padrone,

    che

    si

    trova

    qui

    in

    questa

    bella

    compagnia….

    lì,

    lì,

    appunto,

    mi

    pare,

    in

    quella

    bella

    carrozzata.”

    E,

    con

    un

    suo

    atroce

    e

    maledetto

    ghigno,

    accennava

    il

    carro

    davanti

    a

    quello

    su

    cui

    stava

    il

    povero

    Renzo.

    Poi,

    composto

    il

    viso

    a

    un

    atto

    di

    serietà

    ancor

    più

    bieco

    e

    fellonesco,

    fece

    una

    riverenza

    da

    quella

    parte,

    e

    riprese:

    “si

    contenta,

    padron

    mio,

    che

    un

    povero

    monattuccio

    assaggi

    di

    quello

    della

    sua

    cantina?

    Vede

    bene:

    si

    fa

    certe

    vite:

    siam

    quelli

    che

    l’abbiam

    messo

    in

    carrozza,

    per

    condurlo

    in

    villeggiatura.

    E

    poi,

    già

    a

    loro

    signori

    il

    vino

    fa

    subito

    male:

    i

    poveri

    monatti

    han

    lo

    stomaco

    buono.”

    E

    tra

    le

    risate

    de’

    compagni,

    prese

    il

    fiasco,

    e

    l’alzò;

    ma,

    prima

    di

    bere,

    si

    voltò

    a

    Renzo,

    gli

    fissò

    gli

    occhi

    in

    viso,

    e

    gli

    disse,

    con

    una

    cert’aria

    di

    compassione

    sprezzante:

    “bisogna

    che

    il

    diavolo

    col

    quale

    hai

    fatto

    il

    patto,

    sia

    ben

    giovine;

    chè,

    se

    non

    eravamo

    noi

    a

    salvarti,

    lui

    ti

    dava

    un

    bell’aiuto.”

    E

    tra

    un

    nuovo

    scroscio

    di

    risa,

    s’attaccò

    il

    fiasco

    alle

    labbra.

    “E

    noi?

    eh!

    e

    noi?”

    gridaron

    più

    voci

    dal

    carro

    ch’era

    avanti.

    Il

    birbone,

    tracannato

    quanto

    ne

    volle,

    porse,

    con

    tutt’e

    due

    le

    mani,

    il

    gran

    fiasco

    a

    quegli

    altri

    suoi

    simili,

    i

    quali

    se

    lo

    passaron

    dall’uno

    all’altro,

    fino

    a

    uno

    che,

    votatolo,

    lo

    prese

    per

    il

    collo,

    gli

    fece

    fare

    il

    mulinello,

    e

    lo

    scagliò

    a

    fracassarsi

    sulle

    lastre,

    gridando:

    “viva

    la

    morìa!”

    Dietro

    a

    queste

    parole,

    intonò

    una

    loro

    canzonaccia;

    e

    subito

    alla

    sua

    voce

    s’accompagnaron

    tutte

    l’altre

    di

    quel

    turpe

    coro.

    La

    cantilena

    infernale,

    mista

    al

    tintinnìo

    de’

    campanelli,

    al

    cigolìo

    de’

    carri,

    al

    calpestìo

    de’

    cavalli,

    risonava

    nel

    vòto

    silenzioso

    delle

    strade,

    e,

    rimbombando

    nelle

    case,

    stringeva

    amaramente

    il

    cuore

    de’

    pochi

    che

    ancor

    le

    abitavano.

    Ma

    cosa

    non

    può

    alle

    volte

    venire

    in

    acconcio?

    cosa

    non

    può

    far

    piacere

    in

    qualche

    caso?

    Il

    pericolo

    d’un

    momento

    prima

    aveva

    resa

    più

    che

    tollerabile

    a

    Renzo

    la

    compagnia

    di

    que’

    morti

    e

    di

    que’

    vivi;

    e

    ora

    fu

    a’

    suoi

    orecchi

    una

    musica,

    sto

    per

    dire,

    gradita,

    quella

    che

    lo

    levava

    dall’impiccio

    d’una

    tale

    conversazione.

