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Libroidi. Sui romanzi-testimonianza

    Meno sono letterari, i libri, più sembrano volerci spiegare a cosa serve la letteratura, o l’arte in generale. Mi è capitato di recente di leggerne diversi, per un impegno televisivo, di libri scritti da attori, musicisti, registi o consimili, e di trarne la costante pedagogica o euristica. Libri solitamente presentati come “romanzi”, che però ostentavano delle motivazioni esistenziali forti e delle esplicite finalità extra-letterarie (ma allora perché “romanzi”, e non “testimonianze”?).

    Il primo caso, e il più (alla lettera) sintomatico, è quello di Elena Di Cioccio, che in Cattivo sangue (Vallardi 2023) racconta i suoi vent’anni di HIV tenuto segreto, ovvero non condiviso con nessuno al netto degli amanti in carica (per un ostentato e talvolta masochistico senso di protezione). Improvvisamente, dunque, un segreto-segretissimo diventa materia esposta alla condivisione indifferenziata: non lo racconto solo alle persone a me care, ma potenzialmente a tutti, o a chiunque. La motivazione sarebbe solidale e pedagogica, appunto: voglio spiegare come ci si sente, voglio riunire attorno a me le persone che hanno lo stesso problema, voglio dimostrare che se ne esce con la forza di volontà.

    Funziona anche con libri più letterari, a dire il vero: è il caso dell’ultimo romanzo di Antonella Lattanzi (di cui ho già parlato in questo spazio), o di Maria Grazia Calandrone, già poetessa di nicchia (lo sono, in verità quasi tutti i poeti, se manco uno studente di Lettere saprebbe più fare il nome di almeno quattro o cinque viventi), passata a sponsor delle adozioni in Splendi come vita, suo primo libro in prosa uscito un paio d’anni fa per Ponte alle Grazie, e infine vindice di madri che abbandonano figli, a petto dello stigma morale che le vuole crudeli o spietate. Così nell’ultimo libro, in cui tali madri, proprio in qualità di figlia abbandonata, “comprende e perdona”. Il titolo del nuovo libro (romanzo?), Dove non mi hai portata (Einaudi 2022), rimanda ancora una volta al trauma originario dell’autrice: il suicidio dei genitori biologici nel Tevere, episodio di cronaca del ’64, effettivamente di grande potenziale drammatico e già consegnato a una versione narrativa in un cd allegato al libro L’infinito mélo, uscito per la collana di Luca Sossella Vivavox una dozzina di anni fa. I cd però non si ascoltano più, donde la necessità di riproporne la narrazione romanzesca, in più puntate. Nella seconda, la narrazione ci riporta al Molise dei primi anni Sessanta, dunque a una vita contadina fatta di miseria e ignoranza e all’amore extraconiugale vissuto come forza rapinosa che sfida la morale. La lingua è spesso piegata alle esigenze di accomodamento dell’estremo (il suicidio e l’abbandono di una neonata) entro i pacificati confini del romanzesco, ma la provenienza dalla poesia dell’autrice lascia tracce nella scansione versale di alcuni passaggi, con effetto enfatico, sì, ma anche ritmico: gli spazi sono il respiro della scrittura (e della memoria), e ogni tanto in queste pagine effettivamente c’è aria, rispetto al tono medio e all’asfissia dei drammi borghesi della narrativa egemone. Il libro, tra l’altro, è stato fortunosamente sospinto, nella promozione, da un recente caso di cronaca che ha consentito all’autrice di perpetuare la virtuosa confusione (ormai ovunque accettata senza alcuna riserva etica) tra marketing e adesione alle cause sociali à la page. D’altra parte una delle insegne del libro è proprio l’esemplarità della vicenda, con intenzioni e tonalità emotive empatiche, che sconfinano nell’adesione creaturale talvolta lievemente mitomane (“Mi sento vita di tutti”).

    Anche Di Cioccio, tra un capitolo e l’altro, rivendica l’importanza della funzione testimoniale e affratellante della letteratura, e d’altra parte il suo libro ricalca (non saprei dire quanto consapevolmente) il precedente Febbre, scritto da Jonathan Bazzi alcuni anni fa, con tanto di giovinezza rozzanese in comune (“Rozzangeles”).



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    Gilda Policastro

    Gilda Policastro è scrittrice e critica letteraria. Cura la rubrica "Bottega della poesia" per la Repubblica ed è redattrice del sito Le parole e le cose.Ha pubblicato i romanzi Il farmaco (Feltrinelli 2010), Sotto (Fandango 2013), Cella (Marsilio 2015), La parte di Malvasia (La nave di Teseo 2021), le raccolte di poesia Non come vita (Aragno 2013), Inattuali (Transeuropa 2016), Esercizi di vita pratica(Prufrock spa 2017), La distinzione (Giulio Perrone Editore 2023) e saggi tra cui Sanguineti (Palumbo 2009), Polemiche letterarie (Carocci 2012) e L’ultima poesia(Mimesis 2021).