Colorificio di Francesca Celeste Conti è il racconto vincitore della borsa di studio per la nuova edizione del corso Scrivere di notte, in programma – online e in presenza – dal 21 febbraio 2022.
Il racconto sceglie un punto di vista marginale – quello di un diversamente abile, di uno strano, di un “matto” – per raccontare la pandemia con sguardo partecipe e insieme straniante (il protagonista compra dei barattoli di vernice per ridare colore al mondo, perché «i colori che ci sono in giro non sono abbastanza»). Fatti drammatici – la depressione, la morte, la paranoia – sono affrontati senza retorica, con il pudore che nasce da uno stile semplice e diretto. Il finale aperto schiude una promessa di rinascita.
***
Colorificio
Oggi sono andato in un colorificio.
Non ero mai stato in un colorificio prima. Di solito i tubetti di tempera me li presta Magda dell’arteterapia, ma per questo lavoro mi serviva più colore.
Ho comprato tre barattoli di vernice, di tre colori diversi, anche se da fuori non si vede perché le confezioni sono tutte uguali. Se mi avanza un po’ di vernice le dipingerò del colore giusto, così basterà un’occhiata per riconoscerle. Bisogna rendere le cose il più semplice possibile, perché nessuno ha tempo di leggere le etichette sui barattoli.
Il proprietario del negozio mi ha guardato in modo strano e mi ha chiesto se i colori mi servono per lavoro. Ho risposto di sì perché non mi andava di spiegare. La gente non ha tempo per le spiegazioni ultimamente.
Mi ha fatto un po’ pena, perché dev’essere per questo che il suo negozio era quasi vuoto. Per quello sguardo strano, voglio dire.
Ma forse non è colpa sua. Forse nessuno gli ha insegnato che ai clienti va detto buongiorno e arrivederci, anche quando hai una brutta giornata. Io lo so perché me l’ha detto Siro dell’inserimento occupazionale e perché è per questo che ho perso il mio vecchio lavoro.
Ma forse non è nemmeno per il buongiorno. Forse è colpa delle maschere. Le persone si comportano in modo strano da quando ci sono le maschere.
Sono stato a Venezia quando ero piccolo, durante il carnevale. Ricordo di essermi messo a piangere perché le maschere mi spaventavano. Non si può mai essere sicuri di cosa ci sia dietro una maschera.
Adesso non è carnevale, ma le maschere le indossano tutti. Coprono solo la bocca e il naso, così gli occhi puoi vederli, anche se non puoi sapere se le labbra sorridono o mostrano i denti.
Tiziano dice che le maschere servono a proteggerci dal virus, ma io non gli credo, perché lui pensa che ci siano virus dappertutto. Cioè, lo so che i virus sono dappertutto – che li hanno trovati nei fondali degli oceani eccetera, – ma Tiziano pensa che siano stati creati dalla CIA per ucciderlo. È per questo che è finito al centro diurno.
Anche tu hai iniziato a portare una maschera, a un certo punto. Potrei sbagliarmi, ma credo sia in quel momento che hai smesso di sorridere.
Hai detto che ti manca la vita di prima e io non ho detto niente perché non capivo prima di cosa. Mi hai spaventato perché avevi gli stessi occhi della signora Fatima il giorno in cui l’hanno trovata appesa al ventilatore.
Hai detto che sogni in giallo e verde, ma che quando ti svegli non riesci più a vedere i colori.
È strano perché in questi giorni i colori sono dappertutto. Alla radio, nei giornali. Nei notiziari, attaccati alle finestre. Un ragazzo del centro mi ha mandato una foto del suo palazzo; qualcuno aveva appeso al balcone uno striscione colorato che si avvitava su se stesso come una ballerina ubriaca.
È per questo che ho comprato i barattoli di vernice.
Perché forse i colori che ci sono in giro non sono abbastanza per te.
Credo di essere arrivato tardi.
C’era altra gente davanti a casa tua, un sacco di gente.
Qualcuno ha detto che hai ingerito dei farmaci – ha detto proprio così, ingerito – e io ho pensato che si sbagliasse, perché siamo noi che prendiamo i farmaci, non tu. Tu i farmaci ce li metti accanto al bicchiere di aranciata e sorridi sempre, anche quando ti urliamo che non vogliamo prenderli.
Ma poi ho visto l’ambulanza parcheggiata davanti al cancello e un gruppo di paramedici che trasportava una barella.
Credo che il mio cuore abbia smesso di battere in quel momento, anche se il dottor Bernardi direbbe che è impossibile.
Perché su quella barella c’eri tu.
Il dottor Bernardi non vuole dirmi come stai.
Non vuole dirmi se ti sei svegliata, se sono riusciti a farti sputare i farmaci.
Ma a me non importa, perché quando vedrai i colori starai meglio.
Non ho potuto dipingere la tua casa, perché c’era troppa gente e non me l’avrebbero permesso. Ho lasciato i barattoli vicino alla porta, in modo che potessi vederli appena entrata. Tornerò un’altra volta e la dipingeremo insieme.
È arrivato un biglietto ieri.
Quattro parole, un punto, l’iniziale di un nome.
Grazie per i colori. A.
Ho riconosciuto la tua grafia, quella che usavi per ricordarmi di prendere i farmaci, perché sapevi che quando me li portava Livia li sputavo di nascosto.
È stato in quel momento che il mio cuore ha ricominciato a battere, perché se hai visto i colori vuol dire che sei tornata a casa, e se sei tornata a casa vuol dire che hai ricominciato a sorridere.
Hanno detto che non sanno quando tornerai al lavoro, ma a me non importa, perché posso aspettare.
Sono bravissimo ad aspettare.