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Giretto di sopravvivenza
>> racconto

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    Giretto di sopravvivenza

    di (Nome Cognome autore)

    Dentro il suo utero di vetro, sugli scaffali dell’aula di Biologia, da due secoli galleggia in formalina un feto di sei mesi. E’ giovane o vecchio?
    La ragazza è distratta, non ascolta ma sente. Le leggende dimenticate dell’Amorcortese ronzano nell’aria spessa della 3D, spinti dalla cantilena della Sanzetti, che gesticola ispirata. Quello trobadorico è un modello d’amore, oltrechè un modello letterario, la prima forma in Volgare di poesia laica, sensuale. Sentenzia, la Sanzetti. Fuori dalla finestra increspa il primo freddo, la ragazza si rimbocca la treccia sulla spalla, si alzerà con un sospiro per andare a farsi un giretto di sopravvivenza, il giretto delle 12.20. Il cellulare non serve stavolta. La prof la segue con lo sguardo senza smettere di inanellare opache perle occitane, ma non alza il sopracciglio. Vuol dire che può uscire senza mendicare e tutto andrà bene.
    Fuori dall’aula l’accoglie il corridoio fresco e maestoso del Liceo. In questo monumentale argine finestrato scivolano invisibili le giovani anime che qui hanno nei secoli molto patito, poco esultato, principalmente speso, da sempre, i migliori giorni dei migliori anni della loro vita. A parte questo, il corridoio è deserto, la polvere sonnecchia a mezz’aria, in lontananza un telefono squilla a vuoto.
    La ragazza percorre senza fretta la scacchiera del pavimento e comincia a sbottonarsi la camicia con dolcezza, lasciandola cadere in un soffio dietro di sè. Procede sulla sua traiettoria retta, senza esitazioni, nemmeno quando si libera delle scarpe da ginnastica rosse premendo con la punta del piede sul tallone. Mentre si sfila la canottiera, assapora le fibre del tessuto che frusciano lungo la pelle per poi adagiarsi a terra, mentre la treccia le rimbalza pesante tra le scapole. Si slaccia la cerniera sul lato della gonna e la spinge lungo le gambe verso terra. La ragazza accelera impercettibilmente l’andatura, il suo corpo in mutande e reggiseno taglia le grandi masse di luce che le finestre spingono nella quiete del corridoio. E’ lieve il tepore del sole sulla pelle e la sua ombra scivola sempre più veloce sulle porte chiuse delle aule. Davanti ad una di queste si ferma e si china per togliersi le calze azzurre di spugna. Attorno ai suoi piedi, nudi e caldi, un alone di vapore inumidisce le piastrelle. Sulla porta c’è una targa, “Laboratorio di Biologia”. La ragazza spinge con due mani la maniglia e guarda alle sue spalle i vestiti a terra. Sono composti, come piccoli animali che dormono. Poi entra, richiudendo la porta dietro di sè.
    Alle 12.32 la porta si riapre veloce, senza scatti. Il ragazzo schizza fuori e comincia a correre nel corridoio deserto. Quando capita di sfiorare le anime degli studenti che ciondolano eterne lungo il corridoio, queste sussultano appena. Il ragazzo si china per raccogliere a ritroso, uno dopo l’altro, i vestiti che lo aspettano a terra, le orme della sua piccola marcia mattutina verso la Biologia. Li reindossa correndo, nell’ordine inverso in cui li ha tolti, saltellando su un piede mentre si infila i pantaloni, ed esitando solo un istante sul posto per mettersi le scarpe, che tanto non allaccia mai. Il resto è facile, maglietta, felpa. Ha le guance rosse, piccole gocce di sudore sul collo e sulla fronte, il cuore che pompa. Raggiunge la porta della sua classe, si riaggiusta i capelli mentre entra, espirando piano. Tutto è come lo aveva lasciato, stessa aria spessa, stessa lezione di Scienze, stessa noia regina tra i banchi. Il Cardoni deambula per la classe con la sigaretta dietro l’orecchio, sta illustrando il sistema riproduttivo dei batteri procarioti, i nostri minuscoli antenati, spiega, specie longeva, la cui variabilità genetica è stata garantita dall’impeccabile sistema riproduttivo della mitosi, tanto impeccabile quanto asessuato. Sarcastico, il Cardoni. Il ragazzo si siede al suo banco, a lato della finestra. Appoggia una mano al vetro, che si appanna veloce.
    Dentro il suo utero di vetro, sugli scaffali dell’Aula di Biologia, da due secoli galleggia in formalina un feto di sei mesi. Ogni tanto, verso fine mattinata, gli capita di sorridere.

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    Scuola di scrittura Belleville