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“Manipolazioni” di Federica Helferich

    Manipolazioni, Helferich-Festa

    Disegni in cerca d’autore è il Premio letterario nato dalla collaborazione tra Collezione Ramo e Scuola di scrittura Belleville, legato all’omonima mostra che si terrà negli spazi della Scuola Belleville a Milano. Opere su carta di grandi artisti affiancate da racconti inediti: immagini e parole entrano in dialogo.

    Manipolazioni di Federica Helferich è il racconto scelto per accompagnare l’opera di Tano Festa, The Killer, 1966.

    Irina Zucca Alessandrelli, curatrice della mostra, sull’opera:

    «Del 1966 è il lavoro di Tano Festa The Killer, realizzato durante il suo soggiorno a New York. L’artista riflette sull’eternità di alcune opere della tradizione pittorica italiana, sugli autori che per lui sono maestri senza tempo tra cui De Chirico e Balla. Nel foglio del dicembre passato a New York si possono scorgere elementi ricorrenti come la mano qui mozzata dal polso, su cui è dipinta una seconda mano nera più piccola (omaggio al guanto metafisico di De Chirico) e la ragazzina che corre con il cerchio (da Giacomo Balla). Allo stesso tempo, i riferimenti all’arte americana rimasta negli occhi della mente dell’artista, riemergono nella tavolozza dei colori e nella sega di Jim Dine che accenna già il tema delle nuvole sviluppato poco dopo.»

    MANIPOLAZIONI

    di Federica Helferich

    ispirato all’opera di Tano Festa

    Stavano bevendo un drink e avevano appena iniziato a parlare. Almeno un paio di canzoni si erano alternate, scivolando dinamiche nelle casse, da quando si erano incontrati la prima volta nei bagni dell’Eisenbahn, dove lui, sorridendo scaltro, le chiedeva se volesse “qualcosa per la serata” e lei, sorridendo a sua volta, declinava l’offerta. Da allora i loro sguardi avevano iniziato a tessere una trama di reciproco interesse, finché lei non aveva accettato l’offerta di un drink ed erano usciti dal locale per fumarsi una sigaretta e bere.

    Subito la sua attenzione s’era catalizzata sulle mani di lui: innanzitutto perché avevano una forma inedita; grandi, larghe, molto concave, ma non disarmoniche, di un rosa scuro intervallato da cicatrici e tagli. Le mani di qualcuno che è abituato a sporcarsele, a usarle come attrezzi di lavoro e a farle obbedire a comandi altrui.

    Mentre le parlava, lei osservava le sue mani addomesticare il tabacco, confinarlo nella cartina e con questa ricoprirlo, senza sbavature, impeccabile. Se lo immaginò mentre, con la stessa maestria e scontata accuratezza, creava, da un mucchio confuso di coca, un preciso ordine di piccole e meticolose righe, taglia- va pasticche facendone sbocciare molteplici dosi sensate, teneva ostaggio un cespo d’erba per razionalizzarne porzioni.

    Quelle mani portavano ordine, pensò.

    Eppure, guardandole ancora – mentre lui parlava, e lei si sentiva ridere e rispondere, la musica fortissima, la testa vuota e un dolce formicolio su per il corpo – capì che, quando eseguiva quei gesti, le mani non appartenevano più a lui. Le vedeva tranciate, avulse dal suo corpo e dalla sua volontà; le vedeva lasciarsi dietro tracce di sangue che poi sentiva sgorgare dai racconti di lui e tappezzarne le parole. Udiva il cigolio stridente e invisibile della sega che le taglia- va, quelle mani, a ogni razione che confezionavano, preparavano, imbustavano, utilizzavano: strumenti tanto necessari quanto letali.

    Le prese tra le sue. Voleva sentirne la consistenza e il battito e salvarle prima che il rigore della morte si impadronisse di loro; voleva liberarle dalla servitù delle cose perché fossero diretta emanazione dell’anima. Le accarezzava e si immaginava che tracciassero nell’aria grandi spazi di pittura, un arcobaleno scomposto, rapsodico, i cui colori confluivano baldanzosi in un quadro senz’ordine. Finanche la musica era cessata, tutt’intorno e dentro di lei, e vedeva tutte le altre persone nel locale scappare, come piccole, miserevoli, ombrose anime in fuga. Adesso sentiva solo quei colori scomporsi e ricomporsi, e le mani di lui su di sé; le mani che adesso finalmente erano lui, ed erano anche lei perché le toccava, e se ne sentiva assorbita, avvolta, ammantata; anche lei, con il suo fremito, era un insieme di molecole chimiche compattate in una sostanza pronta, al tocco delle sue mani, a dissolversi, disperdersi, disciogliersi anch’essa nel drink che stavano bevendo, e avevano appena iniziato a parlare.

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