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La nuova Scrittrice su TYPEE

    La nuova Scrittrice su TYPEE

    8 luglio 2019

     

    Ha cominciato scrivendo poesie, poi ha costruito il paese di Lentisco e ha dato vita ai suoi abitanti, racconto dopo racconto.

    Roberta Spagnoli è la nuova Scrittrice su TYPEE. 

    Claudio alla festa dell’Unità parla di una vittoria sperata e mai ottenuta.

     

    Claudio alla festa dell’Unità

    di Roberta Spagnoli

     

    La festa dell’Unità di Lentisco era la più bella di tutto il litorale: da Levanto e perfino da Sestri arrivavano per la musica e per le lasagne con la salsiccia.

    Erano teglie su teglie, preparate fino dalla mattina e cotte nei forni da campo giù alla pineta che dalle nove in poi, ogni sera, diventava pista da ballo.

    Claudio e i suoi orchestrali sorridevano sornioni dai manifesti appesi ai lampioni del lungomare, negli occhi promesse di notti vibranti di fisarmonica e ottoni.

    Ad Anna, come a tutte le ragazzine di quell’età, piaceva rendersi utile per la festa: ogni ragazzina grande aveva la responsabilità di una piccola e a coppie dovevano servire ai tavoli, o presidiare l’ingresso con gli adesivi da attaccare sul petto di chi entrava. Quello era il compito più bello, Anna però era troppo timida per l’accoglienza: là capitava chi pretendeva due adesivi perché si sentiva più comunista degli altri o chi non ne accettava nemmeno uno, ché di politica non ne voleva sapere ma sapeva delle lasagne, famose ormai fino a Genova. Lei non sapeva mai come comportarsi; così preferiva stare in disparte a tenere in ordine i banchi gastronomici.

    Il più bello era quello del fritto, dove zio Giovanni preparava i pesciolini nei cartocci senza fermarsi mai, rosso in faccia e con il grembiulone nero che lo copriva fino ai piedi.

    Poi calava la notte, il brusio di fondo si spegneva, le luci sul palco si accendevano e le note di “Bandiera Rossa” vibravano dentro i pugni chiusi e lungo le braccia attraversate da una scossa leggera, fatta di ricordi, speranze, fatica e lacrime trattenute a stento.

    Per fortuna, ogni volta, con l’ultimo schiocco di piatti, la tensione si scioglieva e il sorriso tornava, insieme a uno scroscio di applausi.

    Claudio e i suoi, a quel punto, potevano cambiare spartito e dedicarsi al divertimento, quello del battere e del levare di tacchi e sorrisi, di gonne e sudore: quello del vino, del caldo e della soddisfazione del ballo. Sul palco lui si sentiva condottiero; al suo comando, nella mischia, la farmacista con il fruttivendolo, il pescatore con la sarta, il genero con la suocera, la maestra con il nipote. Sembrava di essere in famiglia e perfino Anna si sentiva un po’ a casa.

    A volte, ma raramente, anche suo padre e sua madre si decidevano a fare qualche valzer. Anna si imbarazzava. A vederli ballare, qualcosa sembrava sempre fuori posto: la musica, le luci, o forse l’allegria esibita come un passo riuscito bene.

    Lei preferiva lo zio Giovanni. Lui, appena sentiva le prime note, si slegava dai fianchi la parannanza con gesto teatrale lasciando intendere che, per quella sera, l’attivista di partito se ne andava dalle cucine. In pista era pronto a scendere il più bravo ballerino del paese.

    Zio Giovanni ballava per tutta la sera, indifferentemente con vedove o ammogliate. Ballava con la stessa passione valzer, tango o mazurca. Non si lasciava distrarre dalla pista troppo affollata né si preoccupava se tutti si facevano da parte per lasciarlo solo, in un’esibizione da gara.

    Anna non aveva occhi che per lui e pensava che, da grande, avrebbe voluto avere un fidanzato identico allo zio: ruvido in mare e improvvisamente leggero in pista.

    Poi la festa, dopo una settimana di lasagne, fritture e fatiche finalmente finiva: Claudio con il pullmino e i suoi suonatori ripartivano per altri palchi e la pineta, senza bandiere, tornava a profumare di resina.

    Giovanni, smontando l’impianto delle luminarie dagli alberi, ogni anno pensava a come sarebbe potuta essere la festa del sorpasso, quella che avrebbe consacrato finalmente i comunisti al governo e i lavoratori al potere.

    Immaginava due palchi d’onore, due orchestre. Da un lato Claudio, a suonare “Bandiera Rossa” e poi “Fischia il vento” e anche “Bella Ciao” che con la fisarmonica fa sempre piangere.

    Per ballare avrebbero chiamato Raoul Casadei in persona che avrebbe suonato per tutta la notte, fino al mattino, roba da far impallidire perfino i romagnoli.

    Giovanni, e molti altri come lui, restarono in quell’attesa per anni: non bastò il successo del ‘76 e nemmeno l’illusione del compromesso storico a far decollare l’idea di quella mitica festa.

    Gli anni passarono tra discussioni, volantini, riunioni e manifestazioni. I sovietici, il sindacato, l’eurocomunismo e poi…

    Poi ogni anno arrivava l’estate e una nuova Festa dell’Unità da organizzare. No, non quella del sorpasso, non ancora.

    Intanto, anno dopo anno l’orchestra si faceva più esile senza trombe, percussioni, cantante, perché una tastiera e un computer potevano bastare a far girare la pista fatta ormai da ex partigiani sfiatati e da vedove con l’artrite al bacino e per dire il vero, Claudio con la sua fisarmonica erano diventati fuori moda anche per Lentisco.

    Poi sono cambiate le bandiere, i nomi e anche i simboli sugli adesivi.

    Solo le lasagne sono rimaste più o meno le stesse.

    Anche Giovanni è rimasto, e continua a friggere pesciolini: lui dice che è quello che sa fare meglio, se non l’hai mai visto ballare.

     

    Scuola di scrittura Belleville