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L’armonia del silenzio
>> racconto

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    L’armonia del silenzio

    di Sara Mazzini

    Per gli anziani del paese l’approssimarsi di Ognissanti segna il reale passaggio all’inverno. È la stagione più divertente, sui vestiti della gente. Gente che si ostina a prolungare l’estate in camicia e altra gente che ha già anticipato le prime tramontane in giacconi e berretti di lana. Gente che grida in mezzo alla strada reclamando un posto auto. Gente che ha bisogno di riempire ogni attesa parlando: del meteo, del traffico, del sovraffollamento dei mezzi pubblici. Con altre persone o dentro un telefonino. Telefoni che squillano. Televisioni sempre accese che nessuno sta guardando; c’è chi dice: mi fanno compagnia. Nella sala di fianco alla nostra qualcuno sta picchiando forte su una batteria. La mia insegnante di canto mi dice: se il rumore ti distrae prova a spostarti all’altro lato del piano, dove il suono dall’esterno è più attutito. Le dico: non importa, ho imparato a tagliar fuori dal cervello ogni forma di interferenza sonora. Mi dice: ah bene, e lo dice con l’aria di chi non ci crede.

    Impazzire. La gente perlopiù ha paura di impazzire.

    La chitarra è uno strumento bizzarro. A meno che tu non vada a pizzicare una singola corda, non c’è mai un momento in cui stai suonando una nota soltanto. Per poter riprodurre una nota non devi cercarla come faresti su un pianoforte, bensì devi togliere tutto ciò che è in eccesso. È una logica contorta, ma è comunque una logica.

    Le medicine che prendo mi vogliono su, ma io sento ancora la tristezza, in qualche anfratto di me, che chiede di uscire e non ci riesce. Le medicine che prendo mi vogliono reattiva e ben disposta nei confronti del mondo, ma io avverto ancora la mia diffidenza verso quello a cui scelgo di dare fiducia. Continuo ad avere gli stessi pensieri, ma li sento lavati, con cura e un sapone dal retrogusto floreale che i fiori non li ha visti mai perché è ricavato da aromi sintetici in laboratorio. Ho ancora le stesse sensazioni, ma le avverto svuotate di significato. So che quella stretta nello stomaco significa che mi piaci molto, ma non riesco a emozionarmi quando mi tocchi le mani. So che ho paura, ma non riesco a sentirla davvero. Chissà cosa pensi di qualcuno che ha deciso di imparare qualcosa da zero. Non mi importa veramente. Quello che pensi, e che pensano tutti, non cambia una briciola di quello che faccio e di come lo faccio. Non riesco più a dare un valore al giudizio degli altri: si dice sia un bene.

    Ricominciare. La gente perlopiù ha paura di ricominciare.

    La differenza tra insegnare qualcosa a un bambino e insegnarla a un adulto è che il bambino apprende tutto meccanicamente: tu gli mostri una cosa e lui la riproduce, senza farsi domande. Un adulto invece ha bisogno di capire cosa sta facendo e perché lo sta facendo; ha una capacità critica che un bambino non possiede e probabilmente decide di suonare per capire meglio ciò che ascolta.

    Il ritorno all’ora solare mi ha procurato un jet-lag pur senza viaggiare. Il mio orologio interiore mi spinge a spalancare gli occhi alle cinque e mezza del mattino; per lui sono ancora le sei e mezza, mi dice: Sara, durante la settimana non dormiamo mai così tanto. Mi presento in ufficio alle sette e quaranta (mi sono informato, c’è un treno che parte) e i colleghi mi chiedono preoccupati se è successo qualcosa, mi dicono: Sara, non arrivi mai così presto.

    Cambiare. La gente perlopiù ha paura di cambiare.

    Tutti hanno paura delle note alte, ma quelle non ti mordono mica. Devi solo aver pazienza e la voce arriverà.

    Puntare la sveglia alle due del mattino solo per guardare un film alla tivù. La gente perlopiù non lo trova eccezionale, ma ridicolo. Nella migliore delle ipotesi, insensato. Mi dice: avresti potuto scaricarlo da internet e guardarlo in qualsiasi altro momento.

    Adattarsi, la gente perlopiù ha paura di adattarsi.

    Pensa che sia limitativo e non capisce che è questo il segreto della flessibilità, dell’intelligenza creativa.

    Aspettare, senza ansia sentire, il momento più bello di tutta la giornata, di tutte le giornate. Sbottonarsi la vestaglia e riporla sul suo gancio attaccato alla porta. Ingoiare una nuova pasticca. Infilare i tappi di gommapiuma dentro alle orecchie: il primo non basta a cancellare i rumori del mondo, il secondo ti catapulta in un cosmo fatato governato dal suono del tuo stesso respiro. Passarsi sulle labbra un burrocacao che viene voglia di mangiarlo. Spegnere la luce e godersi il silenzio.

    Morire. La gente perlopiù ha paura di morire.

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