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Ribaltare il mondo, di Andrea Tarabbia

    Dove si nasconde la letteratura? A volte anche nella prefazione a una guida turistica.
    Andrea Tarabbia
    , dal 12 marzo al 2 aprile Lo scrittore che legge su TYPEE, ne analizza una tutta particolare e ci chiede: «Che cos’è la letteratura, se non un modo diverso di vedere il mondo?».



    > Ribaltare il mondo. Lettura commentata di una prefazione a una guida turistica che è in realtà una lezione sul fatto che la letteratura, per essere tale, deve osare l’impensabile

    È la prefazione che Tiziano Scarpa ha scritto al suo Venezia è un pesce – una guida turistica della città di Venezia. La prima volta che ho preso in mano questo libriccino ho pensato due cose: la prima è stata “Ancora?!?” – vale a dire che mi sembrava assurdo che qualcuno, ancora una volta, provasse a fare una guida di Venezia; Venezia è una città completamente spolpata, su cui, mi dicevo, non c’era più nulla più da dire. La seconda cosa che ho pensato, invece, è stata andare su Google Maps e cercare la mappa di Venezia, perché l’immagine raffigurata in copertina, pensavo, era stata modificata con Photoshop: Venezia è una città di mare, anzi, è la città di mare, ma è del tutto assurdo che assomigli a un pesce. E invece.
    Dunque ho cominciato a leggere questa guida con circospezione e perfino con riluttanza: ci avrei trovato dentro cose trite che già sapevo – tutti sappiamo tutto di Venezia – o qualche fantasia sciocca, come per esempio che esistono città di mare a forma di pesce. E invece.

    Venezia è un pesce. Guardala su una carta geografica. Assomiglia a una sogliola colossale distesa sul fondo. Come mai questo animale prodigioso ha risalito l’Adriatico ed è venuto a rintanarsi proprio qui? […] Se si è ancorata da queste parti, un motivo ci deve essere. I salmoni si sfiancano controcorrente, si arrampicano sulle cascate per andare a fare l’amore in montagna. Balene, sirene e polene vanno a morire nel mar dei Sargassi.

    La sfida, quando si scrive qualcosa su un argomento di cui tutti hanno scritto fino allo sfinimento, è trovare una chiave almeno un po’ originale per entrarvi, raccontando un mondo che tutti conoscono (o pensano di conoscere) in modo alieno, laterale, per gettarvi una luce nuova e modificare almeno un po’ la prospettiva. Che Venezia abbia la forma di un pesce lo sa qualunque cartografo e qualunque curioso; ma che Venezia sia qualcosa di vivo, sia un animale che ha risalito l’Adriatico e ha deciso di stabilirsi in laguna è qualcosa che appartiene solo alle prime righe di Venezia è un pesce. Quella che Tiziano Scarpa ha lanciato a sé stesso con questo libriccino è una sfida titanica, dunque: convincermi che non tutto è stato già detto, che con le parole si può ancora stupire chi non è nemmeno disposto a provare stupore.

    Gli altri libri sorriderebbero di quello che ti sto dicendo. Ti raccontano la nascita dal nulla della città, la sua strepitosa fortuna commerciale e militare, la decadenza: fiabe. Non è così, credimi. Venezia è sempre esistita come la vedi, o quasi. È dalla notte dei tempi che naviga; ha toccato tutti i porti, ha strusciato addosso a tutte le rive, le banchine, gli approdi: sulle squame le sono rimaste attaccate madreperle mediorientali, sabbia fenicia trasparente, molluschi greci, alghe bizantine. Un giorno però ha sentito tutto il gravame di queste scaglie […]. Le sue pinne sono diventate troppo pesanti per sgusciare fra le correnti. Ha deciso di risalire una volta per tutte in una delle insenature più a nord del Mediterraneo, la più tranquilla, la più riparata, e di riposare qui.

