“Polaroid” di Simone Paparazzo è il testo vincitore della borsa di studio per il laboratorio online Le regole del giallo, in programma dal 22 settembre.
Rielaborando in modo originale una scena tipica dei romanzi polizieschi – l’interrogatorio – l’autore costruisce un vero e proprio racconto scandito in tre atti (premessa-indagine-soluzione) e completo di ribaltamento di ruoli finale: l’indagatore è il sospettato, il sospettato è il detective. La polaroid, che rimanda al tema dello sguardo e al tempo stesso alla sua inaffidabilità, apre nel testo un interessante squarcio meta-narrativo, collegandosi a una tradizione che dalla Finestra sul cortile di Alfred Hitchcock arriva fino al recente La donna alla finestra di Joe Wright.
Tra i testi che hanno partecipato al bando, si segnalano anche “Il gioco della bottiglia” di Andrea Bazec, racconto dai toni hard-boiled che fa propri il ritmo serrato, l’aggressione sensoriale e il sarcasmo che caratterizzano il genere; e “Protocollo Eva” di Fabiana Polese, che usa il dialogo per giocare con le aspettative del lettore in tema di genere e rapporti di potere.
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Polaroid
Il commissario si sedette di fianco al ragazzo ed estrasse delle Marlboro rosse dal giubbotto. Diede un colpo al pacchetto e ne fece saltare una fuori per metà.
«Posso?» chiese.
«Siamo all’aperto» rispose Fabio. Il ragazzo scattò una foto ai compagni che si allontanavano nella piazzetta. Lui rimase seduto e nascose in uno zainetto la pellicola nel momento in cui uscì dalla camera. Il commissario indicò la Polaroid e lasciò andare una manciata di fumo prima di parlare.
«Ne avevo una identica, una trentina di anni fa. Se la cercassi sono sicuro che salterebbe fuori».
«Se ne trovano ovunque» rispose Fabio guardando avanti.
«Ti dispiace se gli do un’occhiata?» disse il commissario avvicinando una mano al ragazzo. Questo gliela porse. L’uomo poggiò un occhio contro l’oculare e strinse l’altro.
«Mi hanno detto che la sera in cui Rachele è sparita tu eri a casa dei Cerbone» disse.
Fabio prese il cellulare dalla tasca e premette il bottone di lato. Lo schermo si illuminò per un attimo, poi lo rimise a posto. Le 19 e 27.
«Non sapevo fosse la stessa sera» mentì «vado quasi tutti i venerdì da Pasquale e Marco».
Flash. Gnnnnk.
Fabio si girò verso il commissario che gli aveva scattato una foto. Dalla bocca della macchina penzolava la pellicola come la lingua di un cane accaldato. L’uomo la prese e la capovolse sul muretto. Restituì la fotocamera al ragazzo.
«Mi hanno detto anche che hai lasciato la casa dei tuoi amici poco dopo la mezzanotte».
«Sono un sospettato?» chiese il ragazzo.
Il commissario schiacciò la sigaretta sui mattoni privi di intonaco e lanciò il mozzicone verso un tombino. Sorrise.
«Magari hai visto qualcosa».
«No» e non aggiunse altro. Fabio chiuse il flash della fotocamera e si passò il laccio dietro al collo.
«La madre di Rachele dice di averti visto quella sera vicino casa sua. Dice di averti notato a causa dei flash».
Il ragazzo fece spallucce, ma cambiò idea poco dopo e continuò a parlare.
«Mi piace il cancello che hanno sul lato del garage. Il lampione lì ha una luce calda e ho provato a fare qualche foto per vedere come venivano».
«Posso vederle?»
Fabio strinse lo zainetto col gomito destro e si voltò a guardare il commissario. L’uomo glielo prese, toccò la cerniera sul davanti e guardò il ragazzo. Ricevette un sì con la testa. Dentro alla tasca c’erano una cinquantina di pellicole quadrate. Il commissario le sfogliò velocemente– compleanni e oggetti dimenticati, qualche primo piano – e si fermò su due foto scure. Lì un cancello sfocato era per metà in una luce magenta e per l’altra totalmente nero. Le girò verso il ragazzo.
«Sono loro» disse «spesso di notte il flash non è sufficiente con queste fotocamere».
Fabio strinse poi il braccio sinistro sentendo lo spessore di un’altra pellicola nella tasca della felpa. Quella che portava con sé da giorni e che mostrava l’auto del commissario in fondo al viale della casa di Rachele.
Il commissario si alzò e voltò la pellicola che aveva scattato. La porse al ragazzo.
«Te la lascio. Qui sei venuto bene».