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Tom Wolfe e i suoi fratelli. Intervista a Riccardo Staglianò

    Dal 21 gennaio 2022 Riccardo Staglianò, giornalista e inviato del “Venerdì di Repubblica”, terrà per la Scuola Belleville il seminario Scrivere dal vero, un percorso teorico e pratico dedicato al territorio di confine tra narrativa e giornalismo, tra reportage e rielaborazione letteraria. In sette lezioni, cinque online e due in presenza, si esamineranno i testi di alcuni grandi scrittrici e scrittori – da Joan Didion a Tom Wolfe, da David Foster Wallace a Emmanuel Carrère – che hanno contribuito a definire questo genere ibrido e multiforme. Nella fase finale i partecipanti potranno cimentarsi nella scrittura di un proprio testo che sarà analizzato e commentato dal docente.

    Riccardo Staglianò ha risposto a qualche domanda per BellevilleNews.


    Il tuo corso è dedicato a un genere di narrazione a cavallo tra giornalismo e letteratura. In cosa risiedono la sua specificità e la sua forza?

    Il discorso sulla presunta “fine del romanzo” è con il tempo diventato quasi un genere letterario a sé. Negli anni ’70 vi contribuì in maniera non marginale Tom Wolfe, sostenendo che la forza propulsiva della fiction si era andata affievolendo man mano che si era allontanata dall’indagine della realtà. Quel cibo che aveva fatto grandi gli Zola e i Dickens era ormai sparito dalle tavole dei romanzieri americani. A maneggiare la realtà erano rimasti solo i giornalisti, che dovevano liberarsi una volta per tutte dal complesso di inferiorità nei confronti della letteratura, impadronendosi delle sue tecniche. Ora, io non credo affatto che il romanzo sia morto, ma ritengo che la non fiction stia dando prova di grande vitalità. Una vitalità che nel nostro paese viene intuita, occasionalmente praticata, difficilmente fatta oggetto di un tentativo di formalizzazione. Il corso “Scrivere dal vero” prova a colmare un pezzettino di quel vuoto. In sintesi: la specificità della creative non fiction sta nel fatto che si occupa di cose vere, non inventate, con strumenti che un tempo erano appannaggio esclusivo della fiction. La sua forza si fonda sulla vocazione a misurarsi direttamente con la materia prima più incandescente di tutte: la realtà.

    Quando nasce quello che chiami giornalismo narrativo? Ci sono autori o titoli che possono considerarsi “fondativi”?

    Nel corso mi rifaccio principalmente alla tradizione nordamericana e quindi dato la nascita di questa nuova forma agli anni ’70, quando Tom Wolfe, appunto, pubblica l’antologia sul “new journalism”, che non inventava il genere ma lo formalizzava. Una delle novità era la presenza dentro la storia del giornalista, impegnato a interagire con essa – un privilegio un tempo riservato ai soli romanzieri. Questa presenza è stata vissuta in maniera problematica nel nostro Paese e ha generato più di un malinteso. Mi è capitato di sentire colleghi rispettabilissimi demonizzare la prima persona, convinti che solo i mostri sacri potessero permettersela. Confondevano, direi, la prima persona narcisistica con quella funzionale. Quest’ultima consente di portare il lettore in viaggio con te, nel posto del passeggero, provando a fargli sentire tutti gli stop e le ripartenze, le curve strette, le buche della strada e gli imprevisti, compreso quando ti si buca il pneumatico e, imprecando, ti inginocchi a cambiarlo. Quanto agli autori più rappresentativi, la lista è piuttosto lunga. La selezione che propongo prova ad aggiornare il canone, sia in senso cronologico che geografico: parte, come ho detto, da Wolfe, passa per David Foster Wallace e Emmanuel Carrère, lambisce la scuola latinoamericana con Juan Villoro, Martin Caparrós e Julio Villanueva Chang (in quanto direttore di una rivista magnifica e sconosciuta) e arriva a Joan Didion e alla brasiliana Eliane Brum.

    Scrivere dal vero è un corso per giornalisti o per scrittori?

    È un corso che, esponendo i partecipanti all’eccellenza della scrittura di alcuni maestri, prova a far riflettere sulla loro tecnica. Scommette sulla mimesi. L’esposizione alla bellezza può avere effetti cataclismatici. Il giornalista potrà ricavarne una spinta alla liberazione dalle proprie catene. L’aspirante può avvicinarsi alla professione su basi più ambiziose. Lo scrittore può scoprire, se già non lo sapesse, che la tavolozza della realtà offre possibilità davvero sterminate che varrebbe la pena frequentare di più. Nella convinzione che non esistono storie poco interessanti, ma solo storie raccontate male.

    Puoi raccontare brevemente gli aspetti più pratici e pragmatici del corso?

    Oltre al talento puro, messo a disposizione dai miei autori feticcio, esiste una parte pratica del mestiere di giornalista, e in particolare di quello che ha un po’ di tempo a disposizione per studiare e poi scrivere, di cui nella scuola di giornalismo che ho frequentato ormai un’èra geologica fa non si faceva il minimo cenno. Come prepararsi a una trasferta, cosa studiare e dove studiarlo (fino a consigli molto prosaici su come limitare cronologicamente i risultati), come fare un buon casting di persone da intervistare. Come sbobinare in automatico quello che ci hanno raccontato. Come mettere da parte gli audio per un eventuale podcast e varie altre cose pratiche. Insomma, condividerò un bric-à-brac artigianale consolidato in vent’anni, cercando per la prima volta di fare un po’ d’ordine. Spero vivamente che – oltre che a me – possa essere utile anche ad altri.

    Riccardo Staglianò

    (Viareggio, 1968) è inviato del Venerdì di Repubblica, per cui scrive prevalentemente reportage. Ha insegnato per dieci anni nuovi media all’Università Roma Tre. È stato tra i primi importatori e curatori delle conferenze TedX in Italia. Tra le sue ultime pubblicazioni: Al posto tuo (2016), Lavoretti (2018) e  L’affittacamere del mondo (2020), Gigacapitalisti (2022), tutti Einaudi. La sua newsletter è Lo stato delle cose (riccardostagliano.substack.com), dove si trova una selezione di articoli e qualche esperimento con i podcast.