A marzo 2021 è uscito per Bompiani I padri lontani di Marina Jarre, riedizione curata da Marta Barone. Un romanzo autobiografico, che segue la scrittrice dall’infanzia in Lettonia fino alle valli valdesi e poi Torino, raggiunta in età adulta.
La scrittrice di Città sommersa ha risposto a quattro domande per BellevilleNEWS.
Qual è stato il tuo primo approccio all’opera di Marina Jarre e da dove nasce l’idea di ripubblicare i suoi romanzi?
Il mio primo approccio è stato del tutto casuale, da semplice lettrice: abitavo ancora con mia madre, ho preso per un viaggio dalla sua biblioteca un libro uscito da poco per Einaudi (era il 2009 o il 2010) dal titolo affascinante, Il silenzio di Mosca. Era una bizzarra, inclassificabile raccolta di testi autobiografici con incursioni nel personal essay, e la scrittura era così singolare, intelligente e rapinosa che mi ha subito colpito non aver mai sentito nominare l’autrice, che pure era molto anziana e molto aveva pubblicato. I suoi libri erano introvabili, sono arrivati nel corso degli anni, tramite prestiti da amici di mia madre o ritrovamenti su bancarella. Alcuni erano davvero enormi, capolavori veri e propri, e tutti molto belli, spesso anticipatori di scritture che sarebbero emerse trenta o quarant’anni dopo, con una voce unica, europea e italiana al contempo. Trovavo scandaloso che la sua opera eccezionale fosse scomparsa dalle librerie e il suo nome dimenticato, quando invece avrebbe avuto tutto il diritto di stare nel canone dei più grandi scrittori italiani del secondo Novecento. Jarre è morta nel 2016, sconosciuta ai più (o al limite ricordata come “narratrice dei valdesi” perché negli ultimi anni della sua vita aveva scritto soprattutto testi teatrali e saggi sul mondo valdese). Ho pensato che sarebbe stato interessante scrivere un pezzo che raccontasse quanto invece fosse ampio il suo mondo di narratrice, e quanto importante per la letteratura italiana. Il breve saggio è uscito sul Tascabile nel dicembre 2016. Sono stati gli eredi, ossia i figli di Jarre, a contattarmi e a chiedermi se volessi diventare curatrice della sua opera. Dopo una riflessione ho accettato e naturalmente la prima idea è stata quella di lavorare per una ripubblicazione che avesse un senso e una logica, per collocarla da qualche parte e trasformarla in un classico contemporaneo, come Morante o Vittorini, perché, semplicemente, quel posto le spettava, quali che fossero le ragioni del suo limitato successo. Bompiani ha una collana di questo genere ed è per questo che, oltre a un paio di altre case editrici, mi sono rivolta a loro: dopo una valutazione hanno accettato di tentare con tre libri, presentandoli al pubblico in una nuova veste e con prefazioni adeguate, nella speranza appunto di far rientrare Jarre tra i nostri classici contemporanei e quindi procedere con la ripubblicazione di tutta l’opera o almeno della maggior parte dei titoli (come sta avvenendo o è già avvenuto con Soldati, Vittorini, Alvaro, giusto per fare qualche nome).
Tu e Marina Jarre avete in comune Torino, dove si ambientano I padri lontani e Città sommersa. Che differenze ci sono tra la città di Jarre e quella del tuo romanzo?
La sua è la Torino degli andirivieni tra passato e presente (il presente del 1987) tra i primi viaggi quando vi studiava alla fine della guerra, del matrimonio e del lavoro come insegnante, la città dei figli, una città dove la Storia non entra, se non per brevi cenni, perché è una dimensione ridotta soprattutto alla casa, alla scuola, al simbolo e ai rapporti familiari. La città del mio romanzo è la città in cui presente e passato si sovrappongono, ma il passato è quello degli altri, quello antecedente alla mia nascita, e nonostante il libro cerchi di raccontare la storia di un individuo, quell’individuo nei fatti della Storia stava, e quindi la Storia entra, per forza: l’immigrazione degli anni sessanta, i movimenti degli anni settanta, la Fiat e tutto il correlato, la lotta armata e la fine di un’epoca. Ciononostante, qualcosa in comune abbiamo: la città metaforica, la città simbolica, benché anche qui entrino in gioco delle differenze; io con la mia città ereditata e reinterpretata, lei “senza patria” in una città che finirà per appartenerle e somigliarle quasi per caso.
Cosa significa curare la riedizione di un romanzo come I padri lontani? Qual è stato il tuo ruolo?
Dopo che Bompiani ha accettato il tentativo con tre libri, il mio primo compito è stato scegliere i primi tre titoli da proporre: ho quindi deciso di partire da I padri lontani, il primo libro autobiografico di Jarre, perché racconta la sua storia, la sua voce spicca in modo peculiare ed era a parer mio il modo migliore per ripresentarla al pubblico. Aveva pubblicato molti romanzi prima, maI padri lontani è perfetto per il nostro tempo in cui l’autobiografismo ricorre nelle maniere più disparate e interessanti, è forse il suo capolavoro e la rappresenta in pieno come figura letteraria e come figura umana. Ho poi selezionato i libri che verranno dopo e ho scritto le tre prefazioni per spiegare quale operazione editoriale si stava conducendo e, almeno per I padri lontani in quanto primo a tornare, alcuni dei motivi per cui Marina Jarre è una scrittrice da riscoprire e da riportare a una luce degna.
Dopo Marina Jarre, di quali scrittrici o scrittori italiani auspichi una riscoperta?
Ho curato il libro di un grande autore passato in sordina, Umberto Silva, vivo e vegeto. Uscirà anche questo per Bompiani all’inizio di giugno. Per adesso con le riscoperte sono a posto così. Ci sono molte case editrici che stanno lavorando sui dimenticati e soprattutto sulle dimenticate, quindi c’è già un movimento in questo senso, e va più che bene. I nomi molto importanti che dovevano riconquistarsi un posto, come Anna Maria Ortese o Giorgio Manganelli, quel posto ora ce l’hanno, e piuttosto stabile: forse è proprio ora di ridisegnare il nostro canone allargandolo un po’ oltre i soliti Calvino Bassani Moravia Morante e Ginzburg, senza nulla togliere a Calvino Bassani Moravia Morante e Ginzburg, naturalmente.