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Michele Mari
>> Leggenda privata

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    Leggenda privata Copertina

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    Michele Mari

    >> Leggenda privata

    Einaudi

    di Lorenzo Lis Innocenti

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    “Ti conosco io, non sei il figlio di Iela ed Enzo Mari?”
    “No! Mia mamma era Jenny la Magrae, e mio padre non l’ho mai conosciuto”.
    E come campi, bamboccio?”
    “Faccio il mozzo, devo imbarcarmi sulla Rebecca…”.
    “Balle! Tu lavori in università, e ti consiglio di sbrigarti, perché i corsi stanno per cominciare”.
    “Nooo! Voglio essere Roderick! Voglio essere Roderick!”.

    Così, all’apogeo della commistione tra vita dell’autore e finzione narrativa, terminava Roderick Duddle, uno degli ultimi libri di Michele Mari. E’ forse da quell’impasse, dall’amaricante realizzazione di non poter essere altro dall’inevitabile sé, che prende le mosse Leggenda privata. Dietro delibera dell’Accademia dei Ciechi all’autore è estorta la sua autobiografia, aneddoto per aneddoto, demone per demone, ricordo per ricordo. Quello che biascica, Quello che gorgoglia, Quella dalle orbite vuote – i terrifici accademici – vogliono da lui la vita vera, in una vampirizzazione narrativa che coinvolge dettagli intimi e scabrosità. Delle tante figure che appaiono e scompaiono nella vita del condannato alle scritture forzate – Gaber, Montale, Buzzati – campeggiano le ombre lunghe dei genitori: Iela ed Enzo Mari; dei quali: “Ho preso il peggio di entrambi”. Ma i veri deuteragonisti in questo libro sono i demoni e i fantasmi che albergano nella memoria e che l’autore sembra sentire come i suoi più autentici interlocutori; non creature da esorcizzare, come vorrebbe la cultura popolare, ma come alleati nell’esorcismo contro la noia e certe grettezze del reale. La parabola familiare, a tratti gotica, è corredata da una serie di foto che vogliono essere emblemi, dimostrazioni e cerniere di episodi e stati d’animo. Su tutte, la foto che appare in copertina: Michele Mari da bambino, che fa scudo alla madre con sguardo severamente minaccioso: “Se la madre non lo difendeva, si formava talvolta nella mente del figlio il delirante conato di difenderla lui, come si evince dalla seguente fotografia scattata dal padre: autentico scudo umano, il figlio si frappone con uno sguardo che dice: «Dovrai passare sul mio cadavere»”.

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    Scuola di scrittura Belleville