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La nuova Scrittrice su TYPEE

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    La nuova Scrittrice su TYPEE

    17 giugno 2019

     

    La nuova Scrittrice su TYPEE è Maria Cristina Vezzosi.

    Ha scritto diciotto racconti di generi diversi, modulando la sua voce a seconda del tema. Nel racconto Il buco descrive la relazione tra il corpo e la cura con precisione e dolore, ma senza patetisimo.

     

    Il buco

    di Maria Cristina Vezzosi

    Dopo cinque mesi di buchi impari il decorso delle vene del tuo braccio anche se non hai mai studiato anatomia. La linea blu che si intravede sotto la pelle del dorso della mano – e sopra i tendini tesi nell’articolazione delle dita – ora impercettibilmente piatta, ora evidente e tumultuosa, gira verso il polso e lo supera dalla parte del pollice poi si addentra nella parte interna dell’avambraccio fino al gomito. Ecco, questo è il territorio di predazione del tuo sangue, ove infiniti sono gli accessi. Il dorso della mano e il polso presentano difficoltà e ostacoli alla penetrazione, oltre ad essere decisamente più propensi a divenire dolenti, di un dolore sordo e duraturo. L’interno del braccio e l’incavo del gomito sono decisamente più arrendevoli ma anche estremamente fragili e le continue profanazioni mettono a rischio la ricerca di un varco per il buco successivo. Cinque mesi significano una trentina di buchi e una discreta quantità di veleno trasferito.

    Gentile collega, ho visto oggi la sua paziente affetta da eteroplasia intestinale IV stadio. La paziente inizierà un trattamento chemioterapico c/o il nostro day hospital con Oxaliplatino e Bevacizumab endovena, ogni 21 giorni, e Capecitabina orale da assumersi per 14 giorni ogni 21.

    I medici dell’ambulatorio oncologico avvisano con ferma cortesia il medico di famiglia.

    Di primo acchito il platino lo si immagina nella sua veste naturale di materiale prezioso ed evoca immagini scintillanti di vezzosi gioielli femminili o la maschia ostentazione di vistosi cronografi al polso di professionisti affermati e di favoriti eredi di grandi fortune.

    Nel corpo il platino non luccica ma brucia, distrugge i tessuti giovani in continuo rinnovamento. Le vene dopo cinque mesi non sono più blu ma verdine, per quello che puoi verificare da te. Dure e impenetrabili, per quello che percepisce l’infermiere in cerca di un varco per il suo ago profanatore – non sempre accompagnato da gentil farfalletta – che dovrà rimanere saldo durante il lunghissimo tempo necessario alla perfusione per evitare gli spiacevoli effetti collaterali alla venefica terapia.

    … dipende dal caldo… dipende dal freddo… dipende dalla vena… dipende dal tempo…

    Mentre il liquido incolore scorre nella vena, il braccio intorno comincia a dare la sensazione di mille punture di spilli come alle elementari, quando ci si confrontava con atti di forza e i più determinati e prepotenti piegavano ai loro voleri i mansueti torcendo loro i polsi perché fosse chiaro chi era a comandare. Ma gli spilli di platino li senti più intensi, più in profondità e la sensazione dolorosa si espande dalla zona del buco, a metà avambraccio, su fino all’incavo del gomito e poi scende giù fino ai tendini guizzanti della mano inquieta, incurante di caldo, freddo, vena e tempo. E tu già sai che il fastidio – dolore è termine eccessivo, anche se non improprio – durerà ben oltre la giornata di day hospital. Ma sei preparato perché il bravo oncologo ti ha comunicato i mille pericoli a cui vai incontro – tossicità midollare, tossicità gastrointestinale, tossicità epatica e renale, reazioni allergiche, astenia, fotosensibilizzazione, rash cutaneo, eritrodistesia palmoplantare, spasmo coronario, neuropatia periferica, discrasia ematica (in senso emorragico), ipertensione arteriosa, proteinuria, teratogenicità e letalità embrionale… Che forse era meglio non averli mai saputi. Magari era preferibile essere già morti così non se ne parlava più. Il solerte professionista, dopo averti spaventato a morte, ti suggerisce anche i rimedi per tenere sotto controllo gli eventi avversi e ti fornisce qualche antidoto per quelli più banali. Semplifica tutto in quattro categorie. O meglio, ciò che puoi tenere sotto controllo, è limitato a quattro categorie: nausea, vomito, diarrea e mucosite. Così ti attrezzi con una valigetta, che ti porti dietro anche per viaggi brevi verso mete limitrofe, che sembra quella di Mary Poppins. Dentro ci sono i farmaci e i presidi indispensabili nel momento del bisogno. Compresa la crema solare che se anche uno prima odiava l’abbronzaggio selvaggio ora, interdetto dall’esposizione ai raggi UV, patisce anche l’assenza di insolazione lieve.

