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Il testo che ha vinto il Corso online “Sei scrittrici“
Bando:
Scrivi il ritratto di una delle sei scrittrici che saranno trattate nel corso:
Lalla Romano, Elsa Morante, Annamaria Ortese, Natalia Ginzburg, Alda Merini, Clara Sereni.
Il ritratto può avere qualsiasi forma: saggistica, biografica, narrativa, poetica o di altro tipo.
Gli unici vincoli sono che abbia un titolo e che non superi le 5000 battute.
Testo vincitore:
AUTOBIOGRAFIA DI UNA POETESSA
Polo A. Polo BI
“Mamma! Ho finito il rossetto, scendi a comprarne un altro?”
Che silenzio è questo?
“Mamma?!”
Scendo di sotto e la cucina è vuota, il tavolo e il lavello pieni di piatti sporchi e avanzi. Allora torno di sopra e da una piastrella sotto il letto tiro fuori una sigaretta e mi metto a fumare fuori dalla finestra, un po’ sporta, un po’ nascosta.
C’è sempre una cagna nera che viene a passeggiare sul Naviglio a quest’ora. Mi incanta vedere le sue mammelle attaccate al quel corpo magro che dondolano, come tante teste che spergiurano. Sfila lentamente sul selciato rosso del pavé col muso basso, attraversando l’aria polverosa della Ripa, in cerca, sembrerebbe.
Lanugina Milano. In questi giorni non piove, non nevica. Il cielo semplicemente si riempie di fiocchi giallastri, come se si fosse spezzato in migliaia di piccoli soffici drappi.
Da dove sono non riesco a vedere la porta d’ingresso, perciò se mia madre entrasse ora mi prenderebbe alle spalle. Con ancora addosso il fiatone delle scale direbbe “A., che cosa hai fatto al muro! Non ti si può lasciare sola una mattina che mi rovini casa, adesso vedi cosa dice tuo padre!”.
Mio padre direbbe che Dio è sparso in po’ dappertutto, e che è compito di ogni cristiano cercare in ogni cosa, persona o bestia quel ricamo che Dio vi ha nascosto. Si sarebbe arrabbiato, ma solo un poco: diceva che non avevo ancora imparato ad avere cura delle cose, ma mi avrebbe comunque preso sulle sue ginocchia, seduto al tavolo in cucina, anche se ormai ho le gambe già più alte delle sue.
Mi sgridano spesso, soprattutto mia madre. Non perché non vada bene a scuola. Sono anche stata la migliore della classe in 5 elementare, ma nonostante questo penso che la cosa che la infastidisca di più sia il fatto che non le somigli molto. É per questo che forse mi hanno mandato in una scuola così, una che mi insegni a diventare un po’ più come lei, come tante altre ragazze, che sono poi diventate altrettante madri come la mia.
È difficile spiegarlo. Lo devo raccontare come se non fossi io a viverlo: è come se Dio mi avesse concesso due momenti soltanto per vivere la mia vita. Certe volte non mi permette di fare niente, mi rende immobile, posso solo stare a pensare, profondamente, mi impedisce di sorridere. Sono obbligata a starmene nel letto e muovermi con cautela, come un uccello ferito, avvolta da una tristezza che si impossessa di tutti i miei pensieri. Me ne sto in loro compagnia e fumo alla finestra, finché uno mi si para davanti e, non so come, è come se mi tirasse per il pigiama e sprofondassimo nel centro della Terra, per poi sbucare lividi di fatica dall’altra parte.
Allora tutto si stravolge e l’aria si fa più calda e tutta quella tristezza ad un tratto di trasforma in fuoco e le mani cominciano a sudarmi e la pelle mi pizzica come se avessi inghiottito della brace ardente nella pancia. Ora mi impedisce di stare ferma: i miei pensieri si fanno improvvisamente grandiosi, si riempiono di vita fino a scoppiare e mi spingono dovunque come se intorno avessi spiritelli indiavolati con dei forconi in mano.
Quando mi accade di notte sbavo nel sonno. Ora Dio vuole che butti fuori qualcosa, che lo sbatta su questo pavimento, che lo guardi in faccia e, liberato dalla sua prigione, gli mostri la luce del sole. La mattina mi sveglio e il cuscino è fresco d’estate, duro e gelato quando è inverno.
