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“Capoviaggio” di Laura Manfredi – Laventicinquesimaora 2018

    “Capoviaggio” di Laura Manfredi – Laventicinquesimaora 2018

    Uno dei racconti finalisti dell’ultima edizione de Laventicinquesimaora

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    Alle 23 di un sabato sera, 30 dicembre, complice una password demenziale, S.C. venne a conoscenza dei ripetuti tradimenti della moglie: era stato talmente facile che capì, con ulteriore sgomento, che la donna aveva voluto essere scoperta. Si era ritrovato a guidare a caso, in mezzo ai campi narcotizzanti della pianura padana, piangendo e asciugandosi il moccio con la manica del giubbotto, di un nostalgico panno a scacchi rossi e neri, e la vista era talmente impacciata dalla croppa di lacrime che quasi non vide quel che c’era a bordo strada. Quasi. Due vecchini, uno alto e magro e lugubre e curvo, l’altro tondo, rubizzo, sorridente, con una grassa barba bianca e un paio di occhialini tondi più neri del gatto di Belzebù, con addosso i pantaloni del pigiama (tutti e due), scarpe, giacconi, cappello e i pugni protesi in fuori con i pollici all’insù. S.C. si fermò, molto probabilmente mosso dalla curiosità. Abbassò il finestrino del passeggero. Il Babbo Natale gaudente chiedeva impaziente all’altro se riteneva che “l’autista fosse persona dall’aspetto raccomandabile” e poi metteva le mani sulla testa dell’altro, che assentiva senza troppo entusiasmo. “Mi scusi, sa” disse infine, guardando verso lo specchietto retrovisore “ma il mio amico qui non parla. Non è mica muto, sa? Muto selettivo. Duro come un ciuco. Mi chiamo Incantalupi e questo è il nostro Boccamara. Non rida, sa? Sarebbe così cortese da darci uno strappo, verso nord? E velocemente, sì? Temo che io e il mio amico qui siamo piuttosto di fretta”. S.C. non stava andando da nessuna parte, tanto valeva dare una mano a quei due scappatidicasa. Guidarono tutta la notte, attraversarono il confine con la Svizzera, si fermarono in due “Mövenpick”, per pausa caffè e bagno: S.C. scoprì che l’Incantalupi non era solo cieco e logorroico, ma anche legato alla necessità di frequenti soste ai bagni. Ne approfittò per sfogare a lungo i suoi patemi e i due compagni di viaggio accolsero il suo dolore: “donne, machiavelliche!”, disse Incantalupi, e Boccamara assentiva. Con grande sollievo di S.C., non chiesero delle sue, di colpe. Il vecchio raccontò, da parte sua, che erano fuggiti dalla casa di riposo «Gli anni celesti», che già solo il nome valeva l’evasione, figuriamoci il resto, per trascorrere il Capodanno in strada, a Berlino, ché nessuno dei due aveva mai fatto il Capodanno in strada, figuriamoci il Capodanno in strada a Berlino! Un’idea carina, no? E se il tondo vecchietto non vedeva, S.C. poteva invece ben notare che l’altro, quel Boccamara, continuava a buttare, sul suo viso pieno di solchi e ombre, smorfie che viaggiavano dallo sgomento alla disapprovazione, passando per una feroce perplessità, muovendo il capo da sinistra a destra, senza pace. Dormirono a lungo, di giorno, in una piazzola di sosta, tenendo il motore acceso per il riscaldamento. Viaggiarono su strade secondarie, parlando sempre meno e ascoltando musica alla radio: Incantalupi pretendeva ritmi “dance o techno”, per calarsi nel “mood” di Berlino, Boccamara alzava gli occhi al cielo. Venne l’Austria pulita e silenziosa e da lì entrarono in Germania, coi singhiozzi delle continue soste e col pizzicore di non essere stati scoperti, ché “quelli della casa di riposo, figuriamoci, con quel poco senso dell’umorismo che avevano, di certo gli avevano messo dietro l’esercito”. Arrivarono in Alexanderplatz per le 23:59 del 31. A Incantalupi pareva di vedere i fuochi d’artificio, a Boccamara uscì dalle labbra un fragoroso e soddisfatto “Auguri!” e S.C. non sentì la mancanza della moglie.

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