    La prima seduta di chemioterapia lascia una sensazione vaga, un bruciore al braccio, un abbassamento di voce, movimenti inconsulti delle palpebre in reazione al vento, spilli in gola se bevi acqua fresca, spilli alle mani se prendi il cibo direttamente dal frigorifero senza intermediari. Il primo controllo ematico lascia soddisfatti col tuo emocromo da bistecca umana, senza crepe nella densa popolazione di globuli e nessuna perdita della tonalità scarlatta. La terapia prosegue sempre uguale, ogni ventuno giorni. I sintomi ogni volta hanno un esordio sempre più precoce, diventano più intensi e durano per più tempo ma fortunatamente tutto rimane fisicamente ben sostenibile. L’ipertensione è subito sotto controllo, l’irritazione intestinale provoca deboli conseguenze sull’alvo, senza turbare la quotidiana ripetitività, col vantaggio della perdita di un paio di chili. L’emocromo continua a rimanere denso dei suoi componenti misurabili.

    La vita scorre come al solito. Casa, lavoro, giardino, cane, gatti, cena, figli; seduta di chemioterapia; pastiglie, misura della pressione; piedi e mani che si colorano, piedi che si sbucciano; l’aria fresca che rende afoni; le amate verdura e frutta che provocano contorcimenti delle budella. La mente, preda di mille distrazioni, si risveglia all’improvviso ogni volta, angosciata dall’avvicendarsi dell’ennesima seduta di chemioterapia, memore delle spiacevoli sensazioni lasciate dalla precedente. Il sistema nervoso non riesce ad adagiarsi sul ritmo anomalo di ventuno giorni che sostituisce artificiosamente il già irritante ciclo lunare. Il corpo non cede all’avvelenamento ma ricorda l’ingresso del liquido infiammante e ne intuisce il senso: veleno, poison, venenum. Così, al pensiero di cominciare da capo l’insostenibile rito, lo stomaco si ribella e assume un comportamento subdolo: somatizza ma non espelle. Insorge la repulsione mentale, il conato psicologico. Ansia anticipatoria, si chiama. La parvenza di normalità assecondata da un corpo robusto è inconsciamente inaccettabile da condurre dentro un’esistenza scandita dal ritmo della terapia. Se non ami essere ripetitivo accetti la monotonia in nome dell’effetto benefico della terapia venefica ma lo fai a malincuore. E i sintomi lievi che all’inizio confortano, angosciano quando si avvicina il momento del controllo diagnostico perché inducono all’errata interpretazione di inefficacia della terapia. Colpa del bravo chirurgo incolpevole che dopo averti spaventato con l’elenco di cose terribili che possono accompagnare la chemioterapia, conclude edulcorando: … che poi quando gli effetti collaterali sono intensi è anche quando la terapia funziona meglio… 

    Allora non funziona, pensi, io mi sento forte come un toro…

     È una lunga battaglia, non bisogna avere fretta.

     

     

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    Scuola di scrittura Belleville