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Il racconto vincitore della borsa “Scrivere di notte”

    Saliscendi” di Vincenzo Albano è il racconto vincitore della borsa di studio per il corso “Scrivere di notte” in programma dal 10 ottobre.

    In un condominio di provincia, durante un violento temporale, una piccola folla di personaggi lotta per accaparrarsi un posto nell’ascensore con un’escalation che avrà conseguenze tragiche. Una parabola surreale che racconta uno dei temi sensibili del nostro presente – il contatto fisico, l’assembramento – mescolando realismo sociale, grottesco e umorismo nero.

    ***

    Un lampo graffiò il cielo plumbeo e i pendini divennero torrenti nel giro di qualche minuto. Scorrendo giù per le colline, l’acqua si impregnava di sudiciume e allagava la via principale del paese. Raggiunto il portone di casa, i vestiti estivi inzuppati, il cellulare di Sharon vibrò: Ti sono venute?

    Sharon ignorò la notifica e si diresse verso l’ascensore, la sua vicina teneva la porta della cabina aperta.

    “Buonasera signori’! L’avete preso bene sto temporale”.

    “Buonasera signora Gerarda, sì sì mi so’ lavata. Avete portato la nipotina a passeggio? Ciao Carmelina”.

    “Guarda che mi ha comprato”. La bambina aprì le mani rivelando un ciondolo su cui era incisa una torre con tre finestre.

    “Che bello! È di qualche videogioco?”

    “No no, ma però mi piaceva”.

    “L’abbiamo preso in mezzo al mercato, è vero a nonna?”

    Sharon sorrise e fece per chiudere la porta dell’ascensore.

    “Aspettate! Un attimo, non chiudete, arrivo”.

    La voce rimbombò per la tromba delle scale, poi un viso smunto fece capolino dietro la porta.

    “Uè Anna Lucia, buonasera. Vi siete fatta la corsa sotto la pioggia?”

    “Buonasera Gerarda, piccola ciao anche a te” disse la donna strizzandosi una ciocca di capelli tra le mani. “Sharon, tutto bene all’università?”

    “Sì professore’ tutto bene, terzo e quarto piano, giusto?” fece per premere il pulsante, ma la porta si spalancò e una donna nerboruta, con un chihuahua al guinzaglio, sgusciò all’interno del vano. “Permesso, scusate io e Can dobbiamo salì”.

    Le donne vennero spinte contro il muro e Carmela si ritrovò il sedere della nonna in faccia.

    “Nonni’, mi fai male”.

    “Scusa a nonna, uè Antone’ ma che combinate? Non ci entrate”.

    “È vero signora, ci facciamo male” disse Anna Lucia.

    Sharon, il gomito di Antonella che le premeva sullo sterno, allungò il collo e piagnucolò “Signora non spingete, prendetelo dopo”.

    “Ma io mo’ devo salì, mamma non sta bene!” intanto Can cominciò a ringhiare dall’angolino in cui si era confinato.

    “Nonna, usciamo”. Carmela cominciò a divincolarsi, nel farlo lasciò cadere il ciondolo con la torre che sparì nello spazio tra la cabina e il pavimento.

    “E no, a nonna! È questa qua che deve uscì” spinse Antonella con tutta la sua forza riuscendo a spostarla di qualche centimetro.

    “Calmatevi, ora esco io”, ma Anna Lucia non diede seguito alle proprie parole. “Non riesco a uscire, Antonella uscite voi, che mi sento male”.

    Can cominciò ad abbaiare quando l’uscio venne spalancato di nuovo. Comparve una ragazzina di dodici, tredici anni. “Permesso, devo salire al sesto” mormorò arrampicandosi sulle spalle della signora corpulenta.

    “O’ ma che fai signori’?” Antonella cercò inutilmente di afferrarla per le caviglie.

    “Ho paura nonna”.

    “Vi prego mi sento male, sono incinta”. Sharon portò le mani al ventre.

    Le funi cominciarono a stridere e la cabina a molleggiare su e giù di qualche centimetro, come appesa a un elastico.

    “Uscitevene! Qua andiamo giù! Carmela a nonna, fuie”.

    “Mi metto paura nonna, che succede?”

    Un rumore di passi accompagnò l’arrivo di due signore sulla quarantina che indossavano lo stesso vestito a fiori. “Maria muoviti, saliamo” la prima delle due gemelle gattonò dentro il gomitolo di gambe, l’altra la seguì.

    “Aiuto, aiutatemi, sono uscite pazze” Gerarda premette il pulsante di allarme, non partì alcun suono.

    “Aiuto!” si unirono al coro Antonella e Sharon.

    “Ma cosa state facendo? Uscite subito!” si intromise Anna Lucia.

    Ci fu uno sbalzo e la cabina cadde per venti centimetri, urla acute si levarono dall’ammasso di corpi stipati nel piccolo spazio. Poi un altro scossone e un altro salto nel vuoto.

    “Perché? Non è normale” la voce di Sharon era ridotta a un sibilo, a terra una macchia di sangue si stava allargando.

    La cabina continuò a scivolare verso il basso e il gruppetto si chiuse in un mutismo assoluto. Gerarda sentiva la testa di sua nipote premere contro il proprio corpo, ma non avvertiva più alcun movimento.

    “Maria, che sta succedendo?” Il marito di una delle gemelle squarciò il silenzio, stava osservando la scena dall’esterno.

    “Salvato’ amore, fai uscire a queste zocco…” la frase fu interrotta da una ginocchiata di Antonella.

    “Teso’, ma pure io devo andare sopra, fatemi spazio” l’uomo si inerpicò sul cumolo umano, riuscendo a entrare con la parte superiore del corpo.

    Ci fu una scossa e la cabina precipitò ancora. Le gambe di Mario rimasero incastrate in uno spazio di quindici centimetri tra il pavimento e l’uscio. Le urla di dolore dell’uomo si mischiarono ai lamenti delle donne e lo stridere delle corde.

    Poi si sentì un rumore sordo di ossa rotte e l’ascensore sprofondò nel buio.

    Redazione Belleville