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Out of Office letterario. Oscar Wilde

    «Mia cara Bernie, ho tenuto una conferenza ai mormoni…»


    Il 17 aprile 1882, raggiunta la fama anche grazie ai numerosi ritratti satirici che il Punch gli ha dedicato, Oscar Wilde è in America per un tour di conferenze sulla poetica dell’estetismo. Wilde – il cui vero “mandato” è mettere in scena se stesso, con tutto il corredo di stravaganze ed eccentricità che ci si aspetta da lui – viene accolto con curiosità e qualche scetticismo. Nonostante il discreto successo di pubblico, al termine della tournée i giornali la descrivono come un fiasco. Questo non impedisce a Wilde di affidare alla propria corrispondenza alcuni gustosi ritratti della società americana, come quello che segue.

    La lettera che riportiamo è tratta dal volume Lettere, a cura di Silvia De Laude e Luca Scarlini, Milano, il Saggiatore 2014, che ringraziamo per la gentile concessione.


    ***


    A Mrs Bernard Beere

    Kansas City, Missouri [17 aprile 1882]

    Mia cara Bernie,
    ho tenuto una conferenza ai mormoni. Il Teatro dell’Opera a Salt Lake è un affare enorme, grande più o meno come il Covent Garden, e contiene agevolmente quaranta famiglie. Stanno seduti così

    e sono molto, molto brutti. Il Presidente, un vecchietto simpatico, era seduto con cinque mogli nel palco di proscenio. Sono andato a trovarlo nel pomeriggio, e ho visto una sua figlia incantevole.1
    Ho anche parlato a Leadville, la grande città mineraria sulle Montagne Rocciose. Ci abbiamo messo un giorno intero per arrivare fin lassù, con una ferrovia a scartamento ridotto, a 14 000 piedi d’altezza. Il mio pubblico era composto solo di minatori, con un look perfetto: camicie rosse e barbe bionde, le prime tre file occupate da tanti McKee Rankin di ogni colore e dimensione.2 Ho parlato dei primitivi fiorentini, e hanno dormito come se nessun delitto avesse mai macchiato i burroni delle loro dimore alpestri. Ho spiegato la pittura di Botticelli, e il nome, che gli è suonato come quello di una nuova bevanda, li ha risvegliati dai loro sogni, ma quando ho descritto nella mia ingenua eloquenza il «segreto di Botticelli» quegli omoni hanno pianto come bambini. La loro partecipazione mi ha commosso, e quando ho cominciato a parlare dell’arte moderna e stavo per conquistarli a un autentico rispetto per ciò che è bello, disgraziatamente ho illustrato uno dei Notturni in blu e oro di Jimmy Whistler. Allora sono balzati in piedi, e coi loro modi grandiosi e semplici hanno giurato che cose del genere non dovrebbero esistere. Alcuni dei più giovani hanno estratto le loro pistole e sono usciti precipitosamente per vedere se Jimmy «si aggirava nei saloon», o stava «mangiando pasticcio di carne» in qualche ristoro. Se fosse stato lì, temo che lo avrebbero ucciso, tanto era amaro il loro risentimento. Soddisfatto del loro entusiasmo, ho finito su quello la mia conferenza. Poi ho trovato il Governatore dello Stato3 che mi aspettava in un carro da buoi per farmi scendere nella più grande e famosa miniera d’argento del mondo, la Matchless. Così ci siamo avviati. I minatori con le torce ci hanno fatto strada fino al pozzo, dove ci hanno calati con dei secchi (io naturalmente, fedele ai miei princìpi, ero bellissimo anche in un secchio), e giù nella grande galleria della miniera, con pareti e soffitto che scintillavano di metallo, c’era un banchetto apparecchiato per noi.
    Lo stupore dei minatori nel vedere che arte e appetito potevano procedere di pari passo è stato senza limiti. Quando poi ho acceso un lungo sigaro, hanno applaudito finché la polvere d’argento non è caduta dal soffitto nei nostri piatti, e quando ho tracannato un cocktail senza colpo ferire coi loro modi grandiosi e semplici mi hanno proclamato «un vero duro» – genuino e spontaneo elogio che mi ha commosso più di quanto i pomposi panegirici dei critici letterari abbiano fatto o potranno fare mai. Poi ho dovuto aprire un nuovo filone, o vena, cosa che ho fatto brillantemente con un trapano d’argento, fra gli applausi generali. Il trapano me l’hanno regalato e il filone è stato battezzato «l’Oscar». Avevo sperato che coi loro modi grandiosi e semplici mi offrissero una partecipazione nell’«Oscar», ma con quelle loro maniere spontanee e incolte non lo hanno fatto. Come ricordo della sera passata a Leadville mi è rimasto solo il trapano d’argento.
    Ho passato giorni splendidi per tutta la California e il Colorado, e ora sto tornando a casa, più pretenzioso che mai, mia cara Bernie. La prego di ricordarmi al caro Dot, a Reggie e a tutti i nostri amici, compreso Monty Morris, che non vuole scrivermi e nemmeno criticarmi.
    Arrivederci. Il tuo amico sincero

    Oscar Wilde

    La tua lettera era affascinante, scrivimi a New York, 1267 Broadway.


    1 John Taylor (1808-1887), che con Brigham Young (1801-1877) guidò l’immigrazione in massa dei mormoni nello Utah. Aveva sette mogli e trentaquattro figli.
    2 L’attore e regista americano Arthur McKee Rankin (1842-1914) aveva interpretato il ruolo di un mormone nel dramma di Joaquin Miller The Danites in the Sierras, in scena al Sadler’s Wells nel 1880.
    3 Horace Austin Warner Tabor (1830-1899), «The Bonanza King» di Leadville, uomo politico che fece una fortuna nelle miniere e poi in finanza. Speculatore spregiudicato, fu tra i maggiorenti della città di Denver, e finì in rovina.

    Redazione Belleville