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Quasimodo
>> racconto

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    Quasimodo

    di Phi

    In un quasi-mondo creato da quasi-persone che per scelta respiravano una quasi-aria, era nato e cresciuto Quasimodo, una persona quasi-a-modo.

    Faceva il cameriere freelance in un baretto di quasi-cinesi, e aveva una quasi-paga che gl’impediva di realizzare il suo sogno: viaggiare e vedere nuovi mondi.

    Il più vicino a lui, sia per finanze che per attrazioni, era l’altro mondo, che provò a raggiungere buttandosi sulle rotaie della metrò.

    Ma quel giorno c’era sciopero, e nessun treno lo investì.

    Nessun treno passava per Quasimodo, né treni di morte, né treni di vita, solo rotaie vuote.

    Nel suo quasi-appartamento, in un frammento di specchio cercava di raccogliere la sua vita non ancora in frantumi, e come mantra spesso diceva “Dai-dai che ci sei quasi!”.

    C’era quasi per molte cose, ma pareva che l’esserci quasi fosse la sua meta costante.

    Per non parlare dell’amore: ogni sera, Quasimodo guidava verso il fast-food dove, allo sportello, lo attendeva la sua quasi-bella che gli allungava i quattro hamburger da un euro l’uno e una coca media.

    Quasi bionda, con qualche lentiggine, occhi un po’ azzurri e leggermente florida, forse sfiorita un poco dal lavoro notturno, sorrideva a tratti.

    Lui prendeva il cibo, scambiava qualche rapida battuta, ma non era mai riuscito a chiederle di uscire.

    Così, negli anni, a furia di mangiare panini Quasimodo prese quaranta chili abbondanti.

    Ma un giorno, dallo sportello del fast food s’affacciò un ragazzino brufoloso che, sorridente, gli allungò il sacchetto contenente i quattro hamburger e la coca media.

    Avevano sostituito la sua quasi-ragazza.

    Quasimodo, essendo una persona quasi-a-modo, pagò e lo mandò affanculo.

    Tornato nel suo quasi-appartamento, sconfitto nell’animo, accese la televisione, dove una testa parlante incravattata diceva “Il nostro paese é quasi uscito dalla crisi”.

    Sospirò, realizzando che d’altronde viveva in un quasi-mondo, dove le convinzioni erano convenzioni, pronte a cambiare a seconda di dove tirava il vento.

    Per via di tali convinzioni convenzionali, Quasimodo aveva paura d’essere impavido.

    Aveva paura a non pagare tasse e bollette e affitto, lui voleva essere in regola, non quasi in regola.

    Tuttavia l’idea d’impavidità lo stuzzicava, ed essendo una persona quasi-a-modo decise un po’ ingenuamente di volersi sbilanciare in favore del lucro personale.

    Prese a zappingare di quasi-canale in quasi-canale quando, all’improvviso, ebbe una visione.

    Erano loro, i colletti bianchi in tivvù, le teste parlanti incravattate, gl’impavidi, a volere che il mondo del quasi continuasse a esistere.

    Senza di loro, non ci sarebbe stato alcun quasi-mondo, ne era improvvisamente convinto.

    Doveva eliminarli, ma come?

    Poi, sgranocchiando patatine rotte, ebbe una visione.

    Egli si vide a capo di una terribile rivoluzione dedita all’eliminazione del quasi-mondo in cui stava immerso.

    Doveva tirare in mezzo la gente, ma come?

    Doveva avere un piano, ma quale?

    Poi, spazzolandosi i denti, ebbe l’ennesima visione.

    Una bomba! Una bomba nel quasi-parlamento.

    No, il quasi-parlamento era troppo scontato.

    Serviva un altro posto da fare esplodere, un posto dove i colletti bianchi si radunavano annualmente.

    C’era qualcosa, qualche evento, ma quale?

    La prima della scala.

    Una bomba alla prima della scala. Li avrebbe presi tutti. O quasi.

    Ma era un inizio, la prima parte di un piano da sviluppare.

    Quand’era la prima della scala? Cercò sul suo quasi-computer.

    Il primo maggio.

    Quanto mancava al primo maggio? Agitato, cercò il quasi-calendario.

    Era il due maggio.

    Quasi, urlò Quasimodo.

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    Scuola di scrittura Belleville