A una settimana dall’uscita della prima puntata del podcast Ti porto un libro, abbiamo chiesto a Aurora e Alessia, ex allieve della Scuola annuale di scrittura, di rispondere ad alcune domande.
Buona lettura!
1. Cos’è Aloud e con quale spirito è nata?
Produzione Aloud è una realtà indipendente per la realizzazione di podcast.
Indipendente perché non dà spazio a imposizioni, a capi sfruttatori, a regole precise, a meccanismi aziendali. Uno spazio che trae forza da tutti coloro che scelgono di farne parte, perché ad Aloud c’è spazio per tutti.
Produzione Aloud nasce nel 2022 da un’idea – o meglio, da un’urgenza – di Alessia Colicchio e Aurora Moscianese che si conoscono alla scuola di scrittura Belleville. L’idea di Alessia e Aurora si è poi declinata e concretizzata in un gruppo di lavoro eterogeneo, un team ben strutturato che si occupa di stesura, editing dei testi, studio delle identità sonore con composizione di musiche originali, montaggio e finalizzazione audio, realizzazione di grafiche, contenuti foto e video originali.
Attualmente Produzione Aloud conta tanti nomi: Alessia, Aurora, Alessandro, Chiara, Vittoria, Pierluigi, Alessio, Andrea, Maria Francesca, Ludovica, Raffaele, Ruben. Una lista in continuo aggiornamento, pronta ad accogliere persone accomunate dall’amore per le storie e sguardi diversi che permettono di allargare le prospettive.
All’attivo ha sei podcast: Punto di rottura, Eco-voci di chi resta, Dopo di noi, Il cammino di Guglielmo, Una data come tante e Ti porto un libro.
2. Ti porto un libro è un vodcast su libri e letteratura: in cosa il suo format si distingue da quello di altri podcast di tema analogo?
Ti porto un libro ci è sembrato la tappa naturale da raggiungere in questa fase del nostro percorso. La maggior parte di noi è composta da autori e autrici, e forse anche per un po’ di sano egoismo abbiamo voluto elogiare il libro scritto e poi raccontato a voce, che è stato il nostro punto di partenza e soprattutto il filo che ci ha permesso di incontrarci e cominciare a lavorare insieme. Crediamo che la differenza rispetto ad altri format analoghi si trovi proprio lì, nel punto di partenza che è poi la nostra forza. In qualche modo era con noi fin dai tempi di Belleville, solo che ancora non lo sapevamo.
Ti porto un libro non è solo una chiacchierata con un ospite sul libro che ha scelto, ma è un viaggio per chi ama leggere, scoprire nuovi titoli e vivere la letteratura come un’esperienza da condividere attraverso storie, idee e percezioni.
Il libro diventa un’occasione per parlare di argomenti che in qualche modo ci toccano intimamente e lo facciamo con ospiti sempre diversi ma che appartengono allo stesso mondo. Nella prima stagione, che conta sette episodi, abbiamo intervistato giornalisti, autrici, editor e collezionisti che di volta in volta hanno scelto il loro libro del cuore, raccontandoci cos’ha significato leggerlo per lui o per lei.
3. Quali fasi della lavorazione di Ti porto un libro hanno richiesto più lavoro, costringendovi magari a qualche ripensamento o cambio di direzione?
Le fasi più complesse sono state sicuramente quelle legate alla struttura e all’organizzazione del progetto. Essendo una realtà indipendente, ci muoviamo contando solo sulle nostre idee e sulle nostre forze. In un mondo ideale, avremmo voluto pubblicare le puntate poco dopo averle concepite ma, avendo altri progetti in corso, è stato difficile riuscire a far tutto nei tempi che avevamo pensato.
Nonostante questo, siamo riusciti e riuscite a portare avanti ogni fase. In fin dei conti le persone creative trovano sempre modi nuovi per aggirare le difficoltà. Qualcuno li chiamerebbe accrocchi o compromessi; noi preferiamo chiamarla testardaggine.
Ed è stata proprio quella testardaggine, sommata alla voglia di lavorare, di ascoltare nuove storie, di sfuggire un po’ alla realtà e soprattutto di leggere e confrontarci con i nostri ospiti, che ci ha spinti ad andare avanti e oggi siamo pronte e pronti a condividere il risultato.
4. Che punti di contatto e che differenze ci sono tra la scrittura su carta e la scrittura di un podcast?
Scrivere è sempre un atto di costruzione. Che si scriva su carta o per un podcast, ci troviamo davanti allo stesso compito: dare forma a un’esperienza e trasmetterla a chi legge o ascolta attraverso una storia.
Ci sono molti punti in comune tra la scrittura tradizionale e quella pensata per l’ascolto. In entrambi i casi serve una struttura forte, capace di sostenere il racconto dall’inizio alla fine. Serve una voce – non solo in senso letterale, ma una voce narrativa, riconoscibile, coerente, che unisca e dia vita alle parole. Serve un linguaggio curato, espressivo, che sappia evocare immagini, emozioni e, soprattutto, atmosfere, perché il rischio è quello di perdere l’ascoltatore.
Le differenze tra le due forme di scrittura, però, sono sostanziali, e partono dalla loro natura più profonda.
Scrivere per la carta significa scrivere per la lettura, per gli occhi. Scrivere un podcast significa scrivere per l’ascolto, per l’orecchio. E questo cambia tutto.
Nella scrittura di un podcast il linguaggio dev’essere più diretto, più naturale, anche perché, banalmente, non è la nostra voce interiore a dar vita al racconto ma quella di qualcun altro. È quella voce a dare il ritmo, a scegliere le pause, i silenzi, a lasciar spazio alla musica. Mentre su carta possiamo concederci frasi più lunghe, riflessioni più lente, costruzioni più complesse – confidando nella possibilità che il lettore torni indietro, rilegga, si soffermi – un podcast ha bisogno di essere chiaro e immediato. L’ascoltatore non ha il testo davanti, non può tornare indietro con facilità: ogni frase deve arrivare al primo colpo.
C’è poi un altro elemento fondamentale: i suoni. Un podcast non è solo testo letto ad alta voce. È voce, sì, ma anche musica e suoni d’ambiente. Quando si scrive un podcast, si scrive anche tenendo conto di ciò che quelle parole possono evocare, di che colore possono coprirsi.
Scrivere un podcast e scrivere su carta sono due forme della stessa arte. Si somigliano, si parlano, si influenzano. Ma sono, a tutti gli effetti, due gesti diversi.


