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Il racconto vincitore della borsa “Scrivere di sabato”

    Borsa Scrivere di sabato

    Eva e io” di Silvia Roncucci è il racconto vincitore della borsa di studio per il corso Scrivere di sabato. L’autrice mette in scena due personaggi, una ragazzina e la sua tata, in una situazione ordinaria (una giornata in piscina). La scrittura si insinua al di sotto della quotidianità, mostrandoci i pensieri della tata, anche i più sgradevoli: la difficoltà di accudire Eva; la paura della sua diversità sottile ma “contagiosa”, perché capace di evocare, come in uno specchio, le fragilità della tata stessa; la stridente vicinanza tra due corpi opposti («batte il palmo con forza sulle mie cosce grosse. Sono bianche e piene di cellulite. Ancora più pallide e ancora più grasse accanto alle sue coscette scure ed energiche»).

    Nel finale, l’atteggiamento ambiguo di un vicino di ombrellone consente alla narratrice di ritrovare il proprio ruolo di adulta protettrice. E, paradossalmente, sancisce il definitivo ribaltamento di ruoli: è la tata a essere bisognosa d’accettazione e affetto, mentre per l’innocente Eva, ancora una volta, «è tutto a posto».

    Tra gli altri racconti che hanno partecipato al bando, segnaliamo anche:

    Fatelo” di Gabriele Caprioli, per la capacità di raccontare dal di dentro, in poche righe e senza didascalismi, l’atmosfera di un carcere e il fragile intersecarsi di due destini accomunati dalla violenza e dall’emarginazione.

    Non è successo niente” di Silvia Zamagni. Un dialogo a una sola voce in cui una figlia e una madre prevaricatrice sempre fuori scena “parlano” al telefono di un pranzo imminente. Per la perfetta coerenza tra forma e contenuto.

    Ragionevole dubbio” di Pietro Alessandro Fornari, per lo stile personale e impressionistico e gli interessanti effetti creati dalla ripetizione della stessa locuzione applicata a contesti diversi.

    E “Sine Sole Sileo” di Maria Palma Cesarini, per la capacità di raccontare il nascere, l’evolversi e il complesso corollario emotivo di una relazione asimmetrica.


    ***

    Eva e io

    Eva lecca il bordo della piscina, ignorando i miei richiami.

    “Smettila” ripeto. “Fallo per la tua tata preferita!” dico guardandomi attorno.

    Ci tengo che gli altri sentano. Che sappiano che non sono sua madre, né la sua sorella maggiore. E lo so io perché. È lo stesso motivo che mi fa sperare di non avere nessuno intorno quando le urlo di star ferma in macchina mentre le allaccio la cintura. Lo stesso che mi spinge a ordinare con rapidità fulminea al bar quando siamo insieme, perché sentirla rivolgere domande sceme a ogni cliente mi dà sui nervi.

    “Tataaa!” grida Eva in cima al trampolino. Ride sguaiata e si getta in un tuffo storto. Quando riemerge, fa una fontanella d’acqua con la bocca e mostra i denti. Bianchi e allineati, nonostante sia più facile lavarli al mio gatto che a lei. Probabilmente rideva anche sott’acqua, mi dico.

    Alcuni bambini ridacchiano, la chiamano cantilenando il suo nome. Una delle madri li rimprovera, ma sembra divertita come loro. Una mi rivolge un sorriso compassionevole. Su quante facce l’ho visto. A volte persino su quella della dottoressa che la segue. Diretto a me. A sua madre. A sua nonna. Solo suo padre ne è dispensato, perché chissà dove si trova quello ora.

    “Che tipetto ha fra le mani, eh?” dice un anziano avvicinandosi all’ombrellone. “Si farà un sacco di risate con lei.”

    Come no, penso mentre lo guardo accomodarsi sulla sedia accanto a noi e fissarla mentre esce dall’acqua, chiamandola ‘birbante’. Il suo ultimo sguardo però è per me, sembra voler calcolare quanto posto prenda sulla sdraio, prima di affondare gli occhi in una rivista.

    Eva si aggiusta il sopra del costume e si fa spazio accanto a me. Starnutisce e fa segno di passarle il telo sulla schiena ossuta, per scaldarla, e sui seni intirizziti, due pesche dure.

    “Sei una testona. Lo sai che non devi stare troppo in acqua” dico, sfregandole addosso l’asciugamano.

    “Tutto a posto!” fa lei, e batte il palmo con forza sulle mie cosce grosse. Sono bianche e piene di cellulite. Ancora più pallide e ancora più grasse accanto alle sue coscette scure ed energiche. Tre quarti della sdraio sono per me, il resto è per Eva, che mi tocca il seno da matrona, leccandosi il muco sotto il naso.

    “Schifosa” le dico per scherzo.

    Mi domando se anche lei in fondo non si vergogni di me. Se anche lei non desideri una tata migliore. Di bella presenza. Versatile. Dinamica. Esperta di problem solving. O solo più paziente.

    “Signora, può venire al telefono?” chiede uno dei bagnini.

    “Chi è?” domando. E subito mi rispondo da sola. Chiama ogni giorno a quest’ora e ha promesso di ricomprarmi il cellulare che Eva ha buttato dalla finestra ieri (non è la prima volta che accade).

    “La madre della ragazzina” risponde.

    Il vicino di ombrellone si offre di sorvegliarla, lo ringrazio e faccio giurare a Eva che si comporterà bene. Mi alzo sbuffando, ondeggio fino alla reception, rispondo a sua madre rassicurandola che è tutto a posto, il telefono nuovo può prenderlo nel fine settimana, non c’è problema, sopravvivrò ancora qualche giorno senza social.

    Prima di tornare da Eva l’occhio mi cade sul frigo dei gelati. Ne prendo uno per lei, una coppa crema e cioccolata, la sua preferita. Sarà utile per farmi promettere di stare ferma quando la dovrò rivestire.

    Da lontano vedo l’anziano seduto accanto a lei. Mi pare che l’accarezzi. Affretto il passo e avvicinandomi noto che sta leggendo un giornaletto. Eva è calma. Non ride, non si agita. Lo ascolta rapita. L’uomo alza la testa dal giornale e la avvolge con lo sguardo. Ho l’impressione che gli piaccia. Come può piacergli Eva? La stessa a cui ho deciso di fare da tata perché mi ero stufata di inutili colloqui di lavoro? Eva, che ancora piange quando vede il sangue uscire tra le sue gambe? Eva, con un corpo da piccola donna, bambina per sempre?

    L’uomo deve sentirsi osservato, perché si gira e accenna un sorriso imbarazzato.

    “Eccomi” dico. “Grazie dell’aiuto, signore”.

    “Tata!” fa Eva scattando in piedi e attaccandosi al mio collo con tanta veemenza da farmi barcollare, ma non cadere, perché la mia mole regge il confronto con il suo corpo da levriero. “Tutto a posto tata.”

    Quando si avvicina ho l’istinto di baciarla sulla testa. Sento che l’odore del cloro non ce la fa a nascondere quello del sudore. Non vedo l’ora di portarla a fare la doccia e poi via a casa.

    “Sì. Sono la tua tata preferita, lo so” dico mentre le porgo il gelato. E ci penso io a proteggerti.

    Eva si siede, affonda il cucchiaino nella coppa e indica il giornaletto. Non guarda l’uomo, che è tornato a sfogliare la sua rivista e a volte si gira verso di noi. Insiste che gliela legga io. Anche se la mia lettura non è di certo espressiva. Né interessante. Forse significa che mi perdona. Che per lei, ancora una volta, è “tutto a posto”.

    Scuola di scrittura Belleville

    Bio scuola Belleville di Milano