    Ancor

    mezzo

    affannato,

    e

    tutto

    sottosopra,

    ringraziava

    intanto

    alla

    meglio

    in

    cuor

    suo

    la

    Provvidenza,

    d’essere

    uscito

    d’un

    tal

    frangente,

    senza

    ricever

    male

    farne;

    la

    pregava

    che

    l’aiutasse

    ora

    a

    liberarsi

    anche

    da’

    suoi

    liberatori;

    e

    dal

    canto

    suo,

    stava

    all’erta,

    guardava

    quelli,

    guardava

    la

    strada,

    per

    cogliere

    il

    tempo

    di

    sdrucciolar

    giù

    quatto

    quatto,

    senza

    dar

    loro

    occasione

    di

    far

    qualche

    rumore,

    qualche

    scenata,

    che

    mettesse

    in

    malizia

    i

    passeggieri.

    Tutt’a

    un

    tratto,

    a

    una

    cantonata,

    gli

    parve

    di

    riconoscere

    il

    luogo:

    guardò

    più

    attentamente,

    e

    ne

    fu

    sicuro.

    Sapete

    dov’era?

    Sul

    corso

    di

    porta

    orientale,

    in

    quella

    strada

    per

    cui

    era

    venuto

    adagio,

    e

    tornato

    via

    in

    fretta,

    circa

    venti

    mesi

    prima.

    Gli

    venne

    subito

    in

    mente

    che

    di

    s’andava

    diritto

    al

    lazzeretto;

    e

    questo

    trovarsi

    sulla

    strada

    giusta,

    senza

    studiare,

    senza

    domandare,

    l’ebbe

    per

    un

    tratto

    speciale

    della

    Provvidenza,

    e

    per

    buon

    augurio

    del

    rimanente.

    In

    quel

    punto,

    veniva

    incontro

    ai

    carri

    un

    commissario,

    gridando

    a’

    monatti

    di

    fermare,

    e

    non

    so

    che

    altro:

    il

    fatto

    è

    che

    il

    convoglio

    si

    fermò,

    e

    la

    musica

    si

    cambiò

    in

    un

    diverbio

    rumoroso.

    Uno

    de’

    monatti

    ch’eran

    sul

    carro

    di

    Renzo,

    saltò

    giù:

    Renzo

    disse

    all’altro:

    “vi

    ringrazio

    della

    vostra

    carità:

    Dio

    ve

    ne

    renda

    merito;”

    e

    giù

    anche

    lui,

    dall’altra

    parte.

    “Va’,

    va’,

    povero

    untorello,”

    rispose

    colui:

    “non

    sarai

    tu

    quello

    che

    spianti

    Milano.”

    Per

    fortuna,

    non

    c’era

    chi

    potesse

    sentire.

    Il

    convoglio

    era

    fermato

    sulla

    sinistra

    del

    corso:

    Renzo

    prende

    in

    fretta

    dall’altra

    parte,

    e,

    rasentando

    il

    muro,

    trotta

    innanzi

    verso

    il

    ponte;

    lo

    passa,

    continua

    per

    la

    strada

    del

    borgo,

    riconosce

    il

    convento

    de’

    cappuccini,

    è

    vicino

    alla

    porta,

    vede

    spuntar

    l’angolo

    del

    lazzeretto,

    passa

    il

    cancello,

    e

    gli

    si

    spiega

    davanti

    la

    scena

    esteriore

    di

    quel

    recinto:

    un

    indizio

    appena

    e

    un

    saggio,

    e

    già

    una

    vasta,

    diversa,

    indescrivibile

    scena.

    Lungo

    i

    due

    lati

    che

    si

    presentano

    a

    chi

    guardi

    da

    quel

    punto,

    era

    tutto

    un

    brulichìo;

    erano

    ammalati

    che

    andavano,

    in

    compagnie,

    al

    lazzeretto;

    altri

    che

    sedevano

    o

    giacevano

    sulle

    sponde

    del

    fossato

    che

    lo

    costeggia;

    sia

    che

    le

    forze

    non

    fosser

    loro

    bastate

    per

    condursi

    fin

    dentro

    al

    ricovero,

    sia

    che,

    usciti

    di

    per

    disperazione,

    le

    forze

    fosser

    loro

    ugualmente

    mancate

    per

    andar

    più

    avanti.

    Altri

    meschini

    erravano

    sbandati,

    come

    stupidi,

    e

    non

    pochi

    fuor

    di

    affatto;

    uno

    stava

    tutto

    infervorato

    a

    raccontar

    le

    sue

    immaginazioni

    a

    un

    disgraziato

    che

    giaceva

    oppresso

    dal

    male;

    un

    altro

    dava

    nelle

    smanie;

    un

    altro

    guardava

    in

    qua

    e

    in

    con

    un

    visino

    ridente,

    come

    se

    assistesse

    a

    un

    lieto

    spettacolo.

    Ma

    la

    specie

    più

    strana

    e

    più

    rumorosa

    d’una

    tal

    trista

    allegrezza,

    era

    un

    cantare

    alto

    e

    continuo,

    il

    quale

    pareva

    che

    non

    venisse

    fuori

    da

    quella

    miserabile

    folla,

    e

    pure

    si

    faceva

    sentire

    più

    che

    tutte

    l’altri

    voci:

    una

    canzone

    contadinesca

    d’amore

    gaio

    e

    scherzevole,

    di

    quelle

    che

    chiamavan

    villanelle;

    e

    andando

    con

    lo

    sguardo

    dietro

    al

    suono,

    per

    iscoprire

    chi

    mai

    potesse

    esser

    contento,

    in

    quel

    tempo,

    in

    quel

    luogo,

    si

    vedeva

    un

    meschino

    che,

    seduto

    tranquillamente

    in

    fondo

    al

    fossato,

    cantava

    a

    più

    non

    posso,

    con

    la

    testa

    per

    aria.

    Renzo

    aveva

    appena

    fatti

    alcuni

    passi

    lungo

    il

    lato

    meridionale

    dell’edifizio,

    che

    si

    sentì

    in

    quella

    moltitudine

    un

    rumore

    straordinario,

    e

    di

    lontano

    voci

    che

    gridavano:

    guarda!

    piglia!

    S’alza

    in

    punta

    di

    piedi,

    e

    vede

    un

    cavallaccio

    che

    andava

    di

    carriera,

    spinto

    da

    un

    più

    strano

    cavaliere:

    era

    un

    frenetico

    che,

    vista

    quella

    bestia

    sciolta

    e

    non

    guardata,

    accanto

    a

    un

    carro,

    c’era

    montato

    in

    fretta

    a

    bisdosso,

    e,

    martellandole

    il

    collo

    co’

    pugni,

    e

    facendo

    sproni

    de’

    calcagni,

    la

    cacciava

    in

    furia;

    e

    monatti

    dietro,

    urlando;

    e

    tutto

    si

    ravvolse

    in

    un

    nuvolo

    di

    polvere,

    che

    volava

    lontano.

    Così,

    già

    sbalordito

    e

    stanco

    di

    veder

    miserie,

    il

    giovine

    arrivò

    alla

    porta

    di

    quel

    luogo

    dove

    ce

    n’erano

    adunate

    forse

    più

    che

    non

    ce

    ne

    fosse

    di

    sparse

    in

    tutto

    lo

    spazio

    che

    gli

    era

    già

    toccato

    di

    percorrere.

    S’affaccia

    a

    quella

    porta,

    entra

    sotto

    la

    volta,

    e

    rimane

    un

    momento

    immobile

    a

    mezzo

    del

    portico.

    44 commenti su “Lista delle parole scelte da Manzoni per scrivere il Capitolo XXXIV de I promessi sposi (in ordine di apparizione)”

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