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I due Scelti da Belleville su TYPEE
(8 – 14 luglio)
Pallottoliere
di Irene
Sposto le palline da una parte all’altra. Colorate, somigliano ai fagioli che trovavo sugli scaffali del supermercato in primavera. Fuori dalla finestra impazza la tempesta. Sono alla fine del mondo e alla fine della storia, la sabbia ricopre la tenda della veranda, l’orto con le poche cose che il nonno è riuscito a piantare prima di morire. Ricopre la tomba di Rio, il mio vecchio husky e il piccolo altare che ho costruito per Norma, prima di andare alla clinica e chiedere al medico di fare il raschiamento. Era un obiettore; prima dell’inizio delle tempeste non lo avrebbe mai fatto, forse. Ma ora non importava più: gli idoli, gli dei le sporche morali private. Spazzate via dal calore e dal buonsenso di chi deve solo sopravvivere. Morirà di caldo dopo pochi giorni, mi aveva detto. Aveva un sorriso storto, il cinismo di chi ha detto l’ultima preghiera.
Il vento era arrivato anche a Roma. Immaginavo il Colosseo sommerso da una duna di sabbia, le povere rovine che emergevano, un bambino un giorno lontano sarebbe inciampato su una pietra e avrebbe chiuso il cerchio della memoria della nostra povera civiltà.
Sposto le palline da una parte all’altra. Colorate, somigliano ai fagioli che trovavo sugli scaffali del supermercato in primavera. Fuori dalla finestra impazza la tempesta. Sono alla fine del mondo e alla fine della storia, la sabbia ricopre la tenda della veranda, l’orto con le poche cose che il nonno è riuscito a piantare prima di morire. Ricopre la tomba di Rio, il mio vecchio husky e il piccolo altare che ho costruito per Norma, prima di andare alla clinica e chiedere al medico di fare il raschiamento. Era un obiettore; prima dell’inizio delle tempeste non lo avrebbe mai fatto, forse. Ma ora non importava più: gli idoli, gli dei le sporche morali private. Spazzate via dal calore e dal buonsenso di chi deve solo sopravvivere. Morirà di caldo dopo pochi giorni, mi aveva detto. Aveva un sorriso storto, il cinismo di chi ha detto l’ultima preghiera.
Il vento era arrivato anche a Roma. Immaginavo il Colosseo sommerso da una duna di sabbia, le povere rovine che emergevano, un bambino un giorno lontano sarebbe inciampato su una pietra e avrebbe chiuso il cerchio della memoria della nostra povera civiltà.
La sabbia è qui, inizio ad avvertire il prurito sulla pelle, i piccoli pizzicotti dei granelli sul volto. E conto le palline sul pallottoliere.
Uno.
La fotografia della mia famiglia. Mio fratello è emigrato a nord, in Olanda prima, in Pennsylviania poi. Quanto riuscirà a fuggire?
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Am Lugeck 7
di Sara Albertin
Il vecchio Stanley proclamava ubriaco
nel suo italiano stentato e sdentato
“Una bella compagnia!”
Come si illuminava vedendoci
con quel cappello londinese a cilindro colorato
vagava intorno alla panchina
che accoglieva la nostra gioventù reduce
dodici ore filate per lavorare
coppe in bilico su mani inesperte, vasche di gelato e clienti che farfugliano
e le restanti dodici ore per vivere e dormire
Ma eravamo bambini
e Vienna la nostra giostra
la panchina il nostro monumento
Stavamo al centro esatto del mondo
dentro e fuori di noi
tutti già in fuga da qualcosa
All’ombra del duomo di Stephansplatz
stanchi e innocenti
invincibili e incoscienti
come solo i giovani
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