Sono due A. diverse, una per polo, quando fluttuo in questo dantesco viaggio tra emisferi di emozioni assurde.
Infatti mia madre non capisce, forse mio padre poteva capire.
Un giorno gli porto un foglio che raccontava la storia di un passero ferito, un uccello che avevo visto la notte prima, che era triste perché il suo canto era lacero tanto quanto il suo corpo. Corro in cucina e aspetto che finisca di leggere, poi senza alzare gli occhi dal foglio, inizia lentamente a strapparlo lasciando cadere le strisce di carta sul tavolo. Scuote la testa e mi guarda severo: “Con questo non si porta il pane a casa” e mi lascia davanti al mio passero fatto a pezzi e provo a trovarvi un po’ di Dio dentro ad ogni sua parte fatta a brandelli, ma così, con le lacrime agli occhi, è davvero difficile.
Pensano che sono pazza e nei miei sogni tutti lo pensano, tutti mi evitano e la scuola diventa una specie di prigione, dove ogni giorno cercano di tirarmi fuori i pensieri dalla testa con una tenaglia elettrica. Nei miei sogni vendo i miei fogli seduta al bar in fondo alla strada, mentre a volte li baratto per un po’ di salume ed un bicchiere di vino. Non ne riscrivo neanche uno, perché se mio padre mi vedesse vedrebbe che scambio la mia fatica per il pane, proprio come faceva lui. Laggiù non mi chiamano più A., ma con il cognome di mio padre, cominciano a riconoscermi anche gli sconosciuti, e mettono l’articolo davanti, come usano a Milano.
Poi mi innamoro, trovo qualche amico, qualcuno che comincia a capire il modo in cui mi parla Dio, che non sono lunatica, che non sono una strega. A loro dedico alcuni dei miei tormenti migliori.
Nei miei sogni continuo a scrivere sui muri, anche quando dovessi avere tutta la carta del mondo ad un palmo dl naso. Uso: inchiostro tipografico e acqua forte, quando riesco a strappare due boccette dal garage qua sotto, oppure mozziconi di rossetto, rosso ovviamente. Il grasso e l’alcol non vanno via dall’intonaco neanche se strofini con l’acetone e ogni volta mi disegno sorrisi sbilenchi pensando che serviranno delle mani molto più grandi di quelle di un uomo per fare a pezzi le mie parole stavolta.
Al posto di ogni punto metto un bacio colorato.
Ad occhio e croce mi sembra una vita passata lontana dal centro, trascorsa a ridiscendere e salire le corde del mio cuore, un giorno come un altro catapultata agli angoli bianchi, neri e opposti di una scacchiera con la testa sempre rivolta verso fuori, un po’ sporta, un po’ nascosta.
Spengo il mozzicone e lascio la cenere sul davanzale. Mi alzo canticchiando una canzonetta da ragazza, ma è il suono di una voce rauca, da vecchia, quello che mi esce dalla bocca. Lascio la finestra aperta dietro di me e mentre scendo le scale le assi dei gradini scricchiolano come il mio corpo che vi barcolla sopra e anche quello è il corpo di una vecchia, di una vecchia rimasta in una casa da sola, circondata da un familiare silenzio.
Mi siedo al tavolo con un foglio in mano facendo spazio tra le stoviglie. Da dietro le tende il cielo continua a precipitare senza fretta, pezzo dopo pezzo.
Mi metterò a scrivere di come questa mattina ho trovato Dio in una cagna nera che passeggiava sulla Ripa.
di Francesco Banfi
Il corso con Benedetta Centovalli “Sei scrittrici” inizierà martedì 28 gennaio su BellevilleOnline. Sarà tutti i martedì dalle 21:00 alle 22:00.
Ognuna delle sei lezioni del corso sarà un ritratto letterario, poetico e biografico a partire dai libri che ci hanno lasciato: l’autobiografia familiare intellettuale e civile (Ginzburg), il racconto favoloso della giovinezza (Morante, Romano), la malattia mentale e la scoperta della vocazione poetica (Merini), l’inettitudine in cucina (Sereni), il dolore della perdita (Romano), le Piccole Persone, l’ambiente, i diritti di animali e piante e una possibile nuova visione del mondo (Ortese).
Leggi qui il programma del corso e scopri come iscriverti.
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