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La brutta copia
>> racconto

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    La brutta copia

    di Zeta Reader

    Linda va sempre al mercato allʼora di punta, quando cʼè folla. Cammina a zigzag con le mani nelle tasche del parka e il cappuccio tirato su. Sbatte contro sacchetti di plastica, borse e passeggini. Se urta un gomito o una spalla tira dritto senza chiedere scusa, tanto nessuno le bada mai. Una volta sola è capitato che un omone si girasse con fare minaccioso, ma vedendo il pancione della ragazza ha cambiato espressione e le ha chiesto lui, di scusarlo.

    In verità lei non aspetta un bambino, ha solo inserito sotto al parka un caschetto da ciclista. Eʼ una calotta di plastica gialla imbottita che pesa circa 300 grammi, proprio come un feto alla ventunesima settimana. Lo ha ricoperto con uno straccio da cucina ottenendo una curva netta e tonda, perfetta per il suo scopo. Quando Linda va al mercato punta infatti un banco ben fornito, di quelli con le casalinghe intorno a chiedere chi un chilo di spinaci, chi due di zucchine. Coperta dalle braccia delle donne che si allungano a prendere i sacchetti appena pesati dal venditore, la ragazza ruba con una mano e solleva il finto pancione con lʼaltra. Nasconde il bottino nel casco e poi via, senza voltarsi. Lʼha fatto tante volte e ha sempre funzionato perché tanto nessuno le bada mai.

    Linda ha già preso tre paia di calzini e un magnete a forma di fiore quando adocchia un sacchetto di olive su un banco di gastronomia. Verdi e grandi, galleggiano nella salamoia con magnificenza. Le osserva, aspettando il momento adatto. Il fruttivendolo serve una signora, la quale chiede se per piacere può darle anche un mazzetto di odori, che quelli servono sempre. Mentre lʼuomo è girato di spalle Linda si avvicina al banco, ruba le olive e sgattaiola via. Svolta in una stradina isolata e ritrova la bici contro il muro, ben nascosta dietro ai cassonetti. Eʼ fatta, pensa. L’acquolina le sale in bocca, adesso deve solo aprire il giaccone, svuotare il bottino, infilare il casco e pedalare fino a casa. Alzando gli occhi da terra però scorge una figura in fondo al vicolo. I piedi si fanno pesanti, il cuore accelera. Impossibile che lʼabbiano seguita, si dice, nessuno le bada mai.

    Vede, a distanza di qualche metro, un altro parka verde. Il cappuccio sulle spalle lascia scoperta una testa, chiara e piccola come la sua. Guardandola meglio, è la sua. Linda è di fronte a una sé che sorride tenendo le mani sulla pancia, gonfia e ovale, incinta per davvero. Eʼ bella, di una bellezza che ha incontrato poche volte, come quando qualcuno scoppia a ridere allʼimprovviso e a lei sembra di vedere un guizzo balenargli fuori dagli occhi. Quella pancia cela e rivela allo stesso tempo, lasciandola meravigliata. «Sarà di ventuno settimane?» vagheggia abbracciandosi. Gratta il tessuto del parka, lo straccio sotto di esso si arriccia seguendo la traiettoria delle dita. Saggia la densità dellʼimbottitura, spinge lʼindice in profondità e quando raggiunge il limite preme il polpastrello finché si fa bianco. Fa forza contro il casco: ora le appare come uno squallido scrigno di plastica e poliuretano che racchiude il suo tesoro da quattro soldi. Se quellʼapparizione fosse il suo doppio, pensa, lei ne sarebbe la matrice. Sarebbe lʼoriginale, il bozzetto. Eʼ la brutta copia di sé stessa, ecco perché nessuno le bada mai.

    Abbassa lo sguardo sul tiretto della lampo per aprirla. Un liquido le scivola tra le cosce, riportandola a una realtà fredda e appiccicosa. «Le olive… porca miseria le olive!» impreca provando a estrarre il casco dal giaccone. Le dita si confondono per la concitazione, la cerniera mangia un lembo di cotone e si inceppa. Il doppio è ancora lì ma non ha più il pancione, né i capelli biondi e il parka. Linda se ne accorge e ha paura.

    Ai suoi piedi, il bordo della pozzanghera si allarga a poco a poco.

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    Scuola di scrittura Belleville