In occasione dell’uscita in libreria di La ragazza di luce (TerraRossa Edizioni 2025), abbiamo chiesto a Germano Antonucci, che a Belleville ha frequentato i tre moduli del corso Scrivere di notte, di rispondere ad alcune domande sul suo esordio.
Buona lettura!
1. Nella Ragazza di luce i due protagonisti tredicenni, Nina e Ruben, sono intenzionati a scoprire la verità sulla scomparsa della madre di Nina – avvenuta tre anni prima durante una terribile frana. Allo stesso tempo, si trovano a indagare anche su una misteriosa apparizione, “la ragazza di luce”, e sul culto che le tributano alcuni abitanti del paese. Come è nata l’idea per il romanzo?
L’idea è nata dai due protagonisti: era da un po’ che Nina e Ruben mi abitavano dentro, spingendo per uscire fuori: serviva solo la storia giusta. Un giorno mi è venuta in testa questa immagine, molto nitida, di Nina che cerca di scavalcare una rete. Mi sono chiesto: cosa sta cercando? Perché vuole arrampicarsi? Ho provato a chiederglielo – a chiedermelo – e da quell’incipit la storia si è sviluppata abbastanza naturalmente. Nina cercava di fare i conti con il proprio passato, ed è ciò che cerchiamo di fare tutti noi.
2. Nella Ragazza di luce i luoghi sono descritti con abbondanza di dettagli, a partire dalla “raschiatura” provocata dalla frana sul fianco della montagna, passando per i ruderi delle Case morte, fino ai prefabbricati del Quartiere primavera. Quanta importanza ha l’ambientazione nel romanzo e in che modo interagisce con personaggi e trama?
È molto importante. All’inizio, avevo provato ad ambientare la storia nel mio paese d’origine, Popoli, in Abruzzo. Mi sono però presto reso conto che la mia storia aveva bisogno di un luogo immaginario, e così ho inventato Lume. Però alcuni luoghi reali sono rimasti così come sono: il fiume, la Croce, le case del centro storico. Sono i posti dove ho trascorso i periodi più sereni della mia vita: le estati dell’infanzia e dell’adolescenza.
3. Quali influenze letterarie hanno contributo a dare forma al tuo stile?
Questa è una domanda particolarmente difficile. Perché, me ne sono reso conto dopo, quella che ho scritto è forse la storia che avrei voluto scrivere a vent’anni (quando però non ne ero ancora capace). E credo di essermi così immedesimato con il me stesso di allora da lasciarmi influenzare da ciò che leggevo a quei tempi: Stephen King, Niccolò Ammaniti, Enrico Brizzi, i fumetti di Dylan Dog. Per venire a letture che ho fatto in anni più recenti, forse certi romanzi di Joe R. Lansdale, il chiarore malinconico di Kent Haruf… La cosa strana è che però La ragazza di luce ha poco a che fare con ciò che leggo, e apprezzo, oggi. È stato davvero, per me, come un ritorno a casa.
4. Parlaci della fase di editing: su quali dimensioni del testo – trama, struttura, caratterizzazione, stile – hai lavorato maggiormente e con quale obiettivo?
Prima di tutto, ho lavorato alla trama. Volevo che La ragazza di luce fosse una storia in cui accadessero cose, senza però che gli eventi divorassero i personaggi. Mi piace definire il mio romanzo come una storia di formazione con due grandi misteri dentro. Ecco, trovare l’equilibrio fra accadimenti e personaggi è stato l’aspetto più complicato. Poi ho lavorato alle voci di Nina e di Ruben, al loro punto di vista. Devo dire che Nina mi è venuta fuori in modo più spontaneo, facile. Un po’ più arduo è stato lavorare alla caratterizzazione di Ruben. Fondamentale, per me, oltre al lavoro iniziale fatto alla Belleville, è stato il contributo di Cristina Tizian (che assieme a Emanuela Canali ha creduto fin da subito a questa storia) e poi tutto il lavoro di editing fatto con Giovanni Turi e la squadra di Terrarossa. Come ho già scritto più volte, non potevo trovare una “casa” migliore.




