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Affanni
>> racconti

    [three_fifth]

    Affanni

    di * Nome e Cognome

     

    Prende la rincorsa e quando i suoi piedi toccano l’acqua si aspetta quasi di sentire uno schianto. La superficie si rompe, l’acqua lo avvolge, anche la testa ora è sotto e sente già freddo. Gli sfugge una smorfia, la bocca è già piena di mare. Cerca di buttarlo fuori. Altra acqua, penetra nei polmoni. L’acqua salata brucia, apre gli occhi, una frazione di secondo. Il tentativo di riemergere viene naturale. Non sa nuotare. Tocca la superficie dell’acqua, la superficie dell’aria, ma poi la corsa comincia, il mondo asciutto è lontano. Per un secondo le palpebre si spalancano, intravede la luce, un luogo aereo, caldo, assolato. Intravede ancora un pezzo di scoglio arancione, molle e rifratto. Gli scivola dentro altra acqua, nello stomaco, nei polmoni, entra sotto lo sterno, tra le costole. Anche il naso brucia, terribilmente, il dolore lo soffoca. Potrebbe piangere, lacrimare, vomitare, ma non può perché la massa liquida lo comprime e lo spinge. Diventerà piccolo e denso come una stella morta. La caduta continua, accelera, nel buio e nel freddo. Ha chiuso il gas spento la luce pagato la bolletta del telefono lasciato come si era ripromesso non una o due o tre ma ben dieci dosi di croccantini e un dispenser di scatolette. Dosi da persona che pensa di non essere amata né voluta, uno che si aspetta di crepare da solo. Autocommiserazione persino ora.

    E se sua madre per la prima volta rassegnata al suo essere laconico avesse deciso di non chiamare, seguendo il consiglio di suo padre Lascialo stare quello, è come l’erba cattiva non muore mai mica vale la pena di dargli l’acqua, meno lo guardi più cresce rigoglioso, e se sua madre avesse abbracciato questa filosofia che a lui era sembrata sempre volgarmente disfattista perché le madri, ancorché rifiutate, soprattutto se rifiutate, dovevano continuare ad insistere perché se non loro chi mai in questo mondo di ostilità, parzialità, piccole vendette, inettitudini e discontinuità emotive. Ma il gatto, il gatto forse sarebbe riuscito ad uscire lo stesso, le bestie ce l’hanno, loro sì, il buon senso per la vita.

    Gli occhi si aprono ancora una volta, la sensazione è insopportabile, ogni cosa desiderata è: aria. Si era ripromesso di non guardare, per non restare così, penzolante, attaccato alla vita, stregato dal buio. Si riscopriva proprio bestia, ma non c’era verso di staccarsi da quella zavorra, impossibile risalire, e com’era lontano il fondo, il viaggio non finiva mai. Ancora pochi metri, la superficie pallida e uno strapiombo azzurro sopra di lui.

    Appeso, il suo corpo galleggia inerte, un pallone aerostatico. Può ancora osservare, sfocato, uno scoglio. Può ancora osservare il cuore fermarsi, sul fondo.

    La pietra che l’ha portato già si incaglia per metà nella sabbia, e lui lì, stupito, resta appeso alla morte.

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    Scuola di scrittura Belleville