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Il racconto vincitore della borsa di studio “Scrivere per ragazzi”

    Borsa di studio Ragazzi

    L’arrivo dei tedeschi di Sabrina Galanti è il racconto vincitore della borsa di studio per il corso “Scrivere per ragazzi”, che si terrà online a partire dal 29 marzo 2022.

    Ne L’arrivo dei tedeschi, Sabrina Galanti sceglie il tono giusto per raccontare, ai bambini e con gli occhi di un bambino, la guerra e i timori che la accompagnano: il terreno che trema sotto i piedi come un rimbombo lontano, i carri armati «color fango», le porte sbattute con ferocia e la lingua metallica dei tedeschi, «che scatta come un tagliola». La scelta di puntare l’attenzione sui dettagli e su poche, semplici immagini dà vita a un testo d’impatto che, pur raccontando un momento di grande complessità storica, si rivela comunque adatto al proprio pubblico d’elezione.


    L’arrivo dei tedeschi

    L’arrivo dei tedeschi ci ha svegliati all’alba. All’inizio non si capiva cosa fosse. Era un vociare lontano, un rimbombo metallico. Mamma mi ha infilato il camicione di mio fratello e siamo usciti per strada.
    Il terreno ci tremava sotto i piedi. La gente usciva dalle case intontita e spaventata.
    Ci siamo incamminati lungo la carrozzabile. Elda e sua madre ci hanno raggiunto dopo poco.
    – Mamma dice che oggi non dobbiamo andare a scuola – mi ha detto Elda, con le trecce ancora sfatte – dice che è meglio stare a casa.
    Mentre scendevamo verso la piazza ci raggiungeva altra gente, dai campi, dalle stradine, e la processione si allungava.
    Era come se l’intero paese dovesse andare da qualche parte.
    – Vedrai che sono loro – ha detto Sesto, il proprietario del campo vicino al nostro – A Terni sono arrivati ieri. Si sono piazzati nel municipio e hanno cominciato.
    Mamma mi ha stretto a sé.
    Quando siamo arrivati in piazza ho visto che davanti alla bottega c’erano tre carri armati. Erano color fango e facevano rimbombare l’aria da fermi.
    Parecchie camionette militari erano parcheggiate davanti agli uffici delle miniere. Sono scesi una decina di tedeschi. Hanno scaricato grossi scatoloni e sono entrati nel caseggiato degli uffici, correvano su per le scale e facevano sbattere le porte.
    Io e mamma ci tenevamo a distanza impauriti, insieme agli altri paesani.
    Ho cercato Mario con lo sguardo, anche se sapevo che mio fratello non poteva essere lì. Il suo turno in galleria finiva alle sei. E il cielo non era ancora abbastanza chiaro.
    I tedeschi continuavano ad entrare e uscire dall’edificio, trasportavano letti, sedie, sacchi. Ogni tanto si gridavano qualcosa in quella lingua metallica che ti scatta in faccia come una tagliola.
    Poi si sono chiusi il portone alle spalle.
    Per per un po’ non è più uscito nessuno.
    Mi sono avvolto meglio nel camicione, dovevo crescere ancora parecchio prima di riempirlo.
    Il vociare della piazza aumentava. Dei bambini piccoli correvano intorno ai carri armati facendo finta di farsi la guerra.
    Poco dopo è arrivata una macchina dalla città. Sono scesi il segretario del fascio e l’ingegnere delle miniere. Avevano la faccia scura e non si parlavano.
    Hanno attraversato la piazza come ombre, la folla si scansava per farli passare. Sono arrivati al portone in cui erano entrati i tedeschi e hanno bussato.
    Quando il portone si è aperto si sono infilati dentro come ragni.
    Dopo pochi minuti sono usciti due tedeschi. Uno aveva sotto il braccio grossi fogli arrotolati, l’altro un secchio e un pennello.
    Quello col pennello ha steso la colla sul muro e l’altro ci ha attaccato sopra due manifesti.
    Nessuno di noi aveva il coraggio di andare a leggere.
    Da una finestra degli uffici si sono affacciati un tedesco e il segretario del fascio. Ci guardavano male.
    In testa mi risuonavano le parole di mio fratello: “sono fatti dello stesso legno marcio“.
    L’ingegnere delle miniere è uscito dal portone come se lo avessero spintonato. È tornato verso di noi. Sudava e si torceva le mani.
    – Tocca fare come dicono loro – ha detto. È risalito di corsa in macchina e se ne è andato.
    La gente in piazza si stava agitando.
    Anche mamma aveva paura. Ha preso Sesto sottobraccio.
    – Vai a leggere, per piacere – gli ha detto.
    Sesto, poco convinto, si è incamminato verso il portone.
    Quando è arrivato davanti ai manifesti i due tedeschi lo hanno guardato dall’alto in basso.
    È rimasto lì qualche minuto, a fissare i fogli, poi è tornato da noi con la faccia bianca.
    – È un bando di arruolamento – ha detto – gli uomini nati tra il 1910 e il 1925 si devono presentare domani a Perugia.
    – A Perugia? A fare che? – ha chiesto mamma.
    Opere utili su tutto il territorio nazionale – ha risposto lui, come se leggesse una condanna a morte.
    Mamma è rimasta in silenzio, è impallidita.
    La gente intanto si accalorava. Gli uomini facevano i conti con il loro anno di nascita.
    La sirena delle miniere ha suonato la fine del turno. Erano le sei.
    Il giorno si schiariva, la gente cominciava ad andarsene.
    “Opere utili” mi ripetevo per tranquillizzarmi, ma qualcosa mi diceva che mi sarei dovuto preoccupare.
    Mario era nato alla fine di dicembre del ’25. Rientrava nel bando per pochi, inutili giorni.
    L’ho aspettato fino alle sei e mezza, fino a quando in piazza non c’era rimasto quasi più nessuno.
    Ma sapevo che non sarebbe arrivato più, quella mattina.
    E nemmeno le mattine seguenti.

    Scuola di scrittura Belleville