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Il naso
>> racconto

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    Il naso

    di Guido Q

    La donna maltratta il sacchetto del ghiaccio. La osservo dall’altro lato dello scompartimento: ha il naso tumefatto, rappezzato alla meglio con tre cerotti. Batte il dorso della mano sul sacchetto perché il ghiaccio si frantumi. Sembra che il sacchetto le abbia fatto un torto, tanta è la violenza con cui lo colpisce. Mi guardo attorno per vedere se qualcun altro ci fa caso: sono le cinque di pomeriggio, è la prima volta che prendo questo treno.

    Quando le sembra che il ghiaccio sia triturato a dovere, la donna si preme il sacchetto sul naso e guarda verso il soffitto del vagone. Ma anche così non trova pace. Sposta il sacchetto a destra e a sinistra. «Lasciami in pace», dice il naso. «Lascia che continui a farti del male». La donna sbuffa, digita qualcosa sul cellulare. guarda fuori dal finestrino. Il treno arriva in stazione e subito riparte.

    Gelsi d’argento sventagliano nel sole fuori dal finestrino.

    A un tratto la donna decide che non c’è niente da fare. Smette di tamponarsi il naso e infila il sacchetto nella borsa. Sfila dalla borsa una custodia e ne estrae un paio di occhiali da sole. Una delle stanghette si è rotta. La donna contempla il danno: oltre al naso, ha anche gli occhi gonfi. «Hai deciso di darci un taglio, una buona volta?», dice il naso.

    Il dolore riempie lo scompartimento.

    Vorrei rispondere al naso, ma ho paura di rompere il ghiaccio. Vorrei chiedergli chi l’ha ridotto così. Non è un naso particolarmente bello: La punta è troppo lunga e ora è piegata di lato. Ma sono sicuro che di solito si limita a fare il naso, senza troppe chiacchiere. Non è uno di quei nasi nati per attirare l’attenzione. Immagino che il rosso peperone non sia il suo colore abituale. In un altro contesto, avremmo potuto pure fare amicizia.

    Intanto lui continua a blaterare. Sembra che gli dispiaccia che la donna abbia smesso di tamponarlo. Nello sferragliare della corsa, mi chiedo se non sarebbe meglio amputarlo e porre fine alle sue sofferenze. Zac, un bel taglio netto. Mi chiedo perché la natura non ci abbia dotato di un corpo scomponibile: non sarebbe meglio sbarazzarsi delle membra che ci tormentano? Un naso, un alluce, un gomito, sono poi così importanti?

    Avevo un amico che la sapeva lunga: secondo lui, se qualcuno sopporta il dolore senza intervenire, vuol dire che un po’ se lo vuole. È vero, non sempre è facile staccarsi dalla fonte del dolore. L’affetto, la rassegnazione nei confronti di un’anca o una caviglia molesta possono rovinare un’esistenza. Ma sono pur sempre la nostra anca e la nostra caviglia. Io non sarei così severo, a proposito.

    Ignorato dalla donna, alla fine il naso ha smesso di parlare. Non lo sento più. Forse non lo sente più neanche lei.

    Se potessimo fare a meno, dico, di quest’egoismo che vuole tenere il nostro corpo tutto unito, forse non saremmo neppure così corrotti dall’attaccamento alle cose. Faremmo più fatica a distinguere ciò che ci appartiene da ciò che è di tutti. Aumenterebbe il nostro rispetto per gli oggetti come sono, a prescindere dal loro rapporto con noi.

    Ed è forse vero, allora, che se così fosse anche il nostro alluce o gomito o naso andrebbero meno facilmente a sbattere contro mensole o porte. Essendo più alla portata, non sarebbero meno a rischio? – Quale uomo potrebbe mai dare un pugno in faccia a una donna, se vedesse nel naso di lei un possibile proprio naso futuro? – Mentre ci penso, vedo che la donna ha estratto di nuovo il ghiaccio dalla borsa. Il cellulare vibra ma lei non risponde.

    «Non ti vergogni? Ti guardano tutti» dice ad alta voce il naso.

    Per un attimo ho pensato che parlasse con me. La donna si è accorta che la stavo fissando e ha distolto lo sguardo infastidita.

    Mi sono sentito come se fossi stato io a picchiarla. Forse la mano che l’ha colpita è una delle mie mani del passato? O sarà mia in futuro? A questo pensiero mi ha preso un senso di gelo.

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    Scuola di scrittura Belleville