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Addomesticare il buio. Intervista a Patrizia Rinaldi

    Scrittrice per adulti e ragazzi, vincitrice del Premio Andersen Miglior Scrittore 2016, creatrice della serie di romanzi che vedono protagonista la sovrintendente Blanca Occhiuzzi, Patrizia Rinaldi sarà ospite del corso Le regole del giallo, tenuto da Luca Briasco.

    Per introdurre i temi del corso, Patrizia Rinaldi ha risposto a tre domande per BellevilleNEWS.

    1. Cosa ti ha spinto, la prima volta, a pensare di scrivere un giallo con una protagonista femminile, e per di più una tanto peculiare quanto Blanca?

    Nel 2001, un’associazione culturale organizzò una visita guidata da non vedenti e ipovedenti nelle aree archeologiche e museali dei Campi Flegrei. Ogni visitatore, bendato, era accompagnato da una guida alla scoperta di statue, di percorsi tra reperti, di conoscenze tra odori e orientamenti, senza l’aiuto degli occhi. In seguito, tali esperimenti cognitivi sono stati proposti spesso, ma all’epoca costituivano una novità. La visita durava circa un’ora.
    All’inizio del percorso ero curiosa, ma anche scettica, perché ho un senso dell’orientamento scarso anche quando non sono bendata. Nel gruppo dei visitatori ero l’ultima della classe: inciampavo, tornavo indietro, perdevo il richiamo di chi mi stava accompagnando.
    La mia guida, un uomo giovane diventato ipovedente durante l’adolescenza, non mi diede indicazioni pratiche. Portò la mia mano sulla sua spalla e mi spinse solo a continuare. Ogni tanto, con una voce indimenticabile, mi raccontava quello che lui  percepiva con i sensi che escludevano la vista.
    Impiegai più tempo degli altri ad abituarmi al buio, ma successe: più o meno a metà percorso, cominciai a orientarmi. Camminando su una grata posta in alto a protezione degli scavi, percepii non so come il vuoto sottostante. Riconobbi gli odori lievi, che da vedente distinguevo a stento, e al tatto i materiali diversi delle statue, delle colonne.
    Fu la mia guida a farmi notare che avevo tolto la mano dalla sua spalla. Non ne avevo più bisogno: avvertivo la sua presenza vicino a me, assaggiavo i passi coi piedi e avevo smesso di inciampare.
    Nel 2007 quell’esperienza si impose nel ricordo e scrissi Blanca, che fu pubblicata nel 2009.
    La mia investigatrice ipovedente nasce da quella visita, dalla riflessione sulle risorse delle fragilità quando la determinazione prende il posto dell’autocommiserazione e si esplorano conoscenze nuove, nuove maniere di stare al mondo. Non sono facili e di sicuro non indolori, ma la scelta è tra continuare o fermarsi, possibilmente senza proclami eroici: la retorica non c’entra niente, sopravvive piuttosto un accomodarsi nella quotidianità con quello che l’esistenza ci lascia. 
    Blanca ha subito perdite: una sorella amata, la sua selvatica autonomia, parte della vista e molto altro, ma ha deciso di continuare.
    In fondo tutti smarriamo parti durante il corso della vita. La vista perduta rappresenta gli sguardi a cui dobbiamo rinunciare e il tentativo ostinato di trovare soluzioni.
    Blanca risolverà i casi con i sensi che escludono la vista e svilupperà un’intuizione altra e primitiva che non segue regole omologate. Ha un brutto carattere, detesta le apologie, non rinuncerà alle solitudini che sa addomesticare anche meglio del buio.


    2. Come cambiano i meccanismi della serialità quando la televisione, e le esigenze del suo pubblico, irrompono sulla scena? Cosa accade ai personaggi e/o alle trame?

    Di fedele ai libri esistono i libri, e basta. È una mia convinzione. L’immaginario del regista degli sceneggiatori, degli attori, le esigenze televisive, i meccanismi diversi di un linguaggio diverso devono seguire i loro dettami. Anzi, a mio avviso più le interpretazioni restano libere, meglio è.
    Per quanto mi riguarda, ho scelto di continuare a scrivere di Blanca come prima, non ho cambiato la narrazione in funzione della serie televisiva; sto vivendo questa avventura con curiosità, rispetto per le intenzioni artistiche non mie e un bel senso di novità. Mi sono fidata del lavoro di professionisti capaci, ho riconosciuto l’opportunità delle loro scelte.


    3. Quando si parla di gialli, il clima sociale è molto importante. Che impatto credi avrà la situazione attuale sull’immaginario del genere?

    Un certo tipo di racconto di genere non può prescindere dall’analisi del clima sociale. Le regole del giallo non escludono introspezioni e precipizi personali, ma impongono di allargare lo sguardo.
    Per esempio, nel mio ultimo romanzo della serie di Blanca, La danza dei veleni, ho parlato del traffico di contrabbando dei viventi. Non per un dovere chissà quanto didascalico, ma perché la vita degli altri irrompe se la trama prevede ambientazioni che non appartengono alle stesse identità comunitarie.
    Tuttavia l’osservazione della contemporaneità, soprattutto nei periodi particolarmente travagliati, ha bisogno del filtro del tempo per una riflessione critica, per insediarsi in una coscienza che sfrondi le menzogne e le ambiguità, che ci riconduca al cardine di un determinato divenire sociale.