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Come acqua
>> racconto

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    Come acqua

    di Elisabetta.di Maria

    Le due donne confabulano all’ingresso di un bel palazzetto d’epoca.

    La portinaia è tonda e sicura nel suo ruolo: sa quel che dice, conosce bene la materia. Con le maniche arrotolate si appoggia con una mano alla maniglia d’ottone della guardiola tenendo lo straccio umido di sidol e sporco di ossido.

    La signora ha un lungo cappotto blu, da cui spuntano solo i piedi e la faccia assorta. Si rosicchia l’unghia del pollice e non è sicura di aver capito benissimo dove l’altra stia andando a parare.

    La portinaia sta attenta a dare alla signora l’idea di saper stare al suo posto, però vuole che afferri bene quel che ha da dirle.

    D’altronde la signora ha avuto la pensata di venire ad abitare nel palazzetto anni ’20, di solo otto appartamenti, e tutti della stessa famiglia: il nonno ingegnere, rimasto vedovo, la sorella del nonno, i figli di entrambi e anche qualche nipote. E c’è un particolare, poi, diciamola tutta: la signora l’ha comprata all’asta, la casa. E si sa che le è andata più che bene, col prezzo. Insomma, senza nulla togliere: è gentile. Educata, anche. Ma i modi, i veri modi da signori, sono un’altra cosa. Certo, la portinaia non intende farle capire come la vede, però ha in mente di mettere le cose a posto, a modo suo. Non saranno vent’anni che fa quel lavoro per niente…

    L’ingegnere una volta le aveva fatto leggere un articolo sul Corriere di Milano che parlava dei portinai come sapienti mediatori, gli unici in grado di ammorbidire le tensioni più radicate e di ricondurre a ragione, con poche e calibrate mosse, l’astio che ogni anno a novembre trovava nuovo nutrimento dopo le riunioni condominiali. E diventare mediatrice tra parenti, che non possono certo protrarre malumori per la scelta della nuova cassetta delle lettere o per la tastiera dei citofoni, l’aveva messa nella condizione di essere arbitro insostituibile della serenità di diverse esistenze. Ne era ben consapevole e l’esercitare le sue doti di attenzione e diplomazia discostava enormemente la sua funzione da quella di una semplice guardiana della sicurezza del palazzo e di esperta dello splendore di marmi e ottoni. Di questo innalzamento morale del suo ruolo era quindi molto grata alla Famiglia.

    Riguardo alla signora, ha quindi tutti i motivi per non riservarle lo stesso trattamento -seppur sicuro, ma un po’ deferente- che ha con tutti gli altri. Bisogna che la nuova arrivata si adegui presto -se non ai modi, quelli purtroppo non s’imparano- alle regole di convivenza della Famiglia. Due giorni fa le aveva dovuto spiegare come differenziare bene la spazzatura, mal celando una finta comprensione per il fatto che in provincia ci sono altre regole per dividere i rifiuti.

    È prodiga di esempi, come con un ragazzino che è indispensabile che capisca bene la lezione.

    -Sa cosa c’è? Che sotto il suo appartamento ci sono i box e il gocciolio continuo dell’irrigatore dal suo balcone potrebbe rovinare l’intonaco…

    -Ma è già al minimo, comunque controllo, non so come mai…

    -Pensi che un’estate la signora Piera, al quinto, è partita e un tubo sul suo balcone perdeva qualche goccia. Bè, ma lo sa che dopo tre giorni l’acqua è arrivata alla Silvia del quarto? L’acqua è terribile, s’infila ovunque e il problema è che ripercorre sempre la stessa strada. Fino a scavare dei piccoli solchi: all’inizio invisibili, ma poi pian piano quei segni cominciano ad aprirsi e si sfaldano in crepe. E dalle crepe l’acqua poi riesce a colare.

    -Certo, ho capito. Ora devo proprio andare, abbia pazienza.

    La signora pronuncia quelle parole abbassando la testa, avvicinandosi al portone rapida e chiudendosi il cappotto all’altezza del collo con le due mani.

    Cosa doveva prendere? Il nastro isolante per quei fili che ancora penzolano dalla presa della camera, il Lavazza in offerta al Pam, il pane e… cos’era l’altra cosa?

    Non riesce a rallentare, risente il discorso della portinaia che le accorcia il fiato e le fa appiccicare la gonna alle gambe, la maglia al collo.

    Perché mi racconta sempre degli altri nel palazzo?

    L’acqua scava piccoli solchi che poi si allargano…

    La saluterò, ma non mi fermerò più a chiederle se è arrivata la posta o dove si buttano i brik del latte.

    Oddio, ma l’acqua… Come fa a scendere nei box? L’irrigazione è controllata e a tempo…

    Al supermercato si perde davanti agli scaffali del caffè: anche il Kimbo oggi è in offerta e qualcuno tempo fa le aveva detto che è ottimo; chi era stato… S’avvicina alla cassa, dove una vecchietta le passa davanti all’ultimo con un carrello mezzo pieno. Nell’attesa forzata l’insistenza di quell’acqua nel tubo dell’irrigatore si fa più irruente e sinistra.

    Paga distrattamente, va dal ferramenta e torna frettolosa a casa. Entrando nel portone opta per uno sguardo basso e vagamente soprappensiero, in modo che l’altra la lasci stare. Funziona. Fa le scale, entra, sistema le due cose in cucina e prende le forbici. Toglie la corrente e va in camera, decisa a sistemare i fili che penzolano dal muro.

    Adesso li incarto tutti, così siamo più sicuri…

    Taglia il nastro decisa per sistemare i fili, che però le si attacca a un’unghia e fa fatica a staccarlo.

    Quindi l’acqua, quando s’infiltra, fa sempre gli stessi percorsi. E tende a spaccare. Silenziosa e continua.

    Dopo aver incerottato i fili uno a uno, rimane seduta sul letto con le forbici in mano. Poi si alza e lenta va al balcone, dove comincia a tagliare qualche foglia bruciata della salvia, poi si avvicina al timo e gli taglia qualche rametto secco. Spostando i piccoli rami esamina il tubo nero che percorre il perimetro dei vasi. Dove siete, buchi? Vediamo gli ugelli… Sembrano puliti… Si piega, guarda sotto i vasi sul davanzale e nota un rivolo sottile, un’impronta dell’acqua. Scavalca una sedia con una gamba e tutta storta si piega di più per vedere meglio. Ma niente, il rigagnolo pare interrompersi senza aver lasciato segni del passaggio d’acqua…

    Mentre pensa, con la voce della portinaia, che l’acqua non la fermi, s’infila dappertutto e rifà anche gli stessi percorsi, s’accorge che la donna sta innaffiando le piante nel cortiletto interno. L’avrà vista sicuramente in quella posizione impacciata.

    Finge calma, mentre le ribolle il sangue e torna in piedi. Riprende a tagliar rametti, ma appena la donna s’allontana, come una furia si dirige al computerino che regola l’emissione d’acqua. A intuito prova a schiacciare dei bottoni: spegne, riaccende, rispegne. Chiude la manopola del rubinetto stringendola forte. Entra e torna sul balcone con le forbici in mano. Strappa anche il tubo dal rubinetto.

    Taglia rapida i rami più sporgenti, poi anche quelli più corti, avvicina tra loro i vasi, a fatica li mette in fila verso la finestra per portarli dentro.

    Via, via: bisogna toglier tutto, altro che irrigazione a tempo…

    Ma come m’è venuto in mente? Sull’affaccio interno, poi… la zona di servizio! Dove tutti mettono panni stesi, stracci, scope…

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