    Ecco, Scarpa lo sa: «Gli altri libri sorriderebbero…» … sa benissimo di aver lanciato una sfida, sa benissimo che su Venezia è stato già detto tutto. Ma ha deciso di rischiare e rischia. E allora via con questa personificazione estesa, insistita: l’immagine di un pescione pieno di incrostazioni e di stanchezza che cerca un luogo per trovare un po’ di riposo e un po’ di pace. Cosa sta dicendo ai suoi lettori, Scarpa, con questa immagine insistita? Sta chiedendo fiducia. Sta dicendo: «Lo so, è il milionesimo libro su Venezia, ci sono migliaia di guide, riviste, romanzi storici, dischi, film, maschere, leggende e tu lettore li conosci tutti, te li hanno somministrati tutti. Non c’è bisogno di questo mio libro. Però vedi, lettore, in questo mio libro c’è qualcosa di diverso dal solito: c’è una storia, c’è l’immaginazione e c’è un modo diverso di vedere il mondo. Che cos’è la letteratura, se non un modo diverso di vedere il mondo? Seguimi, fidati di me».
    Ogni storia, ogni libro si fonda su questo patto implicito di fiducia tra autore e lettore: fidati di me, dice ogni autore nella prima pagina, lo so bene anch’io che le balene bianche non esistono, e so altrettanto bene che non è mai capitato a nessuno di svegliarsi trasformato in un enorme insetto… Eppure dammi fiducia, credici almeno un po’: se lo fai, ti porterò dentro un mondo diverso dal tuo, in cui però tutto funziona e rischia di essere perfino bello. E poi attento: potrebbe accadere che in questo mondo storto che ti sto proponendo si dica perfino qualcosa su chi sei tu.

    Sulla cartina geografica, il ponte che la collega alla terraferma assomiglia a una lenza: sembra che Venezia abbia abboccato all’amo. […] Abbiamo avuto paura che un giorno Venezia potesse cambiare idea e ripartire; l’abbiamo allacciata alla laguna perché non le saltasse in mente di salpare di nuovo e andarsene lontano, questa volta per sempre. Agli altri diciamo che l’abbiamo fatto per proteggerla, perché dopo tutti questi anni di ormeggio non è più abituata a nuotare […]. La verità è che non possiamo più fare a meno di lei. […] Abbiamo fatto di peggio che legarla alla terraferma: l’abbiamo letteralmente inchiodata al fondale.

    Colpo di genio: la personificazione continua, e il ponte della Libertà diventa una lenza che ha catturato il pesce-Venezia. Fate attenzione: tutto il mondo reagisce al fatto che Venezia non sia una città, ma un animale, e i ponti diventano lenze, le stazioni – forse – ami. Dove siamo, qui? Qual è lo statuto di questo testo? Siamo ancora dentro una guida turistica? O siamo altrove, in un posto dove ogni cosa virtualmente può succedere? Non abbiamo, forse, varcato i confini, non siamo forse finiti, quasi senza accorgercene, in pochissime righe, dentro la letteratura?

    C’è un romanzo di Bohumil Hrabal dove un bambino ha l’ossessione dei chiodi. Li pianta solo sui pavimenti: a casa, in albergo, dagli ospiti. Tutti i parquet di legno che gli capitano a tiro vengono martellati dalla mattina alla sera. Come se il bambino volesse fissare le case al terreno, per sentirsi più sicuro. Venezia è fatta così; solo che i chiodi non sono di ferro ma di legno, e sono enormi, da due a dieci metri di lunghezza, con un diametro di venti, trenta centimetri. Sono piantati nella melma del fondale.

    Sì, siamo dentro la letteratura: Scarpa cita Hrabal, cita una storia di fantasia. Ma allora tutto quello che ho appena letto è vero o non lo è? Voglio dire: è ovvio che Venezia non ha nuotato per l’Adriatico, ed è altrettanto ovvio che il ponte della Libertà non è una lenza; cosa sono, allora, quegli enormi chiodi di cui si parla qui? E soprattutto: esistono davvero? Senza rendermene pienamente conto, questo testo su cui avevo parecchi dubbi nel giro di una ventina di righe mi ha catturato.
    Come si fa a sapere se un testo è in grado di catturare il lettore oppure no? È semplice: dipende dal numero di domande che scatena in chi legge. Qui, in sole venti righe, ce ne sono moltissime, e sono di varia natura: ci si interroga sul tipo di testo (è una guida? È un racconto?), sul grado di veridicità delle informazioni che contiene (davvero Venezia ha la forma di un pesce?), e si arriva alla domanda più semplice ed efficace possibile: (adesso che si parla di questi strani, enormi chiodi di legno, che apparentemente non c’entrano nulla con Venezia e con il contesto che si era creato) che cosa sta per succedere? Quando il lettore si pone una domanda come questa, quando vuole sapere che cosa accadrà, beh, il lettore è tuo.

    Questi palazzi che vedi, le architetture di marmo, le case di mattoni non si potevano costruire sull’acqua, sarebbero sprofondate nel fango. Come si fa a gettare fondamenta solide sulla melma? I veneziani hanno conficcato nella laguna centinaia di migliaia, milioni di pali. Sotto la basilica della Salute ce ne sono almeno centomila; anche ai piedi del ponte di Rialto, per contenere la spinta dell’arco di pietra. La basilica di san Marco poggia su zatteroni di rovere, sostenuti da una palafitta d’olmo.

    … sta per succedere che il mondo va sottosopra, che la storia trita di Venezia è in realtà una storia incredibile in cui tutto è ribaltato. I tronchi-chiodo esistono davvero, è una storia vera e incredibile al tempo stesso. Il pesce-Venezia è inchiodato sul fondale, letteralmente. È una cosa reale, e ciascuno di noi, in pochi clic, può scoprire tutta la storia di questi legni del Cadore e delle Alpi venete, può trovare i testi delle leggi a tutela delle foreste promulgate dalla Serenissima. Ma che cosa ci sta dicendo, qui, l’autore? Qual è il percorso che ci sta facendo fare? Ricapitoliamo: ha cominciato questa sua sfida dicendo che Venezia è un pesce, una cosa viva che a un certo punto ha deciso, di sua sponte, di risalire l’Adriatico per riposarsi in laguna; gli uomini, compresa la bellezza e l’unicità di questa creatura, l’hanno catturata con un amo di cemento e ferro; per evitare che scappasse, come in un romanzo di Hrabal, l’hanno inchiodata al fondo del mare con centinaia di migliaia, milioni di tronchi – e questa parte della storia, la parte più violenta e immaginifica, è vera. Il dubbio che avevo all’inizio – l’ennesimo libro su Venezia: che cosa mi potrà mai interessare? Che cosa potrà dirmi di nuovo? – è scomparso: non solo queste cose non le sapevo, ma nessuno le aveva mai raccontate come se ci trovassimo dentro un romanzo.

    Alberi capofitti a testa in giù, piantati con una specie di incudine tirata su a forza di carrucole. Ho fatto in tempo a vederli, da bambino: ho sentito le canzoni degli operai battipalo ritmate dalle percussioni lente e poderose di quei magli sospesi per aria, a forma di cilindro, che scorrevano su rotaie verticali, in piedi, salivano piano, si abbattevano di schianto.

    Ecco, l’esperienza personale dell’autore: così si sigilla un testo. La faccenda dei tronchi è senza dubbio vera perché Tiziano Scarpa, da bambino, li ha visti. (E non dimenticate che il libro che avete in mano è una guida: il fatto che l’autore abbia fatto esperienza diretta di ciò che racconta è di fondamentale importanza.)

    Stai camminando sopra una sterminata foresta capovolta, stai passeggiando sopra un incredibile bosco alla rovescia. Sembra l’invenzione di un mediocre scrittore di fantascienza, invece è vero.

    Venezia non è una città di mare. È un bosco rovesciato, un’enorme foresta a testa in giù. Tutto ciò che ero convinto di sapere su Venezia finora non è vero. Di tutte le città del mondo, Venezia è quella più piena di suolo, di terra. È quello che dicevamo poco sopra, quando parlavamo della fiducia: la letteratura fa questa cosa incredibile, quando è buona, ossia ribalta il mondo, fa bianco ciò che è nero, fa bello ciò che è brutto, ti dice che quello che hai sempre pensato di sapere non è come credevi che fosse e rende incredibile ciò che crediamo ovvio. Pensateci, quando in futuro avrete l’occasione di fare due passi per i sentieri delle calli e di riposarvi nel piccolo, soleggiato bosco di San Marco.

    Le parti in corsivo sono un estratto da Tiziano Scarpa, Venezia è un pesce, Milano, Feltrinelli 2003.
    Scuola di scrittura Belleville