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Il nuovo Scrittore su TYPEE

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    Il nuovo Scrittore su TYPEE

    2 settembre 2019

     

    lucioaru è il nuovo Scrittore su TYPEE.

    Il racconto con cui la Redazione di Belleville lo proclama Scrittore è Maria si è sfilata la gonna. Buona lettura!

     

    Maria si è sfilata la gonna

    di lucioaru

     

    Maria si è sfilata la gonna. È lunga e nera, plissettata ed è più vecchia di lei, che ha sessantadue anni. In quei due chili e sette di pieghe nere Maria ci vede sua madre, ne ricorda il viso ossuto con gli zigomi che quasi la tagliavano quando quelle due volte l’anno la baciava. Ci vede sua nonna, che mai conobbe e che restò per la famiglia tutta una specie di leggenda. Si è sfilata la gonna Maria, e l’ha appoggiata sul tavolo di legno grosso e scuro, ricco d’intarsi e pesante anch’esso. Poi ci ha sorriso e ci ha spiegato che senza la gonna l’effetto non sarebbe stato lo stesso. Ridiamo e facciamo qualche battuta sugli stereotipi folcloristici. Lei dice che qualche “continentale” lo ha sentito lamentarsi delle strade asfaltate, in Sardegna, che rovinano l’autenticità di quei posti remoti. “A lui vorrei vedere a guidare in quelle strade di polvere e sassi per tutta la vita” ci ha detto sbuffando.

    Via la gonna, che è una ruota, che è un simbolo ed è anche un’esca per turisti. Come noi, che tra l’altro siamo turisti sì ma in casa nostra, visto che siamo sardi tutti e tre. Maria ci ha chiamati dentro casa sua e sembrava una vecchia qualsiasi, vestita di nero con quella gonna di pieghe e i capelli striati di grigio legati stretti stretti sulla nuca. Museo casa, casa museo. Venite a vedere come vivevo insieme alla mia famiglia e come la mia famiglia ha vissuto prima di me. I pavimenti sporchi di storia incrostata che non se ne va manco a lavarla con la varecchina, e si che ci ha provato Maria, ci racconta. “Queste mattonelle le ho sfregate con tutta la forza che avevo in corpo. Mia madre era severa, pace all’anima sua, severa e magrissima, con gli occhi chiari. La chiamavano strega, ché di occhi così chiari non se ne vedevano in paese”.

    Maria ci racconta e le sue labbra viola si muovono rapide mentre con le mani sfiora ogni cosa che nomina. Le pareti così ruvide e porose, sfiora i quadri che ritraggono i parenti o qualche paesaggio dipinto male, naif diciamo guardandoci io e il mio ragazzo, e ci sentiamo un po` snob ma non fa niente. Lei racconta e tocca, tocca i vestiti: quei variopinti tessuti appesi al muro o che penzolano da corde vecchie legate a ganci e gancetti. Neri profondissimi e rossi che ricordano il sangue. Tinture naturali, ci spiega Maria. Così i costumi sardi sfilano davanti a noi stando in realtà immobili. Noi sfiliamo, anche noi neri come Maria, vestiti di stracci cuciti a macchina da bambini in chissà quale paese asiatico. “Due vestiti avevo. Uno per tutti i giorni e uno per le feste comandate. Una volta si è sposata mia sorella e ne ho avuto un terzo, mi sono sentita ricca. Ero ricca”. Quei vestiti valevano tutto, valevano una vita e duravano anche una vita intera, penso. I nostri valgono e durano quel che costano. Niente.

    Attraversiamo un corridoio umido e arriviamo ad un’enorme cucina. Le ceramiche che invadono il lungo tavolo sono splendide, dipinte a mano, bianche avorio. Ci innamoriamo. Il sughero è ovunque e Maria ci spiega indicando il forno a muro come cucinavano il pane carasau. Ce ne offre un pezzo e io dico che è una droga, tutti annuiscono e Maria mi prende la mano e tira fuori un filo porpora dalla tasca dei pantaloni che aveva sotto la gonna di “scena”. Me lo lega all’anulare e recita una preghiera in sardo. O è latino? Suona uguale. Avrei dovuto studiare meglio il latino, penso. E invece la ringrazio, in italiano perché neanche il sardo ho mai imparato. Il mio ragazzo mi guarda e sorride. Mi sfiora la mano. Maria ci guarda e dice che lei lo ha “sempre approvato, l’amore” e che “non gliene frega niente”. “Di che cosa” le chiediamo noi all’unisono. “Del resto”, ci risponde. Facciamo tre rampe di scale e arriviamo in cantina. L’aria densa profuma di formaggi e insaccati. Ci innamoriamo ancora e diciamo a noi stessi e voce alta che “vogliamo tornare a vivere così”. Poi stiamo zitti e so che tutti stiamo pensando che così non abbiamo mai visssuto, e che siamo soltanto turisti a casa nostra e viviamo di questa nostalgia.

    La famiglia di Maria si è estinta. Lei è l’unica sopravvissuta. È contenta, ci dice. Il mondo adesso fa un po` schifo. Ci accompagna alla porta e prende la gonna dal tavolo. Si deve preparare per i prossimi ospiti.

     

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