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“Martino” di Eva Bortolini – Laventicinquesimaora 2018

    “Martino” di Eva Bortolini – «Laventicinquesimaora.» 2018

    Uno dei racconti finalisti dell’ultima edizione de «Laventicinquesimaora».

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    Ti prego fa che non sia accesa.
    Ti prego fa che non sia accesa, mi ripetevo salendo la stradina di pietre tonde e lucide.
    Sono entrata in casa, nel buio le assi di legno gridavano e i gatti saltavano sui divani miagolando. Nonna stranamente dormiva, russava come un uomo di ottanta chili anche se ne pesava poco più della metà, era tutta ossa e denti. L’ho intravista nella sua camera e ancora una volta mi ha ricordato un albero di nocciolo deforme ma incredibilmente resistente. Sono andata nella stanza a fianco, quella che usavo quando dormivo da lei, mi sono spogliata sopra la coperta di lana ruvida, sedendomi ho sentito il calore dello scaldaletto che aveva acceso per me.
    Martino mi aveva riaccompagnata a casa in motorino. Quella notte abbiamo corso lungo le strade sterrate della zona industriale per scappare dal vigilante notturno, senza casco, perché non avevo paura mentre lo stringevo. Martino mi ha lasciata giù in strada, così nessuno avrebbe sentito il rumore. Mi ha detto Ci vediamo in questi giorni, forse dopo la scuola e se ne è andato. Io ho oltrepassato casa mia, vuota, ho pensato che se ci fossero stati i miei genitori non sarei mai potuta uscire con lui.
    Il mattino dopo la nonna mi ha preparato una moka mezza caffè e mezza d’orzo. Così non ti fa male al cuore. Ho vagato tutto il giorno intorno alla legnaia e non sentivo le spine entrarmi nelle dita, né l’odore del pollaio che solitamente detestavo e nemmeno quello del fumo e della fuliggine mentre accendevo il fuoco. Ho aspettato che tornasse dalla messa delle dieci e mezza, per parlare con lei e distrarmi. Pensavo a Martino, aspettavo che si facesse vivo. Verso sera sono diventata sempre più malinconica. Quando ho capito che non sarebbe tornato, mi è presa l’angoscia, come quella che si prova a novembre tra le quattro e le cinque del pomeriggio.
    Io e la nonna abbiamo cenato con il brodo e un pezzo di grana, poi abbiamo guardato la televisione sul divano finché non ha iniziato a russare, allora l’ho svegliata e accompagnata di sopra, l’ho sentita dire le preghiere prima di ricominciare a russare. Mi sono spogliata nel bagno dalle piastrelle turchesi e nere, con il boiler storto che mi guardava il corpo goffo. Ho spento il cellulare e mi sono messa a letto, pensavo a come vestirmi il giorno dopo se l’avessi incontrato per caso, fissavo la madonna di plastica e il tappo blu era una corona, pensavo a cosa avrei fatto da grande.
    Intanto il mio cane Dalila abbaiava continuamente dal giardino a fianco, incoraggiando tutti gli altri cani legati fuori a pali di ferro e anche i cuculi sembravano seguirla. Le macchine lontane giù in strada lanciavano bagliori fino alla mia finestra. Quella notte mi sono addormentata per la tristezza.
    Solo il giorno dopo, accendendo il cellulare ho trovato le chiamate e il messaggio di Martino: Sono qui sotto casa tua, scendi.
    Martino non c’era più.

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