Vai al contenuto

“L’isola delle scale” di Isabella Gavazzi

    L'isola delle scale, Giavazzi-Sant'Elia

    Disegni in cerca d’autore è il Premio letterario nato dalla collaborazione tra Collezione Ramo e Scuola di scrittura Belleville, legato all’omonima mostra che si terrà negli spazi della Scuola Belleville a Milano. Opere su carta di grandi artisti affiancate da racconti inediti: immagini e parole entrano in dialogo.

    L’isola delle scale di Isabella Gavazzi è il racconto scelto per accompagnare l’opera di Antonio Sant’Elia, Senza titolo (Arbacea) d’albergo, inizio Novecento.

    Irina Zucca Alessandrelli, curatrice della mostra, sull’opera:

    «Il piccolo disegno di Sant’Elia dei primi anni del ‘900 rappresenta la leggendaria città di Sardanapalo conquistata dal generale dei Medi Arbace, come scritto a matita sotto dallo stesso artista. Sant’Elia immagina l’isola-palazzo del nuovo sovrano Arbace, ispirandosi all’architettura secessionista della Vienna di fine Ottocento. Di estrema rarità l’opera si colloca nell’iniziale produzione dell’architetto, divenuto famoso in seguito alla sua partecipazione al movimento futurista, per le sue avveniristiche vedute di metropoli con treni, aeroplani e grattacieli svettanti.»

    L’ISOLA DELLE SCALE

    di Isabella Gavazzi

    ispirato all’opera di Antonio Sant’Elia

    Dal porto alla cima dell’isola erano stati scavati esattamente quattrocentoquaranta scalini nella tenera pietra calcarea, suddivisi in centodieci superfici per ogni piano. Di questi quattrocentoquaranta scalini, quattro erano sbeccati dall’usura e dalle intemperie, equamente posizionati uno in ogni rampa, ad altezze diverse.

    Giacomo li contava ogni volta che li percorreva. Uno, due, tre, quattro, fino alla cima, dove era situata la casa che aveva visto nascere generazioni di marinai.

    Giacomo aveva 4 anni, come i gradini sbeccati. Una madre, un gatto e un padre che faceva il marinaio. Questi rientrava a casa raramente, il lavoro era tanto e lontano dalla loro piccola isola piena di gradini.

    Dopo aver osservato bene l’orizzonte, Giacomo faceva colazione e, assieme alla mamma, scendeva i quattrocentoquaranta gradini per andare al porto. Qui la donna comprava il pesce e la frutta per il pranzo, scambiava due parole con la fioraia e chiedeva notizie sul marito a compaesani che vivevano anche loro per mare.

    Era una mattina di ottobre, le foglie del giardino si stavano ingiallendo e Giacomo iniziava la sua giornata come aveva fatto per tutta l’estate. Quel mattino nel cielo c’erano nuvole in lontananza e il mare era increspato, l’autunno stava entrando in quella fase che porta sempre un vento freddo alle prime luci dell’alba. Scese i quattrocentoquaranta scalini a mano della madre, arrivato al porto trovò molte navi attraccate nelle ore precedenti. Il periodo di pesca estiva in acque alte era terminato, così come i viaggi a lungo raggio. Era tempo per i marinai di ammainare le vele per qualche settimana, giusto per far passare la brutta stagione, rattoppare le reti e riposare in attesa di ripartire.

    Come di consuetudine, la madre comprò pesce, verdura, parlò con la fioraia e chiese notizie ai marinai. Solo una nave mancava in porto, quella del marito.

    Preso dal gioco, Giacomo non sentì la madre che lo chiamava per tornare a casa, se ne accorse solo quando lo prese di forza per un braccio e lo trascinò sui gradini. La mano della donna – che normalmente lo faceva correre da una parte all’altra in cerca di insetti spaventando i gatti dei vicini – teneva stretta la sua, più del solito. Avevano entrambi il fiatone una volta chiusa la porta di casa.

    Incominciava una lieve pioggia. Giacomo, seduto in cucina davanti alla finestra, contava le gocce. Una, due, tre, quattro. “Giacomo, gioca sul tappeto, lì c’è lo spiffero”, gli disse la madre con tono schietto e spazientito.

    Si mise sul tappeto orientale di fronte al divano. Capriole, ruote, balletti, aveva voglia di cantare. Gli venne in mente una canzoncina che aveva imparato dalla nonna. “e dopo una due tre quattro cinque sei sette settimane, il Naviglio il Naviglio naufragò…”

    Dalla cucina arrivò un rumore di piatti rotti e il silenzio di lacrime. Giacomo continuava felice a cantare.

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

    Scuola di scrittura Belleville
     | Website