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Il nuovo Scrittore su TYPEE
5 agosto 2019
Vardaman Burden porta il lettore dentro la pagina fin dalla prima riga, misurando il ritmo e lo stile. Echi dai cantieri navali è il suo esordio su TYPEE e il racconto che oggi lo proclama Scrittore.
Echi dai cantieri navali
di Vardaman Burden
Nelle notti d’estate, quando le finestre delle camere rimangono aperte, si sente il suono di un enorme maglio provenire dai cantieri navali. È un rumore ritmato, che dura pochi istanti, ma arriva in ogni angolo della città che si appresta a dormire. Per qualcuno è il rumore sinistro del metallo che trionfa sugli uomini, della mistica industriale e del lavoro notturno. A me sembra soprattutto un avvertimento. Pare di sentire l’eco di smisurate catene che precipitano e schiantano. Per altri sarebbe l’ultimo canto delle navi che crescono nel buio dei turni di notte, come un lamento di grandi cetacei estinti, che risale la costa per entrare nel sonno degli animi inquieti.
Il colpo di maglio cavalca il vento e forse qualcuno ne studia perfino le folate; forse qualcun altro osserva le nuvole per decifrarne la voce; ma – come tutti sanno – la natura non ha messaggi da dare e questo suono smisurato rimbomba nel cielo, esattamente con la stessa indifferenza della tempesta che si avvicina.
Stabilire la distanza di questo rumore non è possibile: certe notti si insinua come un sibilo tra i condomini spenti; certe altre deflagra chi sa dove fino a far tremare il cielo. Le ipotesi sulle sue origini si sprecano, ma nessuno sa davvero da dove provenga e per questo la gente ha paura. Qualcuno si pronuncia, ma sono solo sussurri, quando le finestre sono socchiuse e i bambini a letto. Di giorno, invece, nessuno osa parlarne. Quasi tutti, anzi, se ne dimenticano proprio e a nulla servirebbe provare a ricordarglielo, vi guarderebbero straniti e vi prenderebbero per pazzi. Altri infine (ma sono pochi), tirano in ballo il diavolo; nessuno però dà loro peso, specie da quando il diavolo porta abiti eleganti e non fa più errori di grammatica.
Qualcosa potrebbero raccontare quegli operai che ai primi bagliori del giorno camminano curvi verso la fermata dell’autobus per tornare in case che nessuno ha mai visto. Sotto il casco giallo che tengono calcato forte sulla testa, gli occhi sono profonde fessure dentro le quali le pupille si intuiscono soltanto. Non amano la luce e si dileguano rapidamente, come le pallide ombre che dimenticano sull’asfalto. Incrociare il loro sguardo non è possibile e per questo nessuno è mai riuscito a parlarci.
Di giorno invece, queste navi splendono, accecano fino a sparire nella luce riflessa del loro stesso biancore. Le gru più alte del cantiere inscenano con grande riverenza lente danze meccaniche in omaggio al blu perfetto della chiglia. Un sabato mattina può capitare di sentire la sirena della nave che ripetutamente saluta. I battiti di mani si possono soltanto immaginare mentre tutto scompare, persino il suono, di fronte all’enormità dell’acciaio che si muove. Se non fosse per la sirena, nessuno si accorgerebbe della sua partenza. La nave si muove con esasperante lentezza, tanto che si ha l’impressione che sia scomparsa all’improvviso. Se ne va senza fare alcun rumore, come avesse chissà quale colpa da espiare, come avesse un segreto da nascondere, che solo il mare, nella sua infinita solitudine, sarà capace di comprendere.
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