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Il racconto vincitore della borsa “Scrivere per ragazzi”

    Né carne, né pesce” di Ilaria Gradassi è il racconto vincitore della borsa di studio per il laboratorio online “Scrivere per ragazzi”, in programma dal 20 settembre.

    Incentrato sul tema del passaggio dall’infanzia all’adolescenza, Né carne né pesce apre uno squarcio sull’estate di una dodicenne alle prese con il corpo che cambia (i peli mostruosi, le squame luccicanti), le paure e l’incomprensione dei grandi (la tentata depilazione che la mamma scambia per autolesionismo), le infatuazioni e i timori di inadeguatezza tipici della sua età. Con piglio lieve e ironico, l’autrice passa dal registro realistico a quello fantastico e ritorno, a sottolineare l’ambiguità (e vitalità) di un’identità “anfibia” e in divenire. Nel finale, il bikini regalato dalla mamma prende il posto degli infantili pantaloncini “con gli ananas” sancendo l’avvenuto passaggio di stato.

    Tra gli altri racconti che hanno partecipato al bando, si segnalano “Otto” di Barbara Ruiz, dove la storia di un ragazzo che, pur di nascondere la mancata promozione ai genitori, vaga senza meta per una Roma bollente restituisce con precisione e ricchezza di sfumature lo stato d’animo “sospeso” del protagonista; e Il muretto rotto di Giorgia Simoncelli, per l’uso sapiente della suspense nel costruire un racconto incentrato su una spaventosa prova di iniziazione.


    ***


    Né carne, né pesce

    Ero in bagno da un secolo, sul bordo della vasca, con il rasoio in mano. Pensando che poi mi sarei sentita sollevata, mi sono decisa ad appoggiare la lama, ma la porta si è spalancata e mamma ha cacciato un urlo. Ho trasalito, la presa mi è sfuggita e sulla pelle si è aperta una ferita.
    Mamma mi ha mollato uno scapaccione. Credeva volessi scarnificarmi. Ha detto proprio così. Scarnificarmi. Pare che nella chat dei genitori non si discuta d’altro che di questa mania di tagliarsi con lamette, vetri e chiodi. L’esperta è la mamma di Eva, che è psicologa. Comunque: io volevo depilarmi.

    Quel pomeriggio, in piazzetta, indossavo gli shorts con gli ananas che mamma mi costringe a mettere perché secondo lei, quando fa caldo, i jeans non vanno bene.
    I maschi si passavano una lattina schiacciata, prendendola a calci. Un’idea di Molla, ovvio.
    Molla, alle elementari, non lo sopportava nessuno: si agitava sulla sedia, picchiettava sul banco con la penna e interrompeva la lezione per dire quel che gli passava per la testa. I compagni alzavano la mano perché dava fastidio, la maestra urlava che doveva controllarsi, i genitori minacciavano di mandarlo in collegio. Nessuno voleva stargli accanto e nessuno lo invitava alle feste.
    Poi, in prima media, è diventato il Re del parkour: ora che fa free-style e salta come un grillo sulle impalcature, i maschi lo venerano e le femmine sbavano quando passa. Io però ero cotta da prima: mi piacevano la sua faccia, la sua battuta pronta ed ero sicura che quell’agitazione fosse solo immenso entusiasmo. E poi Molla era coraggioso: non piangeva pur essendo molto solo.

    Quando la lattina è atterrata davanti al muretto su cui eravamo appollaiate noi femmine, Molla è rimbalzato lì: una scheggia in pantaloni col cavallo basso, lunghi piedi nelle sneakers e una maglia enorme, nera, come sempre.
    Mi ha squadrata e con la faccia storta ha esclamato: “Che schifo! Hai i peli sulle gambe. Sembri una scimmia”.
    Hanno riso tutti, anche Eva. La faccia mi bruciava, avevo voglia di piangere e le farfalle nel mio stomaco sono morte tutte. Abitavano lì da quando la maestra aveva messo me e Molla vicini di banco.

    A casa ho ispezionato le gambe. Aveva ragione: erano coperte da un’immonda foresta. Ecco perché ho rubato una lametta di papà: per la festa di Eva, in spiaggia, mi servivano gambe lisce e, magari, un costume nuovo.
    Mamma però non era interessata alle cause della deforestazione e mi ha messa in punizione per aver fatto una cosa stupida. Niente festa. Problema risolto: nessuno avrebbe visto i miei peli schifosi. Allora perché avevo voglia di urlare?
    Ho sbattuto la porta e sono corsa fuori. Era il tramonto, l’ora in cui tutto, sotto una carezza arancione, si calma. Toc toc. Ho sentito bussare ma non c’era nessuno. Toc toc. Incredibile! Un enorme ippocampo batteva lo zoccolo per uscire dal muro su cui era dipinto.
    “Mi fai uscire?”
    Ho scrutato la creatura che si dibatteva, prigioniera del cemento.
    “Come faccio? Sei un murale”.
    “Bacia la mia coda di pesce”.
    Ho liberato la creatura in un attimo. “Grazie! – ha detto – Vuoi salire?”
    “Farò tardi per cena”, ho pensato. Ma ero in punizione e tutti avevano riso di me. Non sono coraggiosa come Molla io, ed ero felice di avere già un nuovo amico.
    La creatura ora galoppava su quattro zampe e i suoi zoccoli facevano un rumore di ghiaccio spaccato. In pochi balzi ha raggiunto la spiaggia e tuffandosi è tornata pesce dalla pancia in giù. Aggrappata alla criniera adorna di conchiglie, sott’acqua, respiravo benissimo: non avevo bisogno del boccaglio e mi sembrava di poterlo fare da sempre.
    Ci siamo immersi: giù, giù, giù e ci siamo seduti là sotto, tra sabbia e frammenti di rocce. Mi è venuto da ridere: “Posso dire di aver toccato il fondo.”
    “Sembri una regina” – ha nitrito lui porgendomi uno specchio chiuso in una conchiglia. Le mie trecce disfatte erano una cresta d’alghe. “Ora ti curo la gamba”, ha detto guardandomi con gli occhi sporgenti. Dopo aver leccato la ferita procurata dal rasoio, l’ha sfregata con le sue scaglie argentate e la pelle è tornata compatta.
    Abbiamo attraversato gli abissi nuotando al galoppo, e ci siamo uniti a un corteo di sirene, meduse, piovre e pesci di tutti i tipi.
    “In cima c’è Poseidone sul carro. Stiamo andando a una festa!” – ha annunciato l’ippocampo. Mi sono guardata le gambe, ma ora erano bellissime, coperte di squame luccicanti.
    “Com’è successo?” – gli ho chiesto quando la festa è finita.
    Le sue narici fremevano. “Ho dei poteri. E li hai anche tu”.
    “Balle! Non sei né carne né pesce!”
    “Beh, neanche tu”.
    E abbiamo riso.

    Oggi ho compiuto tredici anni.
    Questa volta la festa in spiaggia era per me. Per l’occasione mamma mi ha regalato un bikini e il mio primo appuntamento dall’estetista, per la ceretta.
    Sono venuti tutti. Anche Molla.
    Mentre mi asciugavo, stesa al sole, mi si è seduto accanto, ma non m’importava: ero già felice.
    “Cos’hai qui?” – ha chiesto sfiorandomi la pelle. Qualcosa di simile a una squama luccicava sulla mia gamba.

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