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Il nuovo Scrittore su TYPEE
1 luglio 2019
Il nuovo Scrittore su TYPEE è Phi.
La sua prima poesia
di Phi
Passo fiero, petto in fuori, barba scolpita da mani esperte.
Al suo cospetto le porte automatiche si spalancarono.
Entrò in una libreria soltanto per testare il suo talento.
Pochi minuti prima si era scoperto poeta.
Aveva pensato a una frase spontaneamente.
Nessuno gli aveva chiesto di pensare.
Nessuno gli aveva chiesto qualcosa.
Eppure la sua mente cominciò a sgorgare pensieri come un rubinetto aperto, che avrebbe allagato qualsiasi stanza sicura della sua anima.
Sentì la certezza del dubbio, la malinconia della festa, l’odio dell’amore, e appena prima di scoppiare a piangere tra la folla del centro, giunse a salvarlo la sua mente ormai priva di briglie, che come un medievale cavallo magico gli calciò via quell’attimo di panico dalle sue spalle, nitrendo <<Questa è poesia!>>
Come dargli torto, pensò lui, incoronandosi poeta nella sua solitudine accompagnata da sconosciuti.
Ormai era un poeta, un visionario, sapeva riconoscere la vera poesia, ed eccolo entrare nella libreria, a guardare con sdegno i titoli delle operette che lo circondavano, chiamate dai falsi poeti best seller. Parole sempre uguali, storie sempre uguali, tutto sempre uguale.
Prese il primo best seller.
«Anche le colline hanno i capezzoli»
Aprendolo annusò l’odore della carta stampata, e saltando l’introduzione posò gli occhi della sua mente poetica sulla prima frase dell’opera.
«Se il rasoio non va dal pelo, allora il pelo andrà verso il rasoio.»
Non era poesia.
Prese il secondo best seller.
«Il treno è passato e tu pure»
Aveva un altro odore, carta diversa, al tatto pareva sabbia.
Posò i suoi occhi gonfi di poesia sulle prime righe, leggendo «Le emozioni degli uomini sono come treni sull’oceano, senza binari, su e giù.»
Non era poesia.
E con il passo ancora più fiero, col petto ancora più in fuori, toccandosi cogitabondo la barba scolpita, varcò le porte automatiche, uscendo da quella libreria non solo indignato, ma sicuro di poter cambiare la storia della poesia mondiale.
La sua mente d’alloro continuava a versare pensieri intensi su di lui, sciogliendogli di dosso la vecchia e annosa crosta d’apatia coltivata in anni di sudore e fatica, convincendolo nell’urgenza quasi mortale d’immortalarli subito, in qualsiasi modo, su qualsiasi cosa.
Non aveva penna, non aveva fogli.
Non poteva scrivere sui muri.
D’altronde pochi minuti prima pensava d’essere un disoccupato, mica un poeta.
Aveva però un cellulare.
E come la folla gli scorreva attorno, la poesia gli scorreva dentro, e mentre i piedi della gente tamburellavano l’asfalto, i suoi pollici tamburellavano lo schermo, e non c’erano altri suoni all’infuori dello scrosciare di parole del suo poetare interiore, che venne sferzato a colpi di polpastrelli finché non digitò una piccola, semplice virgola.
Cancellandola senza pietà, ci mise un punto.
Poi rilesse il suo operato, cercando di dargli uno sguardo distaccato, come se non volesse riconoscere un figlio.
«Sono triste. Molto triste. E ne sono fiero.»
Storse subito il naso.
Qualcosa non andava.
D’altronde era la sua prima poesia.
E colto dall’ultimo folle gesto, cancellò il punto finale.
Tornò sulla piccola e semplice virgola, premendola e imprimendola sullo schermo bianco, proprio al termine della frase che rilesse da lontano, come fosse un quadro, socchiudendo addirittura un occhio.
«Sono triste. Molto triste. E ne sono fiero.»
Il diabete gli si tratteggiò in volto.
Quella sì che era una poesia.
Soddisfatto, infilò il cellulare in tasca, e col petto in fuori, lo sguardo lungimirante verso una nuova avventura, si fece trasportare verso casa dai suoi piedi poetici, sicuro che grazie a quella virgola, la sua vita era arrivata finalmente a un punto.
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