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Le regole dell’attrazione. Leggere e amare Bret Easton Ellis

    Ho avuto da ragazzo una grande passione per i libri di Bret Easton Ellis. Oggi, dopo aver terminato il suo nuovo romanzo, vorrei provare a capire perché mi sia piaciuto e mi piaccia così tanto; nel sospetto che le ragioni del mio amore possano almeno in parte coincidere con quelle di chi invece non lo sopporta, e certo non sopporterà questo mattone di quasi settecentocinquanta pagine: un Ellis al quadrato, autoreferenziale e manieristico, purissimo Ellis che si rilegge, riscrive e riscopre. 

    Proprio Le schegge (Einaudi 2023, traduzione di Giuseppe Culicchia) può costituire un buon banco di prova per mettere a fuoco l’identità formale e psicologica del suo autore. È un romanzo che mobilita, in un esercizio di autocitazione esplicita, tutto il repertorio formale e l’immaginario che Ellis aveva sciorinato nei suoi libri precedenti: una cosa che capita a volte agli scrittori bolliti, oppure ai grandi scrittori. Da Meno di zero Le regole dell’attrazione vengono il tempo e lo spazio narrativo – Los Angeles, inizio anni Ottanta – come pure l’idea di un affresco o meglio di una foto di gruppo (tra adolescenza e giovinezza, tra liceo e università). Da American Psycho viene la figura del serial killer, che in Ellis sempre allude al consumo compulsivo e al desiderio insoddisfatto (possiamo chiamarlo capitalismo, se ci fa sentire meglio); da Glamorama l’idea di personaggi che sembrano agire recitando, come inchiodati a parti ben rodate, fissate in sceneggiature, alcune segrete, altre contraddittorie; protagonisti che si sdoppiano, suggerendo diversi livelli di realtà. Bianco, d’altra parte, aveva collaudato (insieme al dialogo tra libro da scrivere e podcast da registrare) gli inserti di critica di costume, culturale e politica – lo sguardo impietoso sul presente, che nelle Schegge è integrato al racconto del passato. Infine, Lunar Park Imperial Bedrooms avevano predisposto l’impalcatura autofittiva che anche nelle Schegge fa di uno scrittore di nome Bret Ellis il personaggio, il protagonista, il narratore stesso di vicende che sembrano rubare dall’esistenza empirica dell’autore un numero imprecisabile ma apparentemente elevato di dettagli (a cui però puntualmente si mescolano episodi straordinari, esorbitanti, in qualche caso esplicitamente soprannaturali: una realtà dettagliatissima di nomi propri, marchi e toponomastica esatta è sempre impregnata di sogni, incubi, visioni – e viceversa).

    Nei romanzi di Ellis, e le Schegge non fa eccezione, trovo interessanti innanzitutto gli oggetti poetici

    Ma l’attrazione per Ellis, e per le Schegge in particolare, non dipende certo dal meccanismo citazionistico (anzi, sospetto che gli adepti di questo scrittore non siano particolarmente sensibili ai giochetti metaletterari). Piuttosto il primo e più superficiale motivo del mio trasporto attiene forse al piano banalissimo dei contenuti. Nei romanzi di Ellis, e le Schegge non fa eccezione, trovo interessanti innanzitutto gli oggetti poetici. Alcuni generali e per così dire categoriali: la bellezza fisica come qualità suprema (e come condanna); le dipendenze – dalle droghe, dall’alcool, dagli psicofarmaci, dal sesso – come spia di una lacuna che niente può colmare; la perversione (nel senso etimologico di allontanamento dalle norme sociali e morali riconosciute e condivise). Ma sono attraenti anche altri oggetti meno strutturali e più concreti, spicciolati nell’arredamento del racconto. Luoghi fotogenici come le piscine e le spiagge, gli hotel e i club. Certi vestiti, certi accessori, certe macchine sportive (nelle Schegge ad esempio hanno un forte rilievo una Porsche 911 nera e una Nissan Datsun rossa, se penso ai Suv e ai crossover che si vedono in giro adesso mi viene da piangere). Altri ancora sono oggetti prettamente culturali: alcuni film (soprattutto New Hollywood), alcuni brani musicali (soprattutto New Wave) apparsi tra la fine degli anni Settanta e i primissimi Ottanta: tutto un new che il tempo ha reso molto vecchio, ma che aveva, e conserva, una precisa identità spirituale:

    All’epoca i film erano una religione, potevano cambiarti, alterare la tua percezione, potevi protenderti verso lo schermo e condividere un istante di trascendenza, in quella chiesa tutte le delusioni e le paure venivano spazzate via per qualche ora […]. Eri un voyeur seduto nel buio a guardare cose segrete, perché questo erano i film – scene che non avresti dovuto vedere e che nessuna delle persone sullo schermo sapeva che stavi guardando

    La vicenda principale delle Schegge si apre così, in un cinema di Los Angeles, con la proiezione di Shining, il film di Kubrick del 1980. Impossibile non registrare che molte delle opere, oggetti e situazioni di cui stiamo parlando sono legati a un’epoca precisa, e che guarda caso è l’epoca della mia infanzia. Le schegge – lo ha notato Paolo Landi – è anche, a suo modo, un romanzo storico. Il che può spiegare una forma di fascinazione per così dire generazionale, un effetto-nostalgia in chi è nato tra la fine dei Sessanta e i primi Ottanta. Eterno rimpianto di quando si era giovanissimi, ricordo preciso di un momento in cui – come dice il narratore delle Schegge – “erano il sesso e i romanzi e la musica e i film a rendere la vita sopportabile – non gli amici, non la famiglia, non la scuola, non la scena sociale, non le relazioni”.

    È chiaro che questi oggetti, personaggi, luoghi o situazioni ricorrenti non sarebbero ai miei occhi veramente e letteralmente poetici se a rappresentarli non ci fosse uno stile individuale, riconoscibile, insostituibile

    Chissà se è così anche oggi.



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    Gianluigi Simonetti

    Insegna Letteratura italiana contemporanea, Letterature comparate e Storia della critica all’Università di Losanna. Studioso della poesia italiana del Novecento e del romanzo postmoderno, scrive di novità letterarie sul Sole 24 Ore e sulla Stampa. Tra i sui ultimi libri: La letteratura circostante. Narrativa e poesia nell’Italia contemporanea (il Mulino 2018) e Caccia allo Strega. Anatomia di un premio letterario (Nottetempo 2023).