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Leggi l’estratto da “Pandemia”, l’ultimo romanzo di Lawrence Wright

    Pandemia, Lawrence Wright

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    Leggi l’estratto da “Pandemia”, l’ultimo romanzo di Lawrence Wright

     

    Il 2 dicembre 2019 Lawrence Wright, scrittore premio Pulitzer per Le altissime torri (Adelphi, 2016), ha tenuto un incontro alla Scuola Belleville insieme a Marilisa Palumbo del Corriere della Sera. Durante la serata (la registrazione si può vedere qui) Wright ha parlato del suo modo di lavorare e di scrivere, del suo libro Dio salvi il Texas (NR Edizioni, 2019) e accennato al suo ultimo lavoro, un thriller sulla pandemia che sarebbe uscito poco dopo. A novembre l’epidemia non era ancora iniziata. Oggi sappiamo che il romanzo di Lawrence Wright l’aveva prevista nei dettagli.

     

    Pandemia (Piemme, 2020) – uscito in ebook in contemporanea mondiale e nelle librerie il 5 maggio – racconta di un virus nato in Asia che si diffonde con incredibile rapidità costringendo le nazioni di tutto il mondo a fare i conti con una minaccia senza precedenti. Nell’estratto che pubblichiamo in anteprima l’epidemiologo Henry Parsons, protagonista del romanzo, incontra il principe dell’Arabia Saudita per evitare che il contagio si espanda alla Mecca.

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    Il principe ereditario fu il primo a prendere la parola. «Mio cugino mi ha detto del vostro timore di un’epidemia nella città santa. È un problema che si ripresenta ogni anno e l’abbiamo sempre gestito senza ricorrere agli estranei. Apprezziamo il suo interessamento, ma non intendiamo impedire ai pellegrini di tornare alle loro famiglie. Non se ne parla.» Sorrise, come a intendere che considerava chiusa la discussione.

    «Vostra altezza, potrei illustrarvi qualche dettaglio prima che prendiate una decisione?» domandò Henry. «So che verrete considerato responsabile delle conseguenze, e non vorrei che il popolo, all’oscuro del vostro dilemma, ritenesse impulsivi o negligenti i vostri provvedimenti. Almeno così potrete fare una scelta approfondita e informata.»

    Il sorriso del principe si indurì in una smorfia. L’insulto nelle parole di Henry era chiaro a tutti, oltre alla minaccia che sottintendevano. E il fatto che a pronunciarle fosse stato un uomo tanto insignificante – né ricco né nobile, e per giunta storpio – le rendeva ancora più oltraggiose. D’un tratto il re si riscosse dal suo torpore e lo fissò dritto negli occhi. La collera gli deformava il volto.

    «Il mondo sta per affrontare una pandemia» proseguì Henry. «Non possiamo fermarla. Per ora in Indonesia siamo riusciti a contenerla, ma alla Mecca sarà tutto diverso. Senz’altro moltissimi sauditi sono già andati e venuti ogni giorno dalla città per le proprie faccende, forse estendendo il contagio al resto del regno. Lo sapremo presto. Ciò che è certo è che molti dei tre milioni di pellegrini sono già infettati, e al ritorno a casa porteranno la malattia con loro. Sconfiggerla è impossibile. Vi chiedo solo un po’ di tempo. Mettendo i pellegrini in quarantena potete rallentare la diffusione del morbo e forse offrire agli scienziati un piccolo vantaggio nella ricerca del vaccino o addirittura di una cura. Come minimo permetterete ai governi di prepararsi a quanto sta per accadere.»

    «Quanto tempo?»

    «Un mese.»

    Il principe scoppiò a ridere. «Ma è solo un’influenza! Capita ogni anno. Si ammalano tutti, compresa la famiglia reale!» esclamò.

    «Il problema è che questo tipo di influenza assomiglia a una nuova peste. Il vostro regno sarà il primo a subirne tutto l’impatto se autorizzate i pellegrini a lasciare la città santa. E, come avete detto voi stesso, nemmeno la famiglia reale è immune.»

    Per la prima volta il principe sembrò dubitare di sé, e rivolse uno sguardo ai suoi consiglieri.

    A quel punto l’imam cieco alzò la voce, volgendo gli occhi lattiginosi verso il sovrano.

    «Il gran mufti dice che è stato l’Iran a farci questo» tradusse Majid per Henry.

    «Ammesso che esista un responsabile, non sta attaccando l’Arabia Saudita. Sta attaccando l’intera umanità» rispose lui.

    «È quel che dice lei» ribatté un membro dell’assemblea. «Ma come sappiamo che non si tratta di una cospirazione iraniana contro il regno? Vogliono privarci della nostra credibilità. Ci accusano di non vegliare adeguatamente sui luoghi santi. È questo l’obiettivo degli autocrati sciiti di Teheran. Sono disposti a distruggere l’islam pur di conseguire i loro scopi malvagi. Perciò, quando lei dice che c’è la peste tra i pellegrini, noi ci chiediamo: “Chi ne trae vantaggio?”. E conosciamo già la risposta.»

    Un altro consigliere aggiunse: «Anche l’Occidente vuole distruggerci».

    Il mufti intervenne, di nuovo in arabo.

    «Dice che per dimostrare che gli sciiti non c’entrano bisogna accertare che anche loro siano stati contagiati» tradusse Majid. «Gli ho risposto che verificheremo.» Poi, notando lo sguardo di Henry, mormorò: «Mi dispiace, ma l’ostacolo non è aggirabile».

    Uno dei militari, che Majid presentò come generale al-Homayed, capo della Guardia nazionale, chiese a Henry come pensava di imporre la quarantena. «Il numero di pellegri¬ni supera di molto quello dei poliziotti o dei soldati» disse. «E la città non ha una cinta muraria. La gente può uscirne in qualsiasi direzione. Dovremmo circondarla con truppe e carri armati e sparare ai fedeli che cercano di fuggire?»

    «Ovviamente io non sono un militare» rispose Henry. «Ma immaginate che ogni persona all’interno della città sia un kamikaze. Loro non sanno che il loro corpo si è tramutato in un’arma e quando lo scopriranno saranno terrorizzati e cercheranno senz’altro di fuggire. È comprensibile. Ma chiunque lasci la città porta la morte con sé. È vostro dovere proteggere il resto del popolo dal contagio.»

    «Abbandonando i pellegrini alla malattia? In un paese straniero, lontani dalle loro famiglie? Quanti di loro moriranno se imponiamo la quarantena?»

    «Centinaia di migliaia, forse un milione» rispose Henry.

    Il principe e i cortigiani lo guardarono allibiti.

    «Un milione di musulmani» sbottò d’un tratto il mufti, in inglese, come se avesse avuto la conferma dei suoi sospetti.

    «Un piccolo numero rispetto a quelli che li seguiranno se la malattia resta virulenta com’è ora» replicò Henry. «E questa non è un’esagerazione: non abbiamo medicine per alleviare i sintomi, nessun vaccino per arrestare il decorso. Forse tra non molto ci arriveremo, ma per ora dobbiamo guadagnare tempo, e l’unico modo che abbiamo è impedire ai pellegrini di tornare a casa e diffondere il virus ovunque e simultaneamente. I morti si conterebbero a miliardi.»

    «Questo è nelle mani di Dio, non nelle nostre.»

    «Possiamo provvedere alle esigenze di questi pellegrini finché la malattia non si sarà esaurita?» domandò il principe ereditario a un consigliere.

    «Possiamo provarci, altezza» rispose quello. «Ma le nostre risorse sono già allo stremo.»

    «Impiegare le truppe sarebbe un disastro» lo mise in guardia il generale. «Esporremmo il fianco a un attacco nemico lungo i confini.»

    «Abbiamo di fronte un nemico più grande» intervenne Majid, in tono accalorato. «Ed è già qui. Ha invaso il nostro santuario. Sta uccidendo i musulmani, in questo preciso momento!»

    «Devo rifletterci» disse il principe ereditario.

    «Non c’è tempo! Bisogna agire!» insistette Majid.

    «Avete interrotto un consiglio di guerra» replicò il cugino. «Venite a dirci che non abbiamo scelta. Ci spaventate con le vostre profezie catastrofiche e pretendete di essere creduti sulla parola. Ma noi abbiamo altre responsabilità di cui tenere conto. Non si può fare tutto subito. Le vostre tesi vanno verificate.»

    «Se non decidete ora sarà già troppo tardi» ribatté Majid. «Qualsiasi misura messa in atto domani sarà inutile. La decisione va presa adesso.»

    Gli occhi del principe ereditario si fecero duri mentre fissava Majid. Henry temette per l’incolumità del suo amico. Poi, a sorpresa, il re parlò. Il tono era secco e autorevole. D’un tratto il principe, i consiglieri e il mufti si alzarono e

    abbandonarono la sala, lasciandosi indietro soltanto i militari. Il re indicò a Majid di avvicinarsi. Appoggiò una mano sulla sua e disse: «Fa’ ciò che puoi per fermare tutto questo».

    Mentre uscivano dalla reggia, a Henry venne da pensare che a volte avere un’unica voce al comando è la soluzione migliore.

     

    Pubblicato per Piemme da Mondadori Libri S.p.A.
    © 2020 Mondadori Libri S.p.A., Milano

     

     

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