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Piatta è la campagna. Quattro domande a Matteo Parmigiani

    A qualche settimana dall’uscita in libreria di Piatta è la campagna (Fernandel 2023), abbiamo chiesto a Matteo Parmigiani, ex allievo di “Scrivere di notte”, di rispondere a alcune domande sul suo esordio.

    1. Qual è il nucleo da cui ha preso forma Piatta è la campagna? Da quale dei diciassette capitoli-racconti che compongono il romanzo sei partito per iniziare a scrivere?

    L’idea iniziale è nata da tre episodi legati tra loro che si trovano nel capitolo “Primavera” intitolati Identità, Speranza e la terra. Qui il giovane protagonista Matteo scopre l’avidità e meschinità degli adulti, e incontra per la prima volta la morte, un incontro essenziale per il passaggio dall’infanzia all’adolescenza.

    Gli episodi prendono il via dalla morte del vecchio conte latifondista, proprietario della maggior parte dei campi e delle cascine della zona. Morendo il conte lascia tutto in eredità al figlio, il quale, avendo passato gran parte della vita in città, arrivato a Rialzo decide di svendere le attività del vecchio dando via a un vero e proprio scontro con gli abitanti, la loro mentalità e le loro abitudini. In questo contesto riemerge dal nulla un singolare personaggio, Umeo – conosciuto in paese come “il figlio dell’impiccato” – che ha rinunciato a tutto e vive facendo il guardiano di maiali, ma che non ha nessuna intenzione di lasciarsi sottrarre il pezzo di terreno in riva al fiume sul quale è edificata la sua baracca. Matteo resta affascinato da questa figura al limite e si trova a dover scegliere tra la profonda e concreta amicizia nascente con la nipotina del conte, Speranza, e l’ammirazione ideale per Umeo. Il ragazzo si troverà suo malgrado ad assistere al più duro degli scontri tra Umeo e il figlio del conte, scoprendo che nella vita troppo spesso non ci sono vincitori.     

    2. Il protagonista tredicenne, Matteo, abita a Rialzo nella bassa pianura padana, e la narrazione si snoda tra cascine isolate e il fiume Adda, in una provincia claustrofobica e fuori dal tempo. In che modo hai mescolato elementi reali e luoghi d’invenzione per costruire il tuo universo romanzesco?

    L’elemento più autobiografico sono proprio le ambientazioni: ho voluto cambiare nome ad alcuni paesini, mentre altri sono rimasti uguali (compaiono anche città come Cremona e Piacenza). Questo mi è servito a tenere ancorati i ricordi d’infanzia dei campi e del fiume a elementi ancora oggi esistenti. Anche lo scandire delle stagioni mi è stato molto utile per rappresentare la vita di campagna, piena di promesse da un lato, ma claustrofobica dall’altro. Mescolare questi elementi mi è servito a riportare il senso di isolamento, di solitudine e soprattutto di immobilità del tempo.

    3. Intorno a Matteo ruotano una serie di personaggi (i genitori, il migliore amico Campo, la professoressa, Don Tonino) e di comparse (il bulletto del paese, il fornaio, i vecchi contadini e avventori del bar ecc.): come hai lavorato alla caratterizzazione dei vari personaggi che popolano il paese di Rialzo? In che modo sei riuscito a dare a ciascuno un’identità distinta e ben connotata?

    Alcuni personaggi li ho ripescati nella mia memoria e trasportati nella circostanza descritta o nel contesto che mi interessava, e poi mi sono domandato: cosa farebbe quel tale in quel preciso momento? Come reagirebbe?

    Altri personaggi invece sono di fantasia e devo ammettere che è stata un po’ la storia a suggerirmeli.

    Aggiungo anche che nelle varie stesure i personaggi si sono affermati e hanno preso la scena quasi “da soli”. Sono arrivato a un punto in cui scrivere alcune battute o alcune reazioni rispetto a certi accadimenti mi stonava e quindi mi sono detto: proviamo a liberare la mente, fare piazza pulita e lasciarli andare. Far parlare loro.

    Il risultato è stato molto migliore rispetto alle aspettative. Certe parole ed espressioni dialettali che colorano la narrazione sono venute quasi da sole, pensando alla reazione più genuina che quel personaggio potesse avere. 

    4. In che misura si è trasformato Piatta è la campagna nel corso delle varie revisioni? Ci sono parti sulle quali sei dovuto tornare più volte o, magari, riscrivere completamente?

    Piatta è la campagna è nato come raccolta di racconti, ma non era sufficiente. Sono servite molte revisioni per renderla un romanzo e credo che da solo non ce l’avrei mai fatta.

    Ritengo importantissimo, anzi, necessario per chiunque scriva, incontrare dei maestri che segnino il passo, correggano e stimolino a dare sempre di più. Ma non è affatto semplice o scontato: è una fortuna che bisogna cercare e desiderare!

    Credo esistano soprattutto due “tipi” di maestri: da un lato gli autori della grande letteratura, gli scrittori che ci hanno lasciato quanto hanno fatto. Basta entrare in libreria per incontrarne (leggere un libro in fondo è anche un modo per conoscere chi l’ha scritto!), e poi ci sono i maestri che si possono incontrare di persona, che ti accompagnano lungo il tuo percorso.

    Scrivere questo romanzo ha richiesto un lavoro quasi certosino di rilettura, tagli, riscrittura e revisione, anche distanti tra loro nel tempo. Ci vuole pazienza ed è necessaria un’ostinazione quasi ossessiva nel riscrivere. A volte certe scene, certe battute, me le sognavo anche di notte. Mi svegliavo e me le segnavo in tutta fretta per poi riprenderle il giorno seguente e lavorarci sopra.

    Maria-gonna