“Andare per fossi” di Maria Laura Martelli è il racconto vincitore della borsa di studio per la classe di Scrivere di notte a Milano con Giorgio Fontana, in programma dal 13 ottobre 2025. La storia di un’amicizia e di un’impresa – la pesca epica dei due giovanissimi protagonisti – è condotta in tono struggente grazie all’adesione della scrittura alla lingua del bambino, leggera e un po’ stralunata.
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Guarneri Walter e Cavioni Marco, di 8 anni e mezzo, sono amici. Lo abbiamo anche scritto con i pastelli a cera sul muro dell’oratorio; il Don ci ha sgridato, ma poi non l’ha cancellato. A cosa serve, andare a scuola, se non si possono scrivere le cose importanti?
E poi, anche in chiesa ci sono tante scritte. Se Gesù vuol dire delle cose, le fa scrivere sui muri, così tutti possono vederle, e così abbiamo fatto noi. Il Don dice che Gesù può, perché quella è casa sua e ci fa quello che vuole, ma anche noi siamo sempre all’oratorio, che quindi è un po’ anche casa nostra.
Dalla primavera all’autunno, invece, casa nostra è la campagna. Siamo sempre insieme, io e te, e ce ne andiamo a spasso ogni pomeriggio: Marco e Walter, i più grandi pescatori che si siano mai visti, su e giù per le rogge come i matti.
Ci piace andare a rane con la canna di bambù e ci piace il risotto che ci fa tua nonna. Quando finiamo di mangiare, ci dice sempre: «Prendetene ancora, bambini, che da grandi non lo mangerete più». Forse pensa che le rane si estingueranno, come i dinosauri, e in effetti sembrano un po’ dei piccoli dinosauri saltellanti, quindi magari ha ragione. Io per sicurezza ne prendo sempre un altro piatto, e le ho promesso che finché ci saranno rane in giro noi le cattureremo tutte.
Quando asciugano la risaia, andiamo per fossi, ed eccoci qui che prendiamo le bici e partiamo, con i secchi infilati nel manubrio per i manici e i badili che finiscono nei raggi, se non si sta attenti.
Mentre pedaliamo, guardiamo giù per trovare il punto giusto. Questa volta l’ho visto prima io, un tratto bello asciutto, così con la mano ti faccio segno di fermarti, e con tutta questa roba che sbatte a destra e sinistra perdo l’equilibrio e finisco per terra. Non mi sono fatto male proprio per niente, anche se magari sembra perché ho il ginocchio sporco di sangue e di terra, ma non sento niente, Marco, e se vuoi lo rifaccio ancora che tanto non mi fa male. Guarda.
Lasciamo giù le bici, prendiamo i badili e i secchi e scendiamo nel fosso.
Io ho gli stivali nuovi che mi stanno larghi, e allora stringo le dita dei piedi per non farli sfilare mentre cammino. La mamma me li ha comprati all’Onestà, dove tutto costa la metà, ma la fregatura è intera. Questa cosa della fregatura c’è l’ha aggiunta mio padre. Comunque, a me, i miei stivali nuovi piacciono.
Arriviamo sotto il ponte e scendiamo nel buco, dove l’acqua è più alta e finiscono tutti i pesci, come in una tinozza.
Prendiamo sassi, pezzi di legno e tutto quello che troviamo per bloccare l’acqua ai due lati della pozza, e poi giù a tirare via secchiate, da un lato e dall’altro.
Ogni tanto ci passa la corriera sulla testa, e il tombino rimbomba come la casa stregata del film, ma noi non ci fermiamo, andiamo avanti ad asciugare e piano piano li scopriamo tutti: carpette, tinche, arborelle, persici sole, pluf, uno dopo l’altro nei secchi, e poi scaviamo con le mani nel fango e dalla terra strisciano fuori le sgrappole, e via anche quelle, così tua nonna le fa fritte.
Fuori, sulla strada, si sono fermati dei ragazzi grandi: ci guardano da lontano, attraverso il buco, stanno seduti sui motorini e ci urlano «pirla», «piciu», e di venire via che c’è il Babau, che non siam buoni. Uno alto è salito in piedi sui pedali del Garelli e fa: «Io sabato son venuto con mio zio che ha l’idropompa e abbiamo preso venti chili di cavedani» e tutti «Uuuh, oooh», e fischi e sputi a terra, ma noi andiamo avanti.
Sono stanco, ho i piedi ghiacciati ma non mi fermo, e quando quei cretini urlano io mi butto a carponi nel fango.
Sotto la terra si è mosso qualcosa, una specie di corda che scivola come una biscia. Mi ci tuffo sopra e la tiro fuori: un’anguilla, la più lunga che abbia mai visto, molto più grossa di tutti i loro cavedani del tubo, e io l’ho presa, ed è nostra, Marco.
La sventolo in aria per fartela vedere, tu mi urli di venire via e altre cose, ma io non ti sento perché questa maledetta sguscia via e cadiamo, io e l’anguilla, nell’acqua, che prima non c’era e adesso viene su dal buco.
Tu mi chiami ma io non posso ancora venire perché devo riacchiappare l’anguilla, così quando gliela faremo vedere rimarranno tutti muti, quegli scemi, e tua nonna ce la farà arrosto sulla stufa, e magari si estingue come i dinosauri e da grandi non la mangiamo più.
L’acqua si è alzata, devo mettere la testa sotto per vedere ma è tutta melma e quando la ritiro su mi arriva fino al naso e sprofondo, ho gli stivali pieni di fango, il ginocchio mi fa male, adesso, Marco.
I ragazzi fuori hanno smesso di ridere.
Voglio chiamarti, ma quando la apro, la bocca mi si riempie di melma e mi viene da vomitare. Ho paura, e sono triste perché non ti vedrò più, e invece proprio mentre penso queste cose, eccoti. Con la mano tesa mi afferri il polso, stretto stretto come fa mio padre quando è arrabbiato. Quanto sei diventato forte, qui sotto, Marco?
Mi tiri tanto che perdo gli stivali, con l’altra mano prendi i calzoncini dalla vita e mi spingi in alto, fuori dall’acqua, fuori dal buco.
Ci sdraiamo uno accanto all’altro nell’erba bagnata e respiriamo forte. Vorrei baciarti e abbracciarti ma ho paura che poi diventiamo finocchi e allora ti stringo solo la mano nella mia come hai fatto tu per tirarmi fuori. Finché ci teniamo la mano la vita resta e deve ancora ambientarsi un po’, la vita, dentro di me, che per poco non veniva via, anche se ho solo 8 anni e mezzo e a 8 anni e mezzo le persone non muoiono, ma lei voleva venir via lo stesso, l’ho sentita che si sfilava quando sono caduto. L’hai fatta restare tu, Marco. Mi hai dato la mano e lei si è calmata, ha deciso di non andare via.
Tienimi la mano, Marco, che se la vita si distrae o ci ripensa io muoio a 8 anni e mezzo. Non lo diciamo a nessuno, che ci siamo stretti così, che i ragazzi grandi poi ci picchiano. Loro non lo sanno che mi hai salvato la vita come fanno gli adulti, quando mi hai preso